Gelido è l'inverno |
È di qualche giorno fa la pubblicazione di un libro
che sicuramente catturerà l’attenzione di molti lettori perché commovente e
vero. Si tratta di un diario epistolare, scritto quotidianamente, per più di
dieci anni, oltre quarant’anni fa, da una donna giovanissima allora, straziata
dal dolore per la perdita improvvisa del suo giovane sposo, dopo appena due
anni di matrimonio in perfetta armonia.
Anni, anni, anni. Sì, gli anni del dolore
scandiscono, in questo libro, il tempo del non avere più tempo, bruciato nello
spazio di una tragedia che ha bloccato per sempre il tempo di vivere insieme,
di progettare insieme, di tendersi la mano per procedere nel mondo e nella vita
a piccoli passi, ma quanto preziosi perché vissuti in un delirio di giovinezza
e di felicità, tanto agognata e finalmente raggiunta. Ma gli dèi sono invidiosi
della felicità degli umani. Non bisogna mai urlarla la felicità se vogliamo che
duri...
Pubblicare Gelido è l’inverno in
piena estate è come essere sorpresi da un “fulmine a ciel sereno”, ma è forse
il tempo giusto per leggerlo in tanti, avendo un po’ tutti nell’estate una
alleata di tempo libero, di mente sgombra dagli impegni lavorativi, e di
giornate più distese e “vuote”. Ma gelido è stato il lunghissimo inverno di
dolore di chi ha scritto queste pagine. E un gelido inverno offre la bellissima
copertina al nostro sguardo: alberi spogli, quasi braccia imploranti tregua da
ogni male ad un cielo di nebbia e di foschia, ma i tronchi affondano radici in
un terreno di verde tenero come rinnovate speranze di giovani virgulti a spegnere
il dolore e a rinnovare primavera. Gelido
è l’inverno è uno dei quadri che Nicola Parisi ha lasciato come presenza di
sé nella sua casa.
E, oggi, è un libro che prende immediatamente il cuore e ci inchioda alle
tante lettere che Anna Maria De Leo ha freneticamente scritto per strangolare
il dolore che la strangolava.
In realtà, oggi sembra assurdo affidare il proprio dolore ad una lettera;
sembra molto più facile farlo attraverso i social,
comunicando in tempo reale persino la morte di un proprio caro quasi per oggettivare
il dolore così non devasta più di tanto perché non appartiene più solo a chi lo
prova, ma lo si riversa sulla “piazza virtuale”, che ne farà oggetto di
commenti e di parole, ben presto diluito in mille rivoli fino a disperderlo in
brevi giorni, incalzato da altre notizie, altri commenti, altre parole. Brevi come
il respiro. Soffocate anche dalle immagini, dai gift, dalle emoticon, dai
like.
La lettera, invece, fino agli anni Settanta-Ottanta aveva conservato il suo
profumo di intimità e il fascino trepido dell’attesa.
Anna Maria in quegli anni aveva solo quei quaderni bianchi a cui affidare le
sue lettere, nelle quali trovavano nascondiglio, come in un nido silenzioso e
protetto, i suoi pensieri, i suoi messaggi a Nicola, il suo momento in cui
sentirsi ancora in comunione con lui.
Quante volte penso con rimpianto alle nostre
serate. Alla nostra casa che era un vero nido sereno. A volte, seduti davanti
al televisore, eravamo mano nella mano, quasi a tener vivo un dialogo
nonostante le trasmissioni ci costringessero al silenzio. Ci bastava poco per
essere felici e per sentirci “esistere” insieme. Una felicità fatta di piccole
cose, di gesti affettuosi che riscaldavano l’anima. io per te, tu per me…
Sempre uniti dall’amore!
Il suo nido era stato sbrindellato dall’uragano di un attimo ed ora era lei
a volerlo ricostruire, in una casa ormai non più esclusivamente di loro tre “felici… felici… felici”, ma di una
intera famiglia tutta stretta a lei vicino a tentare un conforto, una qualche
amara compagnia, neri le vesti come nero il cuore. No. Non era quella la
compagnia che le potesse restituire serenità in quella casa. Troppo nero e
troppi occhi di pianto per consolare una giovanissima donna distrutta. E, allora,
ecco le lettere per ricostruire in qualche modo, disperatamente, tenacemente,
quel nido devastato, rametto dopo rametto, per ritrovarsi viva almeno con la
sua bimba di breve felicità e con l’altro piccolino che di giorno in giorno le
dava il sussulto di una nuova vita nel grembo disperato.
E venne il tempo/ delle ore disperate/ a curvarmi
le spalle. (…) A pugni
stretti/ strappai l’anima/ e mi lasciai vivere.
E aveva solo ventisette anni.
Il libro contiene una sessantina di lettere delle
migliaia scritte in un decennio di fittissima comunicazione unilaterale, ma
necessaria per non impazzire. Sì, Anna Maria si è salvata anche per questo suo
Diario quotidiano che la estraniava dalla insopportabile realtà per portarla in
quell’“altrove”, dove era più facile sentire al suo fianco il marito adorato,
dove poteva parlare con il suo Nicola nella speranza, e mai convinzione in
verità, di essere ascoltata. Ma anche quella speranza l’ha tenuta in vita,
prima ancora che la riscoprisse nei sorrisi spenti di Isabella, nei capricci
tumultuosi di Nicoletta. Le due bambine a lungo sono state le rose e le spine
dei tanti giorni di dolorosa solitudine. A lungo sono state il rimorso di
essere sopravvissuta a Nicola che, a suo parere, avrebbe meritato più di lei di
vederle crescere nell’arco luminoso delle sue braccia forti e protettive. Lei aveva
avuto un’infanzia felice. Con lui, invece, la vita era stata già pesantemente
in debito per avergli rapinato a soli nove anni gli occhi teneri di sua madre.
