mercoledì 4 aprile 2018

Ancora di lei





Sì. È ancora tempo di parlare di lei.
‘Come si fa a sopravvivere alla propria madre?’, mi chiesi mentre la portavano via e sapevo che era per sempre. Il tempo mi ha insegnato che si può. Si diventa improvvisamente orfani e adulti. Irrimediabilmente. E si diventa orfani dei miti e degli eroi. Delle voci che non riesci più ad ascoltare o a ricordare, delle canzoni che non sai più cantare e delle strade che non puoi più percorrere, degli amici che ti lasci alle spalle per sempre…
                          Di qui la solitudine di ciascuno, orfano tra la folla…
Ed ora puoi solo parlare di lei. Ed è sempre il tempo giusto per farlo. E lo faccio ogni volta che posso. Troppo è il rimpianto, soffocante la nostalgia. Perché solo dopo, solo dopo ho capito molte più cose di lei. Della sua sofferenza silenziosa. Solo dopo ho sgranato i miei tanti rosari dei comportamenti sbagliati con lei, anche con lei. I lunghi silenzi. I rarissimi incontri. La solitudine dolente che le procuravo
(ti ho persa vivente… non ti preoccupare fai le cose che devi fare… vieni quando puoi venire… chissà se ti rivedo ancora…)
Ed ora che mi manca come il respiro, lei non c’è nella sua casa per andarla a cercare e coccolarla con tutte le confidenze mai più sussurrate, con i baci mai più dati, con le carezze che avrei voluto depositare sulle sue guance di pesca chiara. Mi conforta a malapena il ricordo dei rari incontri nella sua casa e del mio prenderle la mano per coprirla di teneri tocchi leggeri con le labbra e i suoi occhi si slargavano di luminosa accoglienza in uno sguardo di illimitato perdono…

Mia madre la sconosciuta amata
l’isola del tesoro la benvenuta
il giorno della festa
biglietto di sola andata
giorni d’estate voglia di mare
(mia madre solo sogno da sognare)

Mia madre suonava da ragazzina
note di mandolino stelle da contare
capriccio in si minore
scarsa voglia di studiare
voli di risate incontro al sole
(mia madre è ricordo di viole)

Mia madre cantava ogni mattina
ugola d’argento e ombra della sera
Lilì Marlen e luce dei fanali
strade nei boschi tango di capinera
voce di pioggia pallida signorinella
(mia madre era la canzone più bella)

Mia madre giocava con le amiche
giochi di vento tra cuscini in volo
di bicchieri colmi d’acqua da versare
giochi di doppi sensi giochi di ruolo
giochi di divise e folli divertimenti
(mia madre regina di travestimenti)

Mia madre ballava anche da sola
un valzer blu mazurka spensierata
tango argentino sguardo malioso
in un bolero malinconia ingoiata
foxtrot polka gonna onda di mare
(mia madre labbra dolci da baciare)

Mia madre risata lunga di sua madre
malizia di parole dette o taciute
complicità di segreti mai rivelati
in passeggiate solitarie e mute
e nodi al fazzoletto passi di neve
(mia madre era una favola lieve)

Mia madre era pianto trattenuto
lieve piuma di nido mai partita
e tenere promesse alla stazione
lacrime nascoste e festa finita
andava via sul finire del giorno
(mia madre rondine senza ritorno)

Mia madre cucinava acqua e sale
angurie rossofuoco fagiolini da bollire
profumo di ragù frittate e pomi d’oro
focaccia con patate torte da farcire
forno acceso e paura di sbagliare
(mia madre una ricetta da conservare)

Mia madre era pianto silenzioso 
versava lacrime di solitarie stelle
lacrime di spine lacrime di vento
tristezza e rimpianto sulla pelle
e labbra mute da non potersi dire
(mia madre era lacrima da intuire)

Mia madre era bella più che mai
pelle di pesca occhi di luna scura
capelli neri e labbra di rose e miele
cipria profumata d’ambra pura

passo leggero e seni di velluto
(mia madre bella fino all’ultimo saluto)

Mia madre era la sconosciuta amata
l’isola del tesoro la benvenuta
il giorno della festa
biglietto di sola andata.
(“La ballata della madre”, da Le piogge e i ciliegi, romanzo inedito)

Nessun commento:

Posta un commento