domenica 22 aprile 2018

E ancora su “Poesia anima e respiro dell’universo”

Mi piace, oggi, trasmettere la meravigliosa emozione provata nell’ascoltare le splendide poesie dei cinque poeti coinvolti nel Progetto interculturale “Poesia anima e respiro dell’universo”, recitate nella lingua originale da ciascun autore e poi replicate dai bravissimi “lettori ad alta voce” (Mariella Sivo, Alberto Tarantini, Luciana De Palma, Franco Tempesta e in più, lettrice per una sera, Raffaella Leone), sapientemente capitanati dal nostro poeta e scrittore Zaccaria Gallo, che ha prestato la sua voce ad una poesia di Dragan e ad alcuni versi di Bratislav.
Serate magiche, magistralmente organizzate, coordinate e condotte (quasi sempre) da Raffaella Leone, Pr. della SECOP Edizioni.
La prima serata ha preso suono e ritmo e senso e significato con “I miei cento”, versi di Angela De Leo, che non riguardano gli anni o i chili dell’autrice, anche se non si discostano più di tanto dalla realtà, ma i suoi passi, i suoi sorrisi, i suoi sogni… e soprattutto la sua insonnia…
I versi sono stati interpretati in modo molto convincente e coinvolgente da un insolito Tarantini, che ha rinunciato alla sua istrionica ironia per modulare la voce in termini più morbidi e suadenti in consonanza con lo stile poetico dell’autrice.

I miei 100”
                                                   Il mondo è nelle mani di coloro
                                                                 che hanno il coraggio di sognare
                                                                 e di correre il rischio di vivere i propri sogni
                                                                 ciascuno con il proprio talento.
                                                                 Non desistere mai dai tuoi sogni,
                                                                               segni e segnali.
                                                                                                           (Paulo Coelo)                                                                                                                                                                   
Ho ancora 100 passi
per attraversare le mie ombre
e giungere alla riva dell’approdo.
O andare a caccia di stelle
col retino delle farfalle
quando dal lucernario scendono
nel mio prato e inventano la notte.
                                              (quando di notte io)
Ho ancora 100 mani
per ingabbiare sogni/illusioni
e con perni e chiodi e filo spinato
fissarli sul cuscino dell’indifferenza.
100 mani ancora
per aggrapparmi alle funi
del mio mai spento sorriso
e risalire ai giorni dei papaveri
e delle rose in gara nel mio cortile.
                                                  (quando di notte io)
Ho 100 conchiglie di richiami
a portarmi l’eco di cento amori
vissuti e mai dimenticati
e ancora cento da dimenticare
e amori che tornano e amori che vanno
e si disperdono con le ombre della sera
e nebbie di memorie svanite nell’andare.
                                                   (quando di notte io)
Ho 100 bocche
per tacere un segreto
storie di misteri e di follie
quando tumulto ribollivano
ricami di parole e risa d’uvaspina.
Ho 100 pupille
e cento sguardi amari
per fissarti l’anima in fuga
a specchiarsi dentro il cuore
che arde ancora di antiche rovine
e sa la pena e l’allegria un cedere
di ali alla deriva di ogni appiglio.
                                                   (quando di notte io)
100 canti mi rimangono
per impedirti d’andare via
quando s’azzera il tempo
sul nostro cielo incredulo
del tuo passarmi oltre senza
riconoscermi senza voltarti
a inseguire orme di passi perduti
E scoprire il senso di cento parole
perse nei campi del plumbago in fiore
in una festa di turchina nostalgia
e si era appena a maggio.
Poi venne giugno e tu voltasti pagina.
Si spensero i cento addii tra un solo
No
che uccise anni e sorrisi.
          Inutili le 100 carezze tra dita
          sfioranti il tuo volto di luna
          e cento lacrime mai versate
          disperse radici in cento fiumi
          Nel mare della dimenticanza
          cancellarono il sogno sfinito
                                        (non più di notte io)
Era d’estate…
… stelle ancora muoiono e rinascono
         squarciano cieli di luce…
 (almeno cento stelle ridono ancora l’alba)                        
(Angela De Leo, da L’ora dell’ombra e della riva)
Sono state lette, poi, in tutte e tre le serate due poesie di Bratislav Milanovic, tratte dal poema “Lettere da un futuro remoto”, due poesie di Kayoko Yamasaki, due di Ljubica Rajchic e due di Dragan Mraovic. Qui ne do solo un piccolo assaggio per una grande emozione.