Credevo che la vita ti avesse sferrato tutti i suoi
brutti tiri.
Era giunto da poco il tuo momento positivo e dovevi
provare le gioie della paternità, raccogliere i frutti dei tuoi immensi
sacrifici, avevi diritto alla tua parte di felicità…
L’ha tenuta in vita la rabbia per l’impotenza di fronte all’ineluttabilità
del destino, di fronte alla protervia di una famiglia ricca e potente, ma priva
di ogni etica, priva della delicatezza di mandare una voce di rammarico, un
saluto non solo come atto doveroso e di umana pietà nei riguardi di una donna
privata di suo marito e della gioia di vivere, ma soprattutto come vicinanza in
una tragedia così immane da urlare al Cielo il nome del colpevole. Ma per
alcuni esseri dis-umani non esistono colpe né pene né pentimenti, ma solo l’affannarsi
a trovare il modo per sottrarsi persino al dovere di risarcire il danno con il
minimo previsto dalla legge.
Amarezza che si aggiunse all’amarezza.
Hanno detto che la malattia gli ha, poi, procurato
una fine lenta e straziante.
Io non gliela avrei mai augurata, nonostante tutto,
nonostante non si sia degnato di scrivermi neanche un solo rigo né si sia
interessato di noi e della tragedia che ci ha procurato.
Che il Signore lo perdoni!
Prima che morisse, gli hanno fatto firmare delle
cambiali dal valore di venticinque milioni. I suoi legali temono che io
rivendichi i miei diritti e corrono ai ripari.
Certe persone sono senza coscienza! I maledetti
soldi, prima di tutto!
Sono solo poche lettere, ma quanto strazianti nella loro verità. E, con le
lettere, alcune foto che sottolineano la gioia, il dolore. Ci sono anche le
foto di alcuni quadri di Nicola Parisi a testimoniare la sua creatività, il suo
talento pittorico, la sua solitudine prima di incontrare Anna Maria.
Poi, il silenzio per molti anni ancora. Gli anni di un nuovo incontro con un
uomo generoso, onesto, attento a colmare quanto era venuto a mancare troppo
presto a lei e alle sue bambine, da lui amate come figlie. Gianni. Egli stesso
reduce da vicissitudini dolorose e per questo in grado di comprendere e amare.
Gli anni degli studi e degli amori giovani.
Gli anni dei matrimoni e dei nipotini. Gli anni della rinascita e delle rinnovate
perdizioni. Gli anni di ulteriori resurrezioni. Nel cortile della casa antica e
di mai perdute presenze.
Le lettere erano rimaste per anni in silenziosa attesa di essere rilette
alla luce dei nuovi passaggi esistenziali, così importanti da affievolire la
loro voce, la loro preziosa missione. Sì, anche le cose, anche gli oggetti
hanno una missione…
Poi, di nuovo improvvisamente, è accaduto qualcosa nella storia di Anna
Maria, portandola ad un passo dal ricongiungersi a lui, al suo mai dimenticato
Nicola che, ancora una volta, l’ha protetta rimandandola, generosamente, a
quanti l’amano quaggiù. E lei, improvvisamente ha avvertito l’urgenza di
riprendere carta e penna per ritornare a scrivere di un passato conservato,
come una reliquia, nel profondo del cuore. E ha scoperto l’urgenza di
riprendere quelle lettere ad una ad una per farne dono alle figlie, ai figli
acquisiti, ai parenti e agli amici, e soprattutto ai nipotini perché la breve
vita di un uomo tanto amato e tanto meritevole d’amore non venisse dimenticata.
È stata questa urgenza a spingerla a pubblicarle, accompagnandole con un’ultima
lettera… che risale a qualche mese fa.
Ed io mi fermo qui. Perché tutto il resto è sacro ed è da leggere con le
mani giunte e in punta di piedi. Inebriati dal profumo dell’autenticità, oggi
completamente in disuso. Inebriati dal senso che questo libro porta con sé a
conforto di quanti hanno vissuto esperienze così devastanti da infrangere ogni desiderio
di ritorno alla vita: la vita è spesso difficile e dolorosa, ma ci offre
inaudite risorse per resistere ad ogni imprevisto, ad ogni ferita, ad ogni
male, restituendoci prima o poi quello che sembrava perduto per sempre. “La
vita dà e la vita toglie. Non esistono certezze né porti sicuri…” (Sonia Sacco).
Basta non perdere mai il senso del valore della nostra esperienza vitale per
non perderci definitivamente. Basta crederci. Anche i miracoli avvengono se li
sappiamo scoprire.
E il miracolo più grande nella vita degli uomini è l’AMORE.
Gianni conosce bene i ricordi che mi legano a
Nicola. Sa che è rimasto continuamente presente nei pensieri e nel cuore.
Spesso mi dice sorridendo che le belle storie d’amore
si raccontano e si ascoltano sempre volentieri!
E noi ascoltiamo volentieri con una grande emozione nel
cuore…
Angela De Leo
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