martedì 10 aprile 2018

Un faro che c’illumina ancora

Oggi, 10 aprile 2018, è il primo anniversario del volo tra le stelle di Giorgio Bàrberi Squarotti ed io desidero ricordare, a tutti quelli che lo hanno letto, studiato, apprezzato, conosciuto, amato, il grande critico letterario, il dolcissimo amico, il meraviglioso uomo, impregnato di umiltà, di generosità e di speranza, con qualche stralcio della mia lunga Prefazione alla sua ultima raccolta di poesie, Le voci e la vita, per la nostra Casa editrice, la SECOP Edizioni. Perché quanti leggono questi miei post possano sapere di lui e conoscerlo e riconoscerlo come luminoso FARO di cultura, di amore per le Lettere e di straordinaria generosità verso gli altri e la vita.  
“Scrivere della poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti, critico letterario, poeta e studioso di grande spicco nella vita letteraria di tutta la seconda metà del Novecento fino ai nostri giorni, non è facile. È come penetrare nel Tempio delle nostre Lettere e dissacrarlo con una presenza priva delle giuste competenze per apprezzare tutti i capolavori della Parola qui raccolti e fatti oggetto di contemplazione e di culto. Come entrare nella casa signorile del grande accordatore di tutti i pianoforti e altri strumenti musicali con l’ambizione di poter adoperare gli stessi ferri del mestiere, portati dalla propria bottega, pur nella consapevolezza di alcuni pezzi mancanti perché l’operazione sia portata a buon fine.
Pure… non posso fare a meno di cimentarmi nell’arduo compito, incoraggiata anche dal gentile invito dell’Autore, persona di straordinaria cultura e di grande umanità.
Di questo “mostro sacro” della nostra letteratura ho tra le mani la nuova raccolta di poesie inedite, intitolata Le voci e la vita, che ha suscitato in me grande emozione, dando la stura alle mille “voci di dentro” in consonanza con quelle che l’Autore ha evocato nei suoi versi. (…)
La silloge dilata immediatamente il particolare (le voci: poche, tante, innumerevoli) all’universale (la vita), per innalzarsi, tra mille contaminazioni etiche ed estetiche, a quel Respiro che Tutto comprende e tutti ci comprende. (…)
Le singole voci (pensieri, sentimenti, sogni, contraddizioni), connotano la nostra identità più profonda, per rimescolarsi, nella vita, che è in fondo la nostra umanità. (…)
Chiarori e ombre dell’esistere… E una via di fuga verso il cielo che è salvezza e verità…
La raccolta consta di quattro sezioni: “Il vero”, “I luoghi e il tempo”, “Simulacri”, “Racconti”.
In prima battuta, Giorgio Bàrberi Squarotti ci pone di fronte al “Vero”, trascendente e immanente insieme: molto più concreto della “verità”, senza essere mai afferrabile perché comunque invisibile, ma, forse, solo più percorribile nella sua visionaria realtà.
“Visibile è il reale, invisibile il vero”, dirà Piero Bigongiari.
E il lettore, sin dal primo componimento, che si intitola “La creazione”, si trova di fronte ad un Dio del tutto umano che irradia, comunque, luce divina. (…)
Ma quel che più sorprende è la straordinaria poesia del Creatore che si stupisce del meraviglioso suo manufatto: la Donna. La più bella e in sé compiuta tra tutte le sue creature. (…)
L’immenso mistero dell’Incarnazione (e della precognizione) e il quotidiano fluire del tempo messi insieme a imbrogliare la matassa tra l’umano e il divino in un minimalismo di alta filosofia…
 E tutto è identicamente umano, identicamente divino, anche quando tutto viene dall’Autore completamente ribaltato rispetto a certe “narrazioni” di eterno giubilo di fronte al mistero, per esempio, della nascita di Gesù (…)
E, invece, ecco il “vero” in agguato… E le verità evangeliche si mescolano con le passioni degli uomini e le querimonie delle donne di ogni tempo e di ogni luogo, in una visione spazio-temporale immaginifica e reale di straordinario impatto iconico, poetico, psicologico ed emotivo. Non senza una punta di stupefatta ironia. (…)
Altra suggestione di voci d’altri tempi che il poeta raccoglie e suggerisce. (…) Le voci azzerano tempo e spazio, ma sono richiami lontani. Memorie e nostalgie. Hanno l’inconsistenza dell’aria e la presenza del suono.