II

Ti scrivo dal fondo dell'abisso, all'antica,
a mano, prima che le dita diventino rigide per il gelo
perché nessuna posta elettronica riesce
a raggiungerti - tanto hai reso incolmabile lo spazio...

E tu non rispondi, ferma sulla città,
sul monte di ogni magia, dove con un sospiro
in due abbiamo sciolto le ore e svegliato le magnolie
in primavera, d’estate, in autunno e durante l’inverno...

Ti scrivo a mano perché solo così posso
di nuovo toccarti la pelle e le labbra,
eccitare il punto nevralgico dei tuoi sensi
che stimolano il corpo, la mente e la voglia,

solo così mi abbraccerà il tuo respiro
umido invece del vento nell’abisso tra il nulla
e il vuoto, questa notte... ancora questa...
che mi solleverà da questo sotterraneo luogo come un’esplosione.

Lì, nel tempo ancora troppo giovane, la speranza resta speranza.

Ti scrivo: qui, dal fondo, il sole conquista ogni palmo
di questo corpo che è ancora un giardino colmo di sfide
laggiù, da te, nel passato, solo laggiù ancora...
E desidero solo d'esser divorato dal deserto.

Voce di un amore folle e appassionato, quella di Bratislv Milanovic, ma anche fortemente onirica e visionaria, pur nel realismo che misteriosamente pervade di grande sensualità e tenero erotismo tutto il poema. Le lettere, scritte rigorosamente a mano come le lettere d’amore di un tempo che ignorava la posta elettronica e il linguaggio sincopato e privo di ardore, si distendono in tutta la pienezza di un sentimento tenace e testardo, a dare una dimensione altra dello spazio e del tempo che va oltre lo spazio e il tempo, quando s’ingemma d’infinito, tanto è grande da sfidare anche la morte. E un fremito di commozione ha sfiorato la pelle e il cuore del numeroso pubblico in sospensione. In un silenzio che sapeva di ascolto e condivisione…
Poi ecco i versi della dolcissima e meravigliosa Kayoko Yamasaki Vukelic, letti con molto pathos da Mariella Sivo, emozionata e felice.

“La scala, due angeli”
Siamo venuti a porgere
Un pezzettino dell’amore
Con le manine
Che abbiamo teso
Il giorno
Della nostra nascita

Con un pianto forte,
Con un sorriso silenzioso,
la vita si sostiene
alla vita:
saliamo
le scale.

Quando ci rapinano
Acqua e aria,
quando ci spengono la luce,
ci teniamo per mano.

La vita ascolta la vita:
e senza
in silenzio
saliamo.

Questa mattina,
da quando gli angeli
sono tornati al cielo,
brillano nel buio
solo le orme
dei nostri piedini.

Per questo saliamo
Le scale
Da cui loro
Hanno preso il volo.

È la tristissima storia di due bimbi fatti prigionieri e poi uccisi durante la rivoluzione del 1999 nel loro Paese. E la tenerezza della coraggiosa autrice nel denunciare il misfatto è tutta nei diminutivi che usa per descrivere la prigionia e la morte dei due piccoli angeli: “pezzettino”, “manine”, “piedini” e, ancora, nel “tenersi per mano” dei due bambini mentre nel silenzio si confortavano per la mancanza del cibo e l’assenza della luce. Quale condanna più crudele verso l’innocenza e il candore? Solo gli angeli li sollevano in volo lungo la scala dorata che porta al Cielo.
Denuncia sociale e aderenza alla realtà molto forti con una delicatezza e lievità di grande impatto emotivo e poetico. E, tra l’altro, Kayoko canta come un usignolo.

