Si afferma da più parti
che le poesie non debbano essere commentate o, peggio, analizzate, ma
assaporate nell'Arte che esprimono e nelle emozioni che comunicano.
Giusto. A me, però, piace sottolineare proprio quelle emozioni che
ogni poesia mi trasmette con le parole che colgo nei versi e che
faccio mie perché abbiano altro senso, altro significato, oppure
assorbano magari il respiro dei sentimenti che le hanno ispirate. Io
le chiamo EMOZIONI DI RIMANDO. In cui anche l'autore, o ciascun
lettore, possa riscoprirsi, ritrovarsi. In una circolarità empatica
che è condivisione. Amore.
Ti raggiunga dovunque tu
sia
questa lettera che scrivo
mentre il sole sparisce
dietro il monte
e sale il vento come una
preghiera.
Qui dove sono
il cielo preme sul cuore
e acuisce la mancanza.
Il tempo che mi resta
è poco per dimenticare.
Ma tu cosa vedi
da questa tua nuova
distanza?
Quale luce ti scalda?
Quale amore ti conforta?
Ti ricordi ancora di me
o la vuota assenza
divora anche la memoria?
Così fragile sono
fratello mio
aggrappato alla vita che
finisce.
Giovanni Gastel, Filicudi
2017
Ho parlato col tuo
fantasma mamma.
Gli ho detto
“Dove siamo nati
in quell'altro tempo
non c'era tutto questo
furore
né questa rabbia”.
Hai risposto
“Mi dispiace deluderti
amore
tutto questo c'è sempre
stato.
Niente è mai diverso”.
La luce filtrava dalle
tapparelle,
e io tentavo di calmarmi.
“Torna sulla terra”.
Mi hai detto.
Ho risposto
“Questo non posso farlo.
Sono un isolato ma non mi
sento solo”.
Hai detto
“Devi tagliarti i
capelli.
Vai dal barbiere in fondo
alla strada”.
Camminando pensavo
“Non ho quasi più posto
nel cuore
per voi
anime partite”.
Giovanni Gastel, Filicudi 2017
Due poesie
di Giovanni Gastel, dolcemente incastonate nel mosaico degli affetti
familiari più profondi: la dolente lettera al fratello da poco
volato tra le stelle, e il dialogo del tutto terreno col fantasma di
sua madre in un tormento onirico che si risolve in dubbio.
Nella prima,
vibra, al tramonto, ora “che volge il disio ai navicanti e
'intenerisce il core”, un anelito accorato di ricongiunzione tra
due anime da Atropo divise. Anelito, che s'innalza dal cuore
esacerbato del poeta, per troppo amore e troppo dolore,
all'imprecisato aldilà con una lettera che sanguina di ricordi,
mentre in un sussurro “sale al vento come una preghiera”, in una
verticale sacralità di attesa là dove “il cielo preme sul cuore”
e lo sconfigge. Verso, che rende fisico il dolore dell'anima
attraverso una metafora bellissima che si raggruma in quel “preme”,
quasi macigno ad impedire il suo pulsare e vivere. E le domande
tenerissime del poeta, umanamente preoccupato dalla nuova condizione
di suo fratello in un luogo misterioso e sconosciuto, che crea timori
e dubbi in tutti gli esseri viventi, sono un crescendo d'amore
nell'ansia di sapere se non gli mancano le “cose” fondamentali
per “stare bene”: la luce che riscalda e l'amore che conforta.
C'è in ogni
verso una sofferenza che, se da un lato colma d'amore ogni vuoto,
dall'altra rivela la insostenibilità della perdita quasi realtà
vissuta come inganno che, purtroppo, rende consapevole il poeta,
“aggrappato alla vita che finisce”, della propria fragilità in
un tempo che si fa sempre più breve e privo di solidi appigli
affettivi. È in quell' “aggrappato” la condizione di solitudine,
più intensa e vera, di Giovanni Gastel.
Con versi
solo apparentemente semplici e colloquiali, ma quanto profondi e
densi di significato in ogni accenno di cielo e di abisso a
sfiorare/graffiare l'anima, l'autore racconta a suo fratello, e a noi
lettori, i suoi sentimenti più veri, le sue priorità di uomo
bisognoso di calore umano e di luce ad illuminare una solitudine che
sempre più lo rende vulnerabile al trascorrere del tempo e alle
assenze, a cui è necessario arrendersi.
Nell'altra
poesia, dedicata alla madre, Giovanni Gastel, in un dialogo del tutto
terreno, annulla spazio e tempo nell'attualizzare il dolore che ha
ben poco di onirico nella proiezione di quanto è stato verso quello
che ancora potrebbe essere. E tutto prende vita nel gioco amaro delle
domande e delle risposte reciproche in cui, allo sconforto del poeta
di fronte ad un mondo sempre più rumoroso e violento rispetto al
passato, la risposta perentoria della madre, che ora sa ogni verità,
non addolcisce né azzerare ogni illusione né la nostalgia. Anzi.
Niente è cambiato. Il cuore dell'uomo non muta né la sua storia.
Ma si
condensano anche, in un solo atto di amore, la realistica premura
materna verso quel figliolo che ora, in sua assenza, si trascura,
sollecitandolo, in maniera ferma e quasi imperativa, a tagliare i
capelli e ad andare dal “barbiere in fondo alla strada”, con
l'attenzione del figlio ad attenuare quella sua originaria
affermazione “sono un solitario” con un ripensamento, “ma non
mi sento solo”, per non darle ulteriori motivi di preoccupazione
sulla sua sorte di orfano, a cui è vietato soggiornare e attardarsi
dove la madre ora dimora.
Tenerezza
reciproca che, però, non consola il poeta perché sollecita in lui
un dubbio, dovuto esclusivamente alla sua straordinaria sensibilità,
simile a “chiave di violino” come direbbe il buon Pirandello...
Anche qui i versi di una purezza diamantina rivelano la purezza del
cuore, la fatica di vivere del loro autore.
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