È
ormai giugno. Per alcuni cominciano le vacanze. Spesso è accaduto anche per me.
E alcune volte è capitato a me e alle mie sorelle, capitanate da mio cognato
Gianni, di andare in vacanza a Chianciano per ritemprarci con le benefiche
acque termali, lunghe passeggiate nel verde dei viali alberati ancora
illuminati dalle lucciole nelle siepi e lo scambio di allegre battute. Un paio
di anni fa, ecco una storia che conferma le mie ultime riflessioni sull’Amore.
Eccola.
Chianciano al tramonto era
tristezza e rimpianto. Un vuoto di gente sotto fitti rami attraversati dagli
ultimi raggi del sole morente, ma ancora infuocato di un giugno caldissimo e
sfibrato.
Il vecchio hotel, che aveva
conosciuto tempi di splendore e di eleganza, era immerso nell'insolito silenzio
di un'annata povera di clienti. Colpa della crisi e del disamore dei giovani
per gli anziani, la quiete, il termalismo. Chianciano languiva. I pochi clienti
del silenzioso hotel tacevano anche loro, seduti sull'ampia veranda colma di
sdraio e tavolini, sopraffatti da una tristezza che stringeva il cuore tanto da
non avere più neppure la voglia di raccontarsi.
Ad un tratto, un camioncino
multicolore frantumò il silenzio col suo irrompere nello spiazzo antistante
alla costruzione alberghiera di quattro piani semideserti, e vi portò
scompiglio. Una ventata di novità che ben presto si trasformò in allegria.
Scesero il conducente, un uomo anziano ma ben messo, ancora vivace e scattante
nel volto e nei movimenti, e una donna, sua moglie, più acciaccata,
rotondeggiante, sorridente, che si fece subito notare per il suo vestito che
faceva a gara con i colori del loro furgone. Si presentarono prima ai pochi
clienti seduti fuori con modi sbrigativi e catturanti: Antonio, Vinia; poi, al
gestore dell'albergo dietro il banco della reception. L'hotel in un attimo si
rivitalizzò, colorandosi della presenza chiassosa e ciarliera dei due nuovi
arrivati che, immediatamente, scaricarono dal furgoncino parecchi strumenti
musicali: mandolino, chitarra, fisarmonica, violino, armonica a bocca, flauto,
bongos, guiro, banjo, tamburelli, pianola, maracas, nacchere. E solo due
zainetti. Con grande meraviglia dei vecchi clienti, non portarono subito in
camera quell'intera orchestra ma la disposero sull'ampia terrazza, spostando
sdraio e tavolini per ricavarsi lo spazio necessario per tutti quegli “arnesi”,
manovrati con cura, mani delicate, occhi d'amore. Poi, la signora chiese scusa
ai presenti e andò in camera per rinfrescarsi e cambiarsi d'abito, mentre suo
marito con un sorriso tra il timido (vi chiedo scusa dell'ingombro) e lo
spavaldo (adesso vi dimostro come suono io!), prese il mandolino e cominciò a
pizzicarlo con maestria sulle note nostalgiche di canzoni napoletane del
repertorio classico che tutto il mondo conosce e canta e che ancora oggi
commuovono eserciti di emigrati in terra straniera. Tutti riproposero il
silenzio, questa volta incantato e assorto. Torna a Surriento, Santa Lucia,
'O marinariello, Io te vurria vasà, Voce 'e notte... invasero le ombre
rossastre di quella sera frastagliata di foglie e di raggi di sole fra ricami
d'alberi. Tutti cominciarono a cantare, dapprima sottovoce e solo le poche note
più facili, poi, a poco a poco, il coro si fece più alto e più armonioso.
Antonio lasciò il mandolino e prese tra le braccia la fisarmonica per un altro
repertorio sul filo della nostalgia. Poi, fu la volta della chitarra. Tutti
erano ora stupiti e coinvolti nella musica, nelle parole, sussurrate, urlate,
amalgamate perché nessuno fosse “fuori dal coro”.
Qualcuno chiese ad Antonio di
cantare per non “storpiare” quelle belle canzoni e lui, ammiccando compiaciuto
e come complice di una sorpresa, disse che stava arrivando il turno della sua
“reginella”. Nessuno capì e tutti azzardarono alcune note di Reginella, l'accorata canzone napoletana
così struggente e tenera, ma lui scosse la testa.
- Sto aspettando - disse con più
forza e guardando verso l'hotel - la “mia” reginella!
Allora, fu chiaro a tutti che
aspettava lei, sua moglie.
E lei giunse ed era un quadro di
Monet: ricamo di pizzi e pailletes sul nero del suo lungo vestito, svasato
oltre i poderosi fianchi, con tra i capelli a chignon una rosa rossa come le
accese sue labbra e denti di perle simili a quelle che brillavano al collo, non
proprio alla Modigliani, ma bianco e tornito sulla generosa scollatura da cui,
spavaldo, danzava l'abbondante seno.
Con disinvoltura e un largo
sorriso, Vinia accennò alle prime parole di Reginella:
Te si fatta 'na vesta scullata... con una voce ch'era trillo d'usignolo
a sovrastare una intera orchestra di altri suoni melodiosi che le fiorivano in
gola, un'intera orchestra che soverchiava il dolcissimo mandolino che pigolava,
singhiozzava, si disperdeva nelle note prolungate dei ricordi d'amore.
- Eccola, Vinia, la mia reginella,
un incanto la sua voce! - sussurrò incantato Antonio. - Che vi dicevo? Senza di
lei che mi dà le note non so suonare bene. Prendo delle stecche clamorose.
Vinia gli sorride divertita, si
applaude da sola invogliando i presenti a fare altrettanto, poi riprende a
cantare e a volteggiare, alternando alle nacchere, tamburelli e guiro.
