Dopo una campagna elettorale avvilente, che finalmente si è
solo in apparenza placata nel “silenzio pre-elettorale” e nei bizantinismi
sotterranei della caccia all’ultimo voto, costi quel che costi, io provo
nuovamente il desiderio di tornare al passato, in quel mondo della mia
infanzia, sicuramente difficile e tumultuoso, ma dignitoso e onesto, dove la
parola data era una sola, e veniva sancita con una stretta di mano. E il mio
ricordo si ferma questa volta sulla paura vissuta da me e da mia sorella Lizia
nel giorno del Referendum del 1946. Il brano è tratto ancora una volta dal mio
libro di prossima pubblicazione “Le piogge e i ciliegi”. “Certo, avevamo
pasticciato con le alleanze durante la guerra, ma il fascismo era stato
spazzato via in un bagno di sangue dagli Alleati e da quella terribile guerra
civile tra fascisti e partigiani che alla fine ci vide tutti sconfitti nella
nostra dignità di esseri umani. Il re aveva abdicato in favore del figlio, ma
anche questo giovane rampollo di casa Savoia, il “re di maggio”, fu obbligato a
scegliere, non senza polemiche e per evitare nuovi lutti, la via dell'esilio,
essendo stata proclamata in Italia la Repubblica con il Referendum del 2 giugno
1946. Ricordo ancora, come un incubo, la paura che mi sorprese, subdola e
infinita, quando tu, mamma, nonna e babbo foste costretti a lasciarci da sole
in casa per andare a votare. Avevamo, Lizia e io, cinque e quattro anni appena
compiuti. Le donne votavano per la prima volta e non sapevano come fare.
Avevano bisogno di voi uomini per farsi coraggio e dare il loro voto. In casa
già nei giorni precedenti lievitò una grande nebbia di incertezza e di
tensione. L’unico ad avere le idee chiare forse era babbo, chiuso nel laconismo
di chi è sopravvissuto all’orrore. E don Mincucciouno, il nostro amico
sacerdote, che curava tutte le pratiche burocratiche delle tue proprietà e che vi
aveva suggerito più e più volte come votare, dove apporre la firma o la croce,
ma voi respiravate perplessità e ingoiavate preoccupazione e dubbi e paure.
Nonna Angelina dichiarava che lei non ci capiva niente e che avrebbe preferito
non votare tanto avrebbe comunque sbagliato e che, alla fine, “non era col suo
voto che si salvava l'Italia”. Mamma si sforzava di mantenere la calma, ma si
tagliava a fette il suo timore per qualcosa che le sembrava oscuro e minaccioso
per il nostro futuro. Io e Lizia attendemmo impaurite che usciste di casa per
quella missione per noi misteriosa, oltre che carica d'insidie. Ricordo che ci
stringemmo vicine vicine in attesa del vostro ritorno, aggrappandoci al
davanzale della finestra della cucina, dopo essere salite sulle sedie, per
guardare attraverso i vetri la strada e i rari frettolosi passanti. Io e lei,
pendoli silenziosi del tempo con il cuore pulsante in tutta la casa Spaventate
dai passi che sentivamo pesanti lungo la via e da quelli ancora più minacciosi
e vicini che ci assalivano alle spalle, ci ghermivano, c'impedivano di
respirare, di parlare, di piangere. Un secolo. Due secoli. Tutto il tempo del
silenzio, della paura e dell'angoscia. Poi tornaste e ci sembrò il miracolo
atteso per le nostre preghiere soffocate “Angelo di Dio...”. Mai avevamo
tremato tanto. Forse solo quando, stando sempre appollaiate sulle sedie, dietro
i vetri della finestra della cucina, nostro quotidiano rifugio quando volevamo
“guardare fuori”, vedemmo piovere cenere dal cielo. Tutti in casa si
spaventarono. E noi con loro per contagio. Si disse poi che era stata
l’eruzione del Vesuvio. E noi scoprimmo un nuovo fenomeno del tutto
sconosciuto. Io avevo appena due anni, ma quella cenere mi piovve tra la strada
e gli occhi e si fermò nella memoria. La pioggia di cenere finì. La paura
rimase.”
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