sabato 9 settembre 2017

EMOZIONI DI RIMANDO

Si afferma da più parti che le poesie non debbano essere commentate o, peggio, analizzate, ma assaporate nell'Arte che esprimono e nelle emozioni che comunicano. Giusto. A me, però, piace sottolineare proprio quelle emozioni che ogni poesia mi trasmette con le parole che colgo nei versi e che faccio mie perché abbiano altro senso, altro significato, oppure assorbano magari il respiro dei sentimenti che le hanno ispirate. Io le chiamo EMOZIONI DI RIMANDO. In cui anche l'autore, o ciascun lettore, possa riscoprirsi, ritrovarsi. In una circolarità empatica che è condivisione. Amore.

Ti raggiunga dovunque tu sia
questa lettera che scrivo
mentre il sole sparisce dietro il monte
e sale il vento come una preghiera.
Qui dove sono
il cielo preme sul cuore
e acuisce la mancanza.
Il tempo che mi resta
è poco per dimenticare.
Ma tu cosa vedi
da questa tua nuova distanza?
Quale luce ti scalda?
Quale amore ti conforta?
Ti ricordi ancora di me
o la vuota assenza
divora anche la memoria?
Così fragile sono
fratello mio
aggrappato alla vita che finisce.
Giovanni Gastel, Filicudi 2017

Ho parlato col tuo fantasma mamma.
Gli ho detto
Dove siamo nati
in quell'altro tempo
non c'era tutto questo furore
né questa rabbia”.
Hai risposto
Mi dispiace deluderti amore
tutto questo c'è sempre stato.
Niente è mai diverso”.
La luce filtrava dalle tapparelle,
e io tentavo di calmarmi.
Torna sulla terra”.
Mi hai detto.
Ho risposto
Questo non posso farlo.
Sono un isolato ma non mi sento solo”.
Hai detto
Devi tagliarti i capelli.
Vai dal barbiere in fondo alla strada”.
Camminando pensavo
Non ho quasi più posto nel cuore
per voi
anime partite”.
Giovanni Gastel, Filicudi 2017

Due poesie di Giovanni Gastel, dolcemente incastonate nel mosaico degli affetti familiari più profondi: la dolente lettera al fratello da poco volato tra le stelle, e il dialogo del tutto terreno col fantasma di sua madre in un tormento onirico che si risolve in dubbio.
Nella prima, vibra, al tramonto, ora “che volge il disio ai navicanti e 'intenerisce il core”, un anelito accorato di ricongiunzione tra due anime da Atropo divise. Anelito, che s'innalza dal cuore esacerbato del poeta, per troppo amore e troppo dolore, all'imprecisato aldilà con una lettera che sanguina di ricordi, mentre in un sussurro “sale al vento come una preghiera”, in una verticale sacralità di attesa là dove “il cielo preme sul cuore” e lo sconfigge. Verso, che rende fisico il dolore dell'anima attraverso una metafora bellissima che si raggruma in quel “preme”, quasi macigno ad impedire il suo pulsare e vivere. E le domande tenerissime del poeta, umanamente preoccupato dalla nuova condizione di suo fratello in un luogo misterioso e sconosciuto, che crea timori e dubbi in tutti gli esseri viventi, sono un crescendo d'amore nell'ansia di sapere se non gli mancano le “cose” fondamentali per “stare bene”: la luce che riscalda e l'amore che conforta.
C'è in ogni verso una sofferenza che, se da un lato colma d'amore ogni vuoto, dall'altra rivela la insostenibilità della perdita quasi realtà vissuta come inganno che, purtroppo, rende consapevole il poeta, “aggrappato alla vita che finisce”, della propria fragilità in un tempo che si fa sempre più breve e privo di solidi appigli affettivi. È in quell' “aggrappato” la condizione di solitudine, più intensa e vera, di Giovanni Gastel.
Con versi solo apparentemente semplici e colloquiali, ma quanto profondi e densi di significato in ogni accenno di cielo e di abisso a sfiorare/graffiare l'anima, l'autore racconta a suo fratello, e a noi lettori, i suoi sentimenti più veri, le sue priorità di uomo bisognoso di calore umano e di luce ad illuminare una solitudine che sempre più lo rende vulnerabile al trascorrere del tempo e alle assenze, a cui è necessario arrendersi.
Nell'altra poesia, dedicata alla madre, Giovanni Gastel, in un dialogo del tutto terreno, annulla spazio e tempo nell'attualizzare il dolore che ha ben poco di onirico nella proiezione di quanto è stato verso quello che ancora potrebbe essere. E tutto prende vita nel gioco amaro delle domande e delle risposte reciproche in cui, allo sconforto del poeta di fronte ad un mondo sempre più rumoroso e violento rispetto al passato, la risposta perentoria della madre, che ora sa ogni verità, non addolcisce né azzerare ogni illusione né la nostalgia. Anzi. Niente è cambiato. Il cuore dell'uomo non muta né la sua storia.
Ma si condensano anche, in un solo atto di amore, la realistica premura materna verso quel figliolo che ora, in sua assenza, si trascura, sollecitandolo, in maniera ferma e quasi imperativa, a tagliare i capelli e ad andare dal “barbiere in fondo alla strada”, con l'attenzione del figlio ad attenuare quella sua originaria affermazione “sono un solitario” con un ripensamento, “ma non mi sento solo”, per non darle ulteriori motivi di preoccupazione sulla sua sorte di orfano, a cui è vietato soggiornare e attardarsi dove la madre ora dimora.

Tenerezza reciproca che, però, non consola il poeta perché sollecita in lui un dubbio, dovuto esclusivamente alla sua straordinaria sensibilità, simile a “chiave di violino” come direbbe il buon Pirandello... Anche qui i versi di una purezza diamantina rivelano la purezza del cuore, la fatica di vivere del loro autore.

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