È una farfalla leggera, vezzosa,
piena di languori e moine. Sembra una pagina di un libro di pop up o un
cartone di Walt Disney, oppure balza, così viva e vera, da un feuilletton
dell'Ottocento. È un miscuglio di grazia malizia soavità. Con quella voce che
sogna danza vola raggiunge il cielo dove anche le stelle ora si sono fermate ad
ascoltare.
Si abbandona sfinita sulla sedia,
mentre il marito la guarda orgoglioso, tenero, preoccupato. Lei lo rassicura.
Sta bene. È felice di essere con noi. Si fa conoscere e vuole conoscerci. Parla
con naturalezza della loro vita di pensionati dell'INPS con due figli lontani
ed un'unica identica passione: la musica. Sono autodidatti ed hanno speso quasi
tutta la buonuscita di entrambi a comprare quegli strumenti di grande valore,
alcuni rari altri provenienti da altre nazioni o altri continenti. E la voglia
di imparare. E la passione per dare voce e suono e canto a tutti quegli
strumenti accordati sulla voce di lei, ineguagliabile strumento uscito dalle
mani del Creatore. Direttamente da Lui. E guarda in alto e si commuove.
Lui l'ascolta e tace. La guarda
estasiato e convinto. Con le pensioni vanno in giro per il mondo a fare i loro
concerti gratuitamente con il solo gusto di un applauso. Per vedere la gente
finalmente cantare. Per dare agli altri un po' di quella felicità che loro
provano nella musica, nel canto.
Vinia si rialza, accenna ad una
piroetta festante e si risiede. Riprende a cantare, dopo aver intercettato
volti in attesa. Ha ormai stabilito un contatto magico con l'uditorio che, nel
frattempo, è andato infittendosi, con l'arrivo di altri clienti che erano in
giro per le strade semideserte di Chianciano, tra alberghi storici chiusi e
saracinesche di antichi negozi abbassate. Anche il personale dell'albergo è
uscito ad ascoltare: la cena stasera può aspettare.
Antonio ringrazia tutti con la sua
bella faccia con rughe che ridono. E guarda, rapito, il suo usignolo, la sua
reginella. Le lancia un bacio. Prende il violino. Attende le prime note e poi
si piega su di lei, la sfiora, l'ama, quasi s'inginocchia davanti ai suoi occhi
che brillano, trasfigurandola. È bellissima. Romantica. Appassionata. Non ha
più di vent'anni.
E lui, folgorato da tanto
splendore, suona solo per lei.
Il silenzio di chi ascolta è un
chiarore di pura magia su quei volti assorti e paghi di una ritrovata
giovinezza, che s'incanta al ricordo di antiche passioni, di mai dimenticati
amori.
Un lieve venticello smuove
sommessamente le foglie degli alberi che dal piazzale s'inoltrano nel bosco,
dove ogni sera fremono ancora le mille lucciole in gara con le stelle.
E Chianciano non è più una
tristezza che stringe il cuore. Sembra, in tanto buio, rinascere a nuova vita.
Anche il vecchio hotel sembra ridestarsi dal suo sonno improvviso. Non ci sono
più clienti anziani, sofferenti e annoiati. Tutti abbiamo un nuovo guizzo di
vitalità, un nuovo canto nel cuore. Come d'incanto anche questo mondo
malridotto e misero ha ceduto il posto alla speranza.
Potenza dell'Amore e dell'Arte. La
musica è il sorriso di Dio che risuona nei Cieli. “Vince dei secoli il
silenzio”. Brilla del sogno di tutti gli angeli nel firmamento.
Vinia e Antonio si abbracciano
felici sotto lo scrosciare dei nostri applausi e ci danno appuntamento a domani
perché è giunta l'ora di farsi le carezze private e di fare spazio ai sogni che
già sono in attesa tra i cuscini del loro letto. Dicono. La cena può aspettare.
A domani sera. Non hanno più fame. Nessuno ha più fame. Piano piano tutti vanno
via.
Peccato che per qualcuno il
soggiorno sia finito. Ma una nuova leggerezza aleggia tra mente e cuore, sfiora
l'anima.
Un anziano signore si attarda a
guardare il bosco, le lucciole, le stelle.
Sorride, rinfrancato, ai sogni di
Vinia e Antonio e forse scopre improvvisamente che si può sognare a tutte le
età e che basta poco per regalare un sogno e un mondo migliore anche agli
altri...
È solo questione d'Amore. L' Amore
esiste. Vinia e Antonio lo incarnano perfettamente. Due folli? No, solo due
innamorati.
“Oh, se tutto il mondo
s'innamorasse!”, sospira l'anziano signore dal cuore giovane.
‘Solo l'AMORE può salvarci’, penso,
non senza appena un filo di speranza...
E ricordo alcune parole del
protagonista del film Vi presento Joe Black, quando esorta sua figlia ad
avere una felicità delirante, proprio come quella di Vinia e Antonio. Sì,
proprio come quella.
“Abbi una felicità delirante!”
O
almeno non respingerla.
Lo
so che ti suona smielato ma l'amore è
passione,
ossessione,
qualcuno
senza cui non vivi,
io
ti dico: buttati a capofitto! Trova qualcuno
da
amare alla follia
e
che ti ami alla stessa maniera!
Come
trovarlo?
Beh...
dimentica il cervello e ascolta il cuore.
Io
non sento il tuo cuore.
Io
non sento il tuo cuore, perché la verità,
tesoro,
è che non ha senso
vivere
se manca questo.
Fare
il viaggio e non innamorarsi
profondamente,
beh... equivale a non vivere.
Angela De Leo
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