 La ribollente, spumeggiante, bravissima Ljubica Rajkic, rumena, invece, recita due poesie dolenti, amare, ironiche, che vengono replicate, la prima sera, dalla poetessa e scrittrice Luciana De Palma; la seconda, da Raffaella Leone (che legge anche due poesie della sottoscritta), e la terza sera da una lettrice romana, di cui purtroppo non ricordo il nome.
“In questo amore faccio tutte le parti”

In questo amore faccio tutte le parti.
Non per motivi artistici.
Anzi, confesso che lui è un attore migliore di me.
Perché non confessarlo?
Ma è molto, proprio molto più negligente.
Sbaglia le repliche. Spesso. Si ritira.
Perde tempo per le sciocchezze.
Cambia volentieri le parti e gli avvenimenti.
La cosa peggiore è che lui odia gli happyend.
Essendo un intellettuale di razza,
lui ritiene che ogni lieto fine sia banale e non reale.
Per questo non gli permetto di mettere in pericolo
della mia vita l’avvenimento centrale.
                                    Finale.
(il mio primo monodramma si è svolto così:
mia nonna mi ha chiesto di prendere in prestito
un tritacarne.
Ho aperto il portone dei vicini,
ho chiamato la padrona e le ho detto:
bacio le mani, nonna Angelica!
Sii benvenuta, pulcino mio!
Mi manda mia madre Ljubica per farmi prestare
il tritacarne,
il nostro non funziona più…
te lo do subito, mia cara, e portalo alla mamma
e chiedile se ha fatto del formaggio,
mica quelle mucche sceme hanno pascolato
inutilmente, e grazie e arrivederci, pulcino mio…
Dopo aver parlato tutto d’un fiato, lei mi ha consegnato
il tritacarne
e mi ha baciato sulla fronte).
È la via più sicura verso il successo nella vita.
Ma questo monodramma oggi è un po’ diverso.
Niente pubblico né applausi, ma che m’importa?
Neppure lui è rimasto fino al sipario calato.
Non gl’interessava.
Questo monodramma non è stato rappresentato su questa terra.
Ma se in cielo contano i fatti, e contano,
io, quando non conterò più i miei giorni…
andrò a ritirare il mio premio.
“ljubica” in italiano significa  “amore”. E Ljubica è davvero una creatura d’amore. Da amare. Nonostante una vita contrassegnata da tante lacrime per un rapporto coniugale miseramente finito e per tante altre vicissitudini non sempre serene, Ljubica ha sempre un sorriso a illuminare il giorno. Ha sempre un dono tra le mani, una battuta divertita e divertente per sdrammatizzare ogni esperienza negativa. E, anche se nel suo Paese ricopre incarichi di grande prestigio e responsabilità a livello ministeriale, è di una semplicità incredibile e di una grande attenzione agli altri. E solo i Grandi sanno essere umili e attenti ai propri interlocutori.
Poesia allusiva, la sua, con una sorta di simpatica pruderie, che non ha niente di affettato, ma solo di disincantato divertissement perché tutto risulti giocaso e gioioso per minimizzare la delusione e il pianto.
E un Grande attento a tutti è Dragan Mraovic, il traduttore in serbo della “Divina Commedia”, del “Decameron” di Boccaccio, dei “Canti” leopardiani e potrei continuare all’infinito…
Di lui ecco una poesia d’amore dedicata alla sua splendida compagna di vita da molti anni ormai. È tratta da: “Libro bohémien”.
“So, cara” (a quella che mi amerà per ultima)

So, cara, che goccia dopo goccia un giorno in meno mi rimane;
lasciami brindare, non hai colpa, tu, fatta di marzapane.

Tu, la migliore, peccato che non sia stata la prima ad avermi,
non piangere e mandami un bacio nel bel mondo dei vermi.  

Poi, quando i fiori avranno il mio volto sotto il cielo sereno,
Dirai che se fossi stato migliore, mi avresti amato di meno.

Anche Dragan, come Ljubica, ama la poesia che nasce da ogni esperienza vissuta sulla propria pelle, ma con un’adesione più goliardica e sorridente alla concretezza delle cose, delle situazioni, delle atmosfere. Anche Draga gioca con le parole e le piega alla sua mordente ironia, con lo straordinario vitalismo, tipico dell’uomo bohémien, che ama la libertà, la fantasia, il coraggio di osare l’inosabile. E si perde nella malinconia della notte. Dragan ama le “piccole stradelle” della sua Belgrado addormentata e sa brindare alla suadade che il buio fa lievitare nel cuore con un baccale di birra tra le mani e una sorta di fatalità nell’accettare la vita che passa “goccia dopo goccia” e scivola sotto i ponti del Danubio e della Sava, da sempre stretti in un abbraccio di acque prima che l’alba canti il nuovo inno alla vita.
E noi ci siamo sentiti abbracciati e vivificati dal respiro di tanta Poesia, recitata con sacro rispetto, tanta grazia, immenso amore…
                                                                                       Angela De Leo

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