venerdì 13 aprile 2018

12 aprile 2018: canto di primavera


La primavera esplode in tutto il suo miracolo di primavera, nonostante la Terra sia un delirio di violenza, d’indifferenza, di arroganza. Ma testardo il filo d’erba spunta sulla roccia e sui rami secchi del mandorlo, del pesco, dell’albicocco, del melo e dei ciliegi si schiudono nuove gemme e nuovi fiori. La natura torna a sorridere. 
Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.
(Kobayashi Issa - 1763-1827)
Un canto di rinnovata speranza s’affaccia a fatica nel cuore, ma diventa realtà, quando avverti che è determinato a farsi spazio in questi nuovi giorni che sanno di ricordi e di rinnovata nostalgia, non di un tempo che non può più tornare, ma dei sentimenti belli che possiamo forse ancora salvare.
“In primavera, con lo splendore della natura che esplodeva d'erba, di pratoline e di fiori di campo, tu andavi a casa dei nostri tanti amici e li invitavi a venire con noi in campagna all'alba del giorno dopo. Molti venivano in bicicletta, altri salivano sul traino con noi. E il cielo era un ricamo d'alberi. L’alba spegneva le stelle e vinceva lentamente il buio,     rischiarando i nostri occhi spalancati di stupore su quella natura rigogliosa e ricca di frutti. Le nostre labbra chiacchierine si confidavano, in bisbigli d'intesa, confidenze di amori appena nati. Nel campo dei ciliegi sciamavamo tra i rami e tu, appena di ritorno, vestivi a festa il nostro quartiere con ceste di rosse ciliege che distribuivi in tutte le case. E le case si accendevano di colore e di allegria: adulti e bambini si riempivano le mani degli accesi frutti, raggruppati dai lunghi gambi e ricoperti dalle verdi foglie
(ciliegie di maggio ciliegie d’assaggio ciliegie di giugno ciliegie a pugno…)
Già da bambina avevo imparato quel rito festoso che salutava di gioia la nostra primavera...
(sì bbéddə accòmə a ‘na cəràsə…) (sei bella come una ciliegia…)
Lungo le strade le ragazzine, con quelle lampade accese ai lobi delle orecchie, cantavano la spensieratezza dei loro pochi anni, dilatando lo spazio angusto tra quelle case antiche, dove il cielo era un lungo rettangolo blu definito dai terrazzi anneriti di tempo e di impervie stagioni...

Questo è il tempo delle ciliege,
le ciliege si vanno a cogliere,
si vanno a cogliere ad una ad una,
questo è il tempo del primo amor...
La cintura stretta stretta
e la gonna larga larga,
le scarpette a punta a punta:
io ballerò con te...
Io danzerò con te...

Questo è il tempo delle ciliege,
le ciliege si vanno a cogliere,
si vanno a cogliere col panierino,
questo è il frutto del mio giardino...
La cintura stretta stretta
e la gonna larga larga,
le scarpette a punta a punta:
io ballerò con te...
io danzerò con te...
Divenuta ragazzina anch'io, adoravo quelle ciliegie: rosse, dolcissime, morbide, profumate
(cerasèlla cerasé/quànnə è tìmbə də cəràsə/ tu mə dai tre o quattə vàsə/ cərasèlla cərasé/ quànnə è tìmbə də limónə tu m’assàssə ‘nu scəcaffónə…
Nunzio Gallo e Aurelio Fierro cantavano)
Le ciliegie erano per me quasi labbra baciate di donna innamorata e amata
(“Labbra dal disìo baciate”, come avrei letto e scoperto più tardi)
E, poi, via via, fioroni e gelsi e nespole e prugne e fichidindia. Grosse ceste di uva matura e dolce da scaldare l'anima. “Spórtə” (panieri stretti e profondi di sottili sarmenti d’ulivo intrecciati) e “spərtéddə” (panierini) di olive verdi e brune da fare in salamoia o con la calce oppure da far scoppiare nel tegamino o sotto la cenere e da mangiare col pane fra boccali del tuo ottimo vino e, per quegli anni, insolite risate.
C’erano più frutti che fiori allora nella nostra casa a colorare e a profumare i giorni”.
(da Le piogge e i ciliegi, romanzo di prossima pubblicazione)

Quel tempo è passato, certo, e i mandorli e i ciliegi sono sempre più rari nei nostri campi: non danno più il guadagno sperato. Si tentano nuove colture più remunerative. Non regna più la gioia del dono nelle case di questo nostro Sud così dimentico dei tanti tesori, che la terra gli ha sempre regalato tra sudore e fatica, ma la necessità del “dio-denaro”.
Pure, l’altroieri, mi è capitato di andare in macchina attraverso le vie deserte e silenziose dei nostri campi e con mio grande stupore ho visto nuvole bianche e vaporose, e tenere e morbide di trasparenze di veli, a ricamare le chiome degli alberi in festa. Il cuore ha esultato. I miei amati ciliegi in fiore. Meravigliosi a profumare il cielo. E in quel silenzio ho cantato in silenzio il mio inno alla primavera: la canzoncina della mia infanzia/adolescenza: questo è il tempo delle ciliegie…
E mi è sembrato che ogni altro miracolo potesse accadere, al di là di ogni inevitabile cambiamento che ha inaridito anche i sogni e il cuore…
E mi sono ritrovata a pregare: Signore, facci recuperare almeno i sogni e il cuore. Solo nel cuore si può compiere il miracolo di rinnovare sogni e speranze. Nuovi progetti di vita. Fa’ che le nuove generazioni lo sentano battere dentro forte e vero.
Il pensiero dei giovani e dei bambini, le vere vittime di questi nostri anni, si è fatto strada nella mia preghiera, altrettanto silenziosa come il mio canto.
E inevitabilmente, come spesso accade, il mio pensiero ha percorso strade al passato per incontrarti ancora nei miei ricordi, le mie parole:
“I bambini non hanno bisogno delle nostre preghiere. Essi stessi incarnano la gioia di vivere.
I giovani, invece, vanno scoperti, ascoltati, conosciuti, compresi, amati, perché non si disperdano come foglie al vento, non siano flutti di mare in tempesta, non conoscano il naufragio delle stelle d’agosto col capo piegato in un cespuglio e braccia ferite di nero e di morte.
 Perché s’innamorino eternamente come fanno i ciliegi a primavera.
Solo così l’umanità può contare ancora albe e ancora tramonti
 E rinascere oltre la notte e le perdute sere
So che dentro viviamo innumerevoli primavere proprio come i ciliegi del tuo antico campo che, fiorivano col primo tepore del sole e s’addormentavano con le prime farfalle di neve”.
(ancora uno stralcio del romanzo)

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