lunedì 18 giugno 2018

Gelido è l’inverno (FOS Edizioni, 2018) di Anna Maria De Leo

Gelido è l'inverno

È di qualche giorno fa la pubblicazione di un libro che sicuramente catturerà l’attenzione di molti lettori perché commovente e vero. Si tratta di un diario epistolare, scritto quotidianamente, per più di dieci anni, oltre quarant’anni fa, da una donna giovanissima allora, straziata dal dolore per la perdita improvvisa del suo giovane sposo, dopo appena due anni di matrimonio in perfetta armonia.
Anni, anni, anni. Sì, gli anni del dolore scandiscono, in questo libro, il tempo del non avere più tempo, bruciato nello spazio di una tragedia che ha bloccato per sempre il tempo di vivere insieme, di progettare insieme, di tendersi la mano per procedere nel mondo e nella vita a piccoli passi, ma quanto preziosi perché vissuti in un delirio di giovinezza e di felicità, tanto agognata e finalmente raggiunta. Ma gli dèi sono invidiosi della felicità degli umani. Non bisogna mai urlarla la felicità se vogliamo che duri...  
Pubblicare Gelido è l’inverno in piena estate è come essere sorpresi da un “fulmine a ciel sereno”, ma è forse il tempo giusto per leggerlo in tanti, avendo un po’ tutti nell’estate una alleata di tempo libero, di mente sgombra dagli impegni lavorativi, e di giornate più distese e “vuote”. Ma gelido è stato il lunghissimo inverno di dolore di chi ha scritto queste pagine. E un gelido inverno offre la bellissima copertina al nostro sguardo: alberi spogli, quasi braccia imploranti tregua da ogni male ad un cielo di nebbia e di foschia, ma i tronchi affondano radici in un terreno di verde tenero come rinnovate speranze di giovani virgulti a spegnere il dolore e a rinnovare primavera. Gelido è l’inverno è uno dei quadri che Nicola Parisi ha lasciato come presenza di sé nella sua casa.
E, oggi, è un libro che prende immediatamente il cuore e ci inchioda alle tante lettere che Anna Maria De Leo ha freneticamente scritto per strangolare il dolore che la strangolava.
In realtà, oggi sembra assurdo affidare il proprio dolore ad una lettera; sembra molto più facile farlo attraverso i social, comunicando in tempo reale persino la morte di un proprio caro quasi per oggettivare il dolore così non devasta più di tanto perché non appartiene più solo a chi lo prova, ma lo si riversa sulla “piazza virtuale”, che ne farà oggetto di commenti e di parole, ben presto diluito in mille rivoli fino a disperderlo in brevi giorni, incalzato da altre notizie, altri commenti, altre parole. Brevi come il respiro. Soffocate anche dalle immagini, dai gift, dalle emoticon, dai like.
La lettera, invece, fino agli anni Settanta-Ottanta aveva conservato il suo profumo di intimità e il fascino trepido dell’attesa.
Anna Maria in quegli anni aveva solo quei quaderni bianchi a cui affidare le sue lettere, nelle quali trovavano nascondiglio, come in un nido silenzioso e protetto, i suoi pensieri, i suoi messaggi a Nicola, il suo momento in cui sentirsi ancora in comunione con lui.
Quante volte penso con rimpianto alle nostre serate. Alla nostra casa che era un vero nido sereno. A volte, seduti davanti al televisore, eravamo mano nella mano, quasi a tener vivo un dialogo nonostante le trasmissioni ci costringessero al silenzio. Ci bastava poco per essere felici e per sentirci “esistere” insieme. Una felicità fatta di piccole cose, di gesti affettuosi che riscaldavano l’anima. io per te, tu per me… Sempre uniti dall’amore!
Il suo nido era stato sbrindellato dall’uragano di un attimo ed ora era lei a volerlo ricostruire, in una casa ormai non più esclusivamente di loro tre “felici… felici… felici”, ma di una intera famiglia tutta stretta a lei vicino a tentare un conforto, una qualche amara compagnia, neri le vesti come nero il cuore. No. Non era quella la compagnia che le potesse restituire serenità in quella casa. Troppo nero e troppi occhi di pianto per consolare una giovanissima donna distrutta. E, allora, ecco le lettere per ricostruire in qualche modo, disperatamente, tenacemente, quel nido devastato, rametto dopo rametto, per ritrovarsi viva almeno con la sua bimba di breve felicità e con l’altro piccolino che di giorno in giorno le dava il sussulto di una nuova vita nel grembo disperato.     
E venne il tempo/ delle ore disperate/ a curvarmi le spalle. (…) A pugni stretti/ strappai l’anima/ e mi lasciai vivere.
E aveva solo ventisette anni.
Il libro contiene una sessantina di lettere delle migliaia scritte in un decennio di fittissima comunicazione unilaterale, ma necessaria per non impazzire. Sì, Anna Maria si è salvata anche per questo suo Diario quotidiano che la estraniava dalla insopportabile realtà per portarla in quell’“altrove”, dove era più facile sentire al suo fianco il marito adorato, dove poteva parlare con il suo Nicola nella speranza, e mai convinzione in verità, di essere ascoltata. Ma anche quella speranza l’ha tenuta in vita, prima ancora che la riscoprisse nei sorrisi spenti di Isabella, nei capricci tumultuosi di Nicoletta. Le due bambine a lungo sono state le rose e le spine dei tanti giorni di dolorosa solitudine. A lungo sono state il rimorso di essere sopravvissuta a Nicola che, a suo parere, avrebbe meritato più di lei di vederle crescere nell’arco luminoso delle sue braccia forti e protettive. Lei aveva avuto un’infanzia felice. Con lui, invece, la vita era stata già pesantemente in debito per avergli rapinato a soli nove anni gli occhi teneri di sua madre.
