venerdì 2 marzo 2018

LE VOTAZIONI


Dopo una campagna elettorale avvilente, che finalmente si è solo in apparenza placata nel “silenzio pre-elettorale” e nei bizantinismi sotterranei della caccia all’ultimo voto, costi quel che costi, io provo nuovamente il desiderio di tornare al passato, in quel mondo della mia infanzia, sicuramente difficile e tumultuoso, ma dignitoso e onesto, dove la parola data era una sola, e veniva sancita con una stretta di mano. E il mio ricordo si ferma questa volta sulla paura vissuta da me e da mia sorella Lizia nel giorno del Referendum del 1946. Il brano è tratto ancora una volta dal mio libro di prossima pubblicazione “Le piogge e i ciliegi”. “Certo, avevamo pasticciato con le alleanze durante la guerra, ma il fascismo era stato spazzato via in un bagno di sangue dagli Alleati e da quella terribile guerra civile tra fascisti e partigiani che alla fine ci vide tutti sconfitti nella nostra dignità di esseri umani. Il re aveva abdicato in favore del figlio, ma anche questo giovane rampollo di casa Savoia, il “re di maggio”, fu obbligato a scegliere, non senza polemiche e per evitare nuovi lutti, la via dell'esilio, essendo stata proclamata in Italia la Repubblica con il Referendum del 2 giugno 1946. Ricordo ancora, come un incubo, la paura che mi sorprese, subdola e infinita, quando tu, mamma, nonna e babbo foste costretti a lasciarci da sole in casa per andare a votare. Avevamo, Lizia e io, cinque e quattro anni appena compiuti. Le donne votavano per la prima volta e non sapevano come fare. Avevano bisogno di voi uomini per farsi coraggio e dare il loro voto. In casa già nei giorni precedenti lievitò una grande nebbia di incertezza e di tensione. L’unico ad avere le idee chiare forse era babbo, chiuso nel laconismo di chi è sopravvissuto all’orrore. E don Mincucciouno, il nostro amico sacerdote, che curava tutte le pratiche burocratiche delle tue proprietà e che vi aveva suggerito più e più volte come votare, dove apporre la firma o la croce, ma voi respiravate perplessità e ingoiavate preoccupazione e dubbi e paure. Nonna Angelina dichiarava che lei non ci capiva niente e che avrebbe preferito non votare tanto avrebbe comunque sbagliato e che, alla fine, “non era col suo voto che si salvava l'Italia”. Mamma si sforzava di mantenere la calma, ma si tagliava a fette il suo timore per qualcosa che le sembrava oscuro e minaccioso per il nostro futuro. Io e Lizia attendemmo impaurite che usciste di casa per quella missione per noi misteriosa, oltre che carica d'insidie. Ricordo che ci stringemmo vicine vicine in attesa del vostro ritorno, aggrappandoci al davanzale della finestra della cucina, dopo essere salite sulle sedie, per guardare attraverso i vetri la strada e i rari frettolosi passanti. Io e lei, pendoli silenziosi del tempo con il cuore pulsante in tutta la casa Spaventate dai passi che sentivamo pesanti lungo la via e da quelli ancora più minacciosi e vicini che ci assalivano alle spalle, ci ghermivano, c'impedivano di respirare, di parlare, di piangere. Un secolo. Due secoli. Tutto il tempo del silenzio, della paura e dell'angoscia. Poi tornaste e ci sembrò il miracolo atteso per le nostre preghiere soffocate “Angelo di Dio...”. Mai avevamo tremato tanto. Forse solo quando, stando sempre appollaiate sulle sedie, dietro i vetri della finestra della cucina, nostro quotidiano rifugio quando volevamo “guardare fuori”, vedemmo piovere cenere dal cielo. Tutti in casa si spaventarono. E noi con loro per contagio. Si disse poi che era stata l’eruzione del Vesuvio. E noi scoprimmo un nuovo fenomeno del tutto sconosciuto. Io avevo appena due anni, ma quella cenere mi piovve tra la strada e gli occhi e si fermò nella memoria. La pioggia di cenere finì. La paura rimase.” 

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