lunedì 9 luglio 2018

Il mondo cambia nel mondo che resta - terza parte


E non so più se è un segno di speranza o ancora un’illusione l’arcobaleno che mi prefiguro per dipingere giorni migliori. Mio caro papà, non so più. Non lo so. Come tu mi dicesti quel giorno del nostro raccontarci e dirci addio. Mi perdo nei meandri subdoli di ogni verità nascosta, delle innumerevoli e contrastanti realtà, il cui filo unificatore ci è sfuggito di mano, come gli aquiloni, i palloncini della mia infanzia e delle infanzie di tutto il mondo con occhi chiari e il gioco insopprimibile dei bambini.
Per le nuove generazioni questo vuoto esistenziale è forse inevitabile. Sembra che i giovani non ne facciano un dramma. Riempiono quel vuoto con nuovi miti e nuovi eroi, nuovi gusti musicali e letterari. Con un nuovo modo di incontrarsi, di conoscersi, di amarsi. E nuove parole, imprecazioni, blasfemie gratuite. Turpiloqui e suoni e rumori assordanti ed estremi. E gli urli canori in lingua straniera ignorano il romanticismo sentimentale delle nostre canzoni per il sound rabbioso e spaccatimpani del rock o del metal, che tendono a universalizzare rabbia e ribellione e dolore e solitudine e impossibilità d’incontro o di salvezza. Con tante giovani star che preferiscono abbandonare per sempre una vita normale o di sani sogni e provvidenziali illusioni per inabissarsi nel pozzo profondo e dannato della droga, dell’alcol, delle peggiori parossistiche esperienze pur di dare un senso di fuga ai propri giorni.
Senza voler demonizzare i mezzi di questa civiltà elettronica e telematica
(che ha sicuramente enormi aspetti positivi nella vita contemporanea), sembra che la realtà virtuale offra spesso rifugio, svago, consolazione. Ma io non ci credo molto. Anzi non ci credo affatto.
Cerco di avvicinarmi al mondo dei giovani, di adeguarmi ai loro gusti musicali, ai loro miti ed eroi, al loro linguaggio spregiudicato e dissacrante, spesso vuoto e sciatto o di finto sapere, oppure del tutto nuovo (una sorta di slang che si serve di segni accorciati o rielaborati sulla falsariga di consonanti contratte) che serve più ad escludere che a comunicare realmente, e lo faccio per conoscerli meglio e capirli e comprendere il loro mondo, ma finisco col ritrovarmi con un grande mal di testa e con quel profondo senso di vuoto, caratteristica dei nostri giorni, che mi induce a pensare  all’ingannevole apparenza di oggi e di sempre: non ci sarebbe tanto amaro disincanto nei ragazzi di tutte le età e latitudini, se si sentissero appagati in questo vuoto. In questa solitudine di suoni rumori espansioni disordinate e meccaniche di sé e del Sé. Non ci sarebbero tanti suicidi nei mattini ancora da vivere prima che si faccia giorno.
Vero, papà?
I ragazzi mascherano il malessere con la disinvoltura del loro sbandierato agnosticismo.
Leggo con interesse e dolore le amare poesie di quei pochi che le amano e le scrivono e hanno talento. Spesso mi chiedo:
‘possibile che i giovani di sempre non si accorgano dell’arroganza delle certezze che preclude orizzonti più ampi sotto e sopra le stelle?
Possibile che la giovinezza non riconosca l’importanza dell’umiltà del dubbio a concedere una briciola di speranza ancora? Sempre così l’assoluta giovinezza?’
           Sì, sempre così l’assoluta giovinezza di ogni tempo e di ogni luogo!
Siamo meno del pulviscolo atmosferico eppure, quando siamo giovani, con l’incoscienza dei baldanzosi anni, sfidiamo gli dèi. Solo più tardi, decisamente più tardi ci accorgiamo che “ci sono molte più cose in Cielo…”.
Conosco anche alcuni giovani che oggi si nutrono di libri e di impegni civili e sociali, pur non credendo più in quello religioso o politico.
Giovani migliori di me alla loro età: più consapevoli, più preparati, più colti, più veri.
                               Più impegnati, quando sono impegnati!
Ma cosa realmente pensano i giovani, oggi? Cosa temono e cosa li esalta? Cosa vogliono realmente, al di là delle mode e della rassicurante omologazione dietro l’apparente ribellione e originalità?
I giovani sono il mio assillo quotidiano. Per questo mi attardo a parlare di loro.
                                 Ho imparato da te ad amarli
               Quanto gioioso ascolto hai dato tu a noi, ai nostri amici!
Qualche tempo fa, una ragazza mi confidò di essere delusa perché gli adulti giudicano senza ascoltare. Non mi sorprese la sua denuncia. Lucida, amara, inconfutabile. Mi rammaricai. Mi dispiacqui. E allargai il discorso a tutti:
                                      NESSUNO ASCOLTA PIÙ NESSUNO
Basta guardarsi intorno quando si sta insieme in un luogo di ascolto: il conferenziere o il relatore rimane fino a quando tocca a lui parlare poi va via oppure, peggio, gli altri parlano e, in attesa di poter intervenire dall’alto della sua sapienza, il luminare o il semplice “esperto” di turno sta con gli occhi incollati al suo cellulare, digitando freneticamente messaggi o risposte a giochini passatempo più o meno ripetitivi e inutili. E, dulcis in fundo, se non si è chiamati in causa neppure si ritiene opportuno essere presenti, anche se l’argomento dovesse essere tra i più attuali ed interessanti per la singola persona o per l’intera comunità.
Dunque, non abbiamo tempo per gli altri. Spesso amiamo solo ascoltarci.
S’è perso il tempo dell’ascolto che era un fare spazio all’altro.
       Un incontrarsi per confrontarsi e riflettere approfondire imparare
                                                   Reciprocamente
                    Come “invecchiare bene” in tanto vuoto esistenziale?
E, nonostante tutto, io, “invecchiata male”, ma eterna acchiappanuvole e acchiappasogni, ci credo ancora nell’ascolto perché con te era un ascoltarsi continuo e attento.
                                          Un ascoltare prima di ascoltarsi
Sarebbe necessario, oggi più che mai, ascoltare gli adolescenti, se vogliamo aiutarli a conoscersi e a salvarsi in una società che non fa più sconti a nessuno. Di chi o di cosa la colpa? Una “liquidità” spaventosa e diffusa, come sostiene Bauman, attraversa i nostri giorni e i sentimenti e i legami e… sono proprio i ragazzi le vere vittime di questo scempio che noi, adulti e anziani, abbiamo prodotto con grande superficialità, non so più se per ignoranza e inconsapevolezza. E tu sei estraneo a tutto questo. Lontano molto più del secolo che t'appartiene. (…)

1 commento:

  1. Interessante e condiviso. Come madre di un trentenne e quale insegnante di ragazzi giovani-adulti (17-20 anni) mi ritrovo completamente nelle osservazioni dell'Autrice. Grazie!
    Rita Vecchi

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