Il tuo tempo è irrimediabilmente passato e
non ha neppure gettato i semi perché oggi fiorissero. Tu sei stato buon
seminatore. Il tuo tempo, invece, è stato spazzato via, sradicato. Cosa è
rimasto del tuo tempo?
Il tuo tempo…
Quel tempo aveva, come ogni tempo,
abissi e vette.
Non bisogna afferrare code di
rimpianti né accendere lumini alla nostalgia.
Occorre fermarsi sotto i lampioni
dei ricordi, certo, per sfruttare ogni accenno di luce prima che il buio ci
faccia perdere il contorno delle cose. Per evitare inciampi. E le dispersioni
del cuore. Per evitare inutili rincorse al passato mentre incombe il futuro.
Del resto, i “ri-cordi” sono pezzi
di cuore che ritornano al cuore e lo ripropongono ancora e ancora (cor-cordis) senza la possibilità
concreta di riattualizzare il passato.
Questo tu mi ha insegnato con il tuo esempio: portandoti nel cuore le
persone, non le cose. Le voci, non gli oggetti.
Purtroppo oggi ci sono troppo
chiasso e scarsa luce. E pessimi esempi.
Sembra che tutti non riescano più
a guardarsi intorno per incontrarsi, per parlarsi, sicuri dell’ascolto
dell’altro, e per scoprire nuove realtà, oltre la propria. E innamorarsi. A
dieci (tenerissimo il primo innamoramento) come a cento anni (dolcissimo
l’ultimo). E incantarsi a guardare il mare, e perdersi nel numero infinito
delle stelle. Sembra che nessuno ci faccia più caso. Che nessuno se ne accorga
(‘ma oltre ogni delusione per tanta indifferenza devo impormi di
continuare lo stesso… devo sforzarmi di andare avanti… devo ancora guardare
ascoltare e imparare per riprendere a scoprire… parlare… raccontare…’)
Sono i giovani, con la luce o la disperazione negli occhi, ad
insegnarmi tutto quello che non so… è così nuovo il loro mondo…
così
difficile e amaro… così bisognoso di ascolto e di comprensione…
Ci separano anni di
rapidissime trasformazioni, che hanno accorciato spazi e tempi di conoscenza,
ma hanno dilatato a dismisura le distanze del cuore.
Sempre più il mondo
cambia. Oggi, sin dal primo incontro tra una ragazza e un ragazzo si va a letto
insieme e ci si presenta, quando si ha almeno un minimo di voglia di conoscere
l’altro/a, all’alba del giorno dopo, quando si deve andar via. Non esistono più
le famiglie tradizionali: madre, padre, figli. Dopo aver ottenuto la legge
sulle separazioni e sul divorzio a metà degli anni Settanta, le famiglie si
sono allargate, le coppie mischiate con figli da ambo le parti, convivenze più
che matrimoni, coppie di fatto, anche tra uomini, anche tra donne. Diritti
giustamente rivendicati e ottenuti, ma quanta confusione tra sesso, amore
libero, impegno duraturo, condivisioni di responsabilità, coraggio di
presentarsi al mondo nella veste della propria identità e libertà. Ma tutto
questo quasi mai viene vissuto oggi con onestà d’intenti. E il gap
generazionale si dilata sempre più, nonostante l’apparente omologazione (così
tanto paventata e preconizzata da Pier Paolo Pasolini già dagli anni
Sessanta).
Eppure sono convinta,
grazie alla mia infanzia, che non è impossibile incontrarsi tra generazioni
diverse. Da sempre giovani e vecchi si incontrano a metà strada… come è
accaduto tra me e te.
Fili invisibili di
sentimento, tra ribellione e bisogno d’amore, legano le generazioni senza
spezzarsi mai…
Per fortuna, caro papà, i sogni
dei vecchi e quelli dei bambini prima o poi s’incontrano in quanto i vecchi
camminano verso il passato, per riscoprire il bambino che sono stati, e i
bambini corrono verso il futuro, per diventare subito grandi…
Oggi non più?
Sono, nonostante tutto, ottimista.
Potrebbe capitare ancora.
A metà strada
l’incontro. Nel presente l’incontro.
In quel nostro
lontano presente il nostro lontano incontro: io lanternina a guardare stupita e
innamorata la tua immensa lanterna magica, di fiabe e di poesia
(non parlava Pirandello dei
lanternoni da cui prendere luce?...)
Bello ritrovare insieme il filo
perduto: vecchi, giovani, adulti e bambini a percorrere un pezzo di strada…
insieme… finché l’alba non ci sorprenderà a salutare il nuovo giorno solo per
loro e… a perderlo ai nostri occhi per sempre…
È forse questa l’ultima speranza
di chi come me conta ormai anni e ancora anni. La speranza di quanti siamo
invecchiati all’ombra di un sogno che guida ancora i nostri incerti passi, nonostante
oggi agli anziani non rimanga che una solitudine di nidi vuoti oltre ogni
possibile attesa: i bimbi che non nascono e i giovani che vanno via.
Osservo il nostro
mondo alla deriva di tutti i naufragi (papà, a questo riguardo il filosofo ed
economista francese Serge Latouche ha scritto un bellissimo saggio Il pianeta dei naufraghi 1), e mi si stringe il cuore. Ecco perché, nonostante
tutto, amo questa condizione di vita già vissuta, in cui è stata possibile la
meraviglia, è stata possibile la gioia. La semplicità del cuore. La pienezza di
una risata sincera. La dignità.
Forse è più facile
farsene una ragione di tutte le discrepanze che si avvertono nella propria vita
e nel mondo quando sopraggiunge la vecchiaia.
Da te ho imparato ad
amare i giovani, con te ho imparato ad amare i vecchi.
(…)
Il Tempo, però, si fa Futuro solo negli
occhi delle nuove generazioni.
Al vecchio spetta
accettare il presente e tentare di precorrere, con creatività, immaginazione e
fantasia, il futuro che più non gli appartiene.
(E sorrido a quel
“pre-correre” che mette in difficoltà la mia stampella che arrossisce perché sa
che sto barando, ma non troppo!).
E
non ho mai smesso di parlare con i giovani dei loro sogni. Con i vecchi dei nostri sogni! Guai a
perderli per strada! Si finirebbe col parlare solo di guai di malattie di
morte. Viva i sogni! Abbasso i cattivi pensieri!
sei unica, speciale!
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