Credevo che la vita ti avesse sferrato tutti i suoi brutti tiri.
Era giunto da poco il tuo momento positivo e dovevi provare le gioie della paternità, raccogliere i frutti dei tuoi immensi sacrifici, avevi diritto alla tua parte di felicità…
L’ha tenuta in vita la rabbia per l’impotenza di fronte all’ineluttabilità del destino, di fronte alla protervia di una famiglia ricca e potente, ma priva di ogni etica, priva della delicatezza di mandare una voce di rammarico, un saluto non solo come atto doveroso e di umana pietà nei riguardi di una donna privata di suo marito e della gioia di vivere, ma soprattutto come vicinanza in una tragedia così immane da urlare al Cielo il nome del colpevole. Ma per alcuni esseri dis-umani non esistono colpe né pene né pentimenti, ma solo l’affannarsi a trovare il modo per sottrarsi persino al dovere di risarcire il danno con il minimo previsto dalla legge.
Amarezza che si aggiunse all’amarezza.
Hanno detto che la malattia gli ha, poi, procurato una fine lenta e straziante.
Io non gliela avrei mai augurata, nonostante tutto, nonostante non si sia degnato di scrivermi neanche un solo rigo né si sia interessato di noi e della tragedia che ci ha procurato.
Che il Signore lo perdoni!
Prima che morisse, gli hanno fatto firmare delle cambiali dal valore di venticinque milioni. I suoi legali temono che io rivendichi i miei diritti e corrono ai ripari.
Certe persone sono senza coscienza! I maledetti soldi, prima di tutto!
Sono solo poche lettere, ma quanto strazianti nella loro verità. E, con le lettere, alcune foto che sottolineano la gioia, il dolore. Ci sono anche le foto di alcuni quadri di Nicola Parisi a testimoniare la sua creatività, il suo talento pittorico, la sua solitudine prima di incontrare Anna Maria.  
Poi, il silenzio per molti anni ancora. Gli anni di un nuovo incontro con un uomo generoso, onesto, attento a colmare quanto era venuto a mancare troppo presto a lei e alle sue bambine, da lui amate come figlie. Gianni. Egli stesso reduce da vicissitudini dolorose e per questo in grado di comprendere e amare.
Gli anni degli studi e degli amori giovani.
Gli anni dei matrimoni e dei nipotini. Gli anni della rinascita e delle rinnovate perdizioni. Gli anni di ulteriori resurrezioni. Nel cortile della casa antica e di mai perdute presenze.
Le lettere erano rimaste per anni in silenziosa attesa di essere rilette alla luce dei nuovi passaggi esistenziali, così importanti da affievolire la loro voce, la loro preziosa missione. Sì, anche le cose, anche gli oggetti hanno una missione…
Poi, di nuovo improvvisamente, è accaduto qualcosa nella storia di Anna Maria, portandola ad un passo dal ricongiungersi a lui, al suo mai dimenticato Nicola che, ancora una volta, l’ha protetta rimandandola, generosamente, a quanti l’amano quaggiù. E lei, improvvisamente ha avvertito l’urgenza di riprendere carta e penna per ritornare a scrivere di un passato conservato, come una reliquia, nel profondo del cuore. E ha scoperto l’urgenza di riprendere quelle lettere ad una ad una per farne dono alle figlie, ai figli acquisiti, ai parenti e agli amici, e soprattutto ai nipotini perché la breve vita di un uomo tanto amato e tanto meritevole d’amore non venisse dimenticata. È stata questa urgenza a spingerla a pubblicarle, accompagnandole con un’ultima lettera… che risale a qualche mese fa.
Ed io mi fermo qui. Perché tutto il resto è sacro ed è da leggere con le mani giunte e in punta di piedi. Inebriati dal profumo dell’autenticità, oggi completamente in disuso. Inebriati dal senso che questo libro porta con sé a conforto di quanti hanno vissuto esperienze così devastanti da infrangere ogni desiderio di ritorno alla vita: la vita è spesso difficile e dolorosa, ma ci offre inaudite risorse per resistere ad ogni imprevisto, ad ogni ferita, ad ogni male, restituendoci prima o poi quello che sembrava perduto per sempre. “La vita dà e la vita toglie. Non esistono certezze né porti sicuri…” (Sonia Sacco). Basta non perdere mai il senso del valore della nostra esperienza vitale per non perderci definitivamente. Basta crederci. Anche i miracoli avvengono se li sappiamo scoprire.
E il miracolo più grande nella vita degli uomini è l’AMORE.
Gianni conosce bene i ricordi che mi legano a Nicola. Sa che è rimasto continuamente presente nei pensieri e nel cuore.
Spesso mi dice sorridendo che le belle storie d’amore si raccontano e si ascoltano sempre volentieri!
E noi ascoltiamo volentieri con una grande emozione nel cuore…
                                                                                      Angela De Leo




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