Le voci…
Voci narrate, voci narranti, “le infinite voci: le antiche, le quasi dimenticate” (…) mentre nell’aria le voci più disparate (una dolce… una acuta… una velata…) rompono il silenzio del triste stupore, dell’immutabile realtà.
Ma l’umano che ruba la scena al divino è presente pure in molte poesie di Giorgio Bàrberi Squarotti, con versi di straordinaria bellezza.
E il “vero eterno”: l’infinito amore, l’infinito dolore di un Dio fallibile nella sua infinita umanità, ma infinitamente divino nella sua indiscussa metafisicità-spiritualità .
Miracolo che il “curatore” di questi splendidi versi riesce a compiere, con una “sapientia cordis” che disarma e colma di ammirazione, nello scolpire la profondità abissale dell’amarezza di Dio di fronte alla inaspettata e forse inarginabile proliferazione del Male nel mondo.
In contrapposizione col male del mondo ecco l’Amore, topos, quest’ultimo, non sempre esplicitato ma sempre presente nei versi dell’Autore. Così come quel “lui”, raccontato tutto in minuscolo per disegnarne la “discrezione” (non s’impone mai sulla volontà degli uomini) e l’umiltà (da humus, cioè con gli occhi rivolti alla terra), è presente, testardamente presente, infinitamente presente. Senza un credo, una religione, un legame.
È in ogni voce, in ogni luogo, in ogni volto, in ogni fremito di foglia. Nel cuore del poeta, che pure, data la grande sensibilità, parla con pudore della Sua immanente trascendenza e della Sua divina immensità per il timore, tutto umano, che la segreta ansia di Lui, la sua segreta certezza possano essere violate dalla sua stessa narrazione.
Dio è l’Inesprimibile. Più dell’amore e di ogni umano sentimento, sentito intensamente e intensamente vissuto nell’intimità della propria anima.
In realtà, è questa Presenza, a mio parere, e non solo l’obiettività della narrazione, a rendere la poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti lieve, serena, intoccata dal dolore e protesa naturalmente al sogno, alla luce, alla speranza. E, nella società delle “passioni tristi” (Miguel Benasayag - Gérard Smith), questa compiutezza del cuore è davvero un privilegio e un prodigio.
Ma topos che percorre e fa rabbrividire di amorevole cura e estasiato piacere tutta la raccolta è sempre la donna, che si ripropone, nella seconda sezione, non più e non solo come Donna del “Vero”, ma come creatura delle tante “vibrazioni”: tentazione e sogno, in ogni tempo e in tutti i luoghi del mondo. L’unica a cui è stato concesso di “pro-creare”: un “creare per” eternare l’umanità. (…) Ricorrente ricamo di tutte le meraviglie. Umberto Galimberti, nel suo saggio Le cose dell’amore, sostiene che “la donna è l’esistenza” e “Dio è la vita”. Nell’esistenza incontriamo la materia; nella vita, l’essenza dello spirito. Il respiro dell’anima.
Una sensualità dolce e intensa sfiora i versi di tutta la raccolta e s’impadronisce del creato e di tutte le creature che vivono, respirano, amano. Reali. Irreali. (…)
E tutta la natura è tripudio di ogni palpito di esistenza e di vita.
Insoliti ossimori insuperbiscono i versi… E le domande sono “flussi di coscienza” appena accennati, che invitano a riflettere, ancora una volta, sull’attimo eterno di uno sguardo, che rende immutato il dato certo del tempo e del luogo, pur nel mutamento del tutto.
E così, via via, nelle altre poesie, con titoli concreti e spesso discorsivi, che anticipano una storia, una condizione esistenziale o estemporanea, un ricordo o un presagio. (…)
E tutto si disperde e tutto si ricompone nei molteplici piani di una realtà persino iperrealisticamente descritta, con attenti dettagli: vere e proprie zumate sulla natura, colta a “volo d’angelo” dalla macchina fotografica (o videocamera) del poeta, con estrema cura d’amore, che sempre traspare da ogni verso, su Monforte o sulle Langhe, colline e cieli dell’anima, per scoprire “le voci e la vita” in tutti i luoghi e non-luoghi che l’esperienza umana ha eletto a proprio Destino, secondo il Volere di Chi ha tutto previsto, programmato e già vissuto nell’eterno infinito…

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