Lunedì,
26 febbraio 2018
Nevica.
Abbiamo una neve annunciata dal meteo già da alcuni giorni. È stata, dunque,
una neve attesa, ma l’incanto è rimasto quello che mi sorprendeva da bambina.
Ed ecco un tuffo nel tempo passato, racchiuso nel libro, Le piogge e i ciliegi, che presto vedrà la luce… Spero.
“Le
lunghe sere d'inverno si colmavano delle tue parole.
Racconti
fantastici, aneddoti, ricordi di guerra, filastrocche in dialetto illuminavano
il buio delle nostre notti.
(Il
giornale radio, non ancora pausa breve di realtà da me ignorata).
Fuori
la neve vorticava silenziosa, posandosi incantata e leggera sui davanzali delle
finestre, sui vasi dei balconi stretti in strette strade che dimenticavano il
cielo alto su alti terrazzi quasi a toccarsi tra loro”.
E quel sogno bianco
attraversò la tenerezza della mia infanzia quando vidi turbinare quelle
farfalle luminose e candide come piume d’angeli per la prima volta in via
Maggiore angolo via De Rossi, dove era di casa la mia prima casa. Ma già a sei
anni andai via in un paesino sui monti del Gargano… e anche lì la neve fu
prodigio da guardare con occhi grandi e cuore in tumulto…
Anche “… in quel paesino,
che si arrampicava fino al cielo, cadeva la neve. Tanta. A novembre quelle case
da presepe, ed esposte a mille venti e all’incessante precipitare delle pietre
lungo le scarpate, si vestivano di bianco e di silenzio.
E
del nostro stupore
Noi, appollaiati dietro i
vetri al tepore di maglioni indossati l’uno sull’altro e dei bracieri accesi
nelle diverse stanze… senza la tua voce il fuoco le scintille i tuoi racconti.
Magia di un silenzio come
di bianca preghiera, di sposa all’altare, di bianche lucciole fluttuanti a
mezz’aria senza più mani ad interrompere il loro lieve e incantato volo…
E quelle vie sembravano
inerpicarsi davvero fino al cielo, nell’imbroglio della tormenta che lo rendeva
più sfumato e vicino, e con piccole sporgenze sul lastricato dove noi, se
costretti ad uscire per andare in chiesa sulla cima più alta di quel nido di
case, piantellavamo i piedi per avere maggior forza nell’attraversarle incolumi
senza scivolare sul ghiaccio…
E… meraviglia delle meraviglie!
La bianca neve, da noi raccolta a piene mani e messa in grandi bicchieri
fioriva di rosso per il vincotto che tu ci mandavi. Dolce delizia di
acceso corallo in quell’abbagliante splendore... e
non era più neve.
Era nonno. Era
nonna. Era carezza. Era amore. Lontananza.
Breve ricordo… piccola nostalgia…
Nell’aria trasognata
intrisa di silenzi
tra case di cristallo addormentate
bianche farfalle di neve
su vesti nere
in fila lungo la scia di campane
passere scure a punteggiare
una fiaba di magico candore
(la
mia infanzia)
(“La mia infanzia”, da il
gelso e le rose)
(Oggi non più. La neve è inquinata. E il vincotto è
diventato una rarità. Né le vecchine vestite di nero affollano le chiese, che
rimangono silenziose e prive di preghiere. Estranee al mondo. Nonostante il
rinnovamento della Chiesa con il Concilio Vaticano II, convocato da Giovanni
XXIII nel dicembre del '61, una rinata speranza).
E,
più tardi, la neve morbida e bianca, che si posava sui rami spogli del gelso
rosso senza più colore né nidi e bisbigli nelle sere del loro ultimo canto, si
riprese la tua fiaba e ci restituì la tua voce, mentre s’addormentava sul tetto
spiovente della tettoia degli attrezzi dei campi; sul grande camino al centro
del cortile; sulla gabbietta intirizzita del nostro usignolo; sul bianco più
bianco del nostro incanto.
Noi
si restava al buio. Per guardare quella coltre soffice come di luna a regalarci
il silenzio delle cose e degli uomini. I volti rischiarati dalla penombra
rossastra dei carboni accesi nel braciere e gli occhi persi su quel sognante
volo, su cui fiorivano le immagini evanescenti che le tue parole accendevano
davanti ai nostri occhi.
(E
il giornale radio ad interrompere l’incanto e la fantasia per darci scampoli di
realtà).
E
anche oggi nevica...
Sì,
nevica. I lucernari cominciano a coprirsi di fiocchipiume e il giardino si fa
candido parco d’argenteo lucore...
Lara
mi sorride, triste, in attesa di Zivago, il suo dottore poeta, e i girasoli del
loro incontro sono ancora sepolti dalla neve...
Il
Tema di Lara riempie le mie stanze...
(dove non so/ ma un giorno ti vedrò/ e
fermerò/ il tempo su di noooi/ dove non so/ sarò vicino a teeee/… forse sarà
domani o nooo/ forse lontano da qui o o o nooo…)
Allora
la neve portava le tue fiabe su cavalli alati che entravano nella nostra casa e
avevano un manto bianco e occhi di brace come ciocchi ardenti a riscaldarci...
La
tua voce ferma, che ascoltavo trasognata, era il nostro pane quotidiano.
Mai
spenta l'eco delle tue parole che, nel reiterato annuncio, dilatavano il tempo
e lo stupore, il sogno e la magia
(‘ngèjrə
e ‘ngèjrə ‘na vóltə… c’era e c’era una volta…)”
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