È tempo di
riproporre una raccolta di versi davvero interessante per chi voglia fare
tesoro della parola poetica, coniugata con la parola “ricerca”, in un’appassionata
e appassionante lettura che coinvolge mente e cuore e sa farsi tempo, spazio,
ricordo, speranza, amore, desiderio di “incontrare” gli altri per poter forse “incontrare”
Dio.
Parlo di Sigillo di necessità di Zaccaria Gallo (Secop
edizioni 2012), di cui mi piace riportare in sintesi la mia Prefazione.
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore”. Uno
dei più appassionati versi de Il Cantico
dei Cantici mi risuona dentro da quando ho avuto tra le mani quest’ultima
raccolta di poesie di Zaccaria Gallo dal titolo molto suggestivo e catturante.
“Sigillo”, infatti, è una parola antica e regale. Preziosa. Chiudeva lettere
importanti, plichi, dispacci da cui dipendevano spesso le sorti di regni e
nazioni. Racchiudeva, dunque, un segreto, che non si doveva profanare.
Termine pesante come un giuramento e lieve
come una promessa. È un atto di fede, un credo. Crea una sorta di alleanza, di
forte legame. Per conservare un mistero. Per mantenere quel segreto.
Anche la
locuzione “di necessità” é impregnata di obbligo più che di libertà. Un obbligo
interiore forse. A volte può essere solo urgenza del cuore.
E Zaccaria Gallo ci confida nei suoi
versi, appunto, un segreto quasi a fior di labbra. Il segreto di sé. Un
raccontarsi silenzioso che si distende in percorsi intimi, rilevati su piani
spazio-temporali diversi, che s’intersecano continuamente tra emozioni che
riconducono ai ricordi e ricordi che vibrano di emozioni. In rapidissimi
passaggi, dai ritmi eleganti e dagli stilemi molto originali, tutti giocati sui
tanti neologismi, quasi ricami musicali, che offrono la cifra stilistica, connotante
l’insolita poesia del nostro Autore. Poesia sempre raccontata sul filo della
memoria. Nostalgica. Amara. Amata.
Canto della memoria, dunque, che qui si fa
respiro d’infinito.
E, come nelle precedenti raccolte poetiche
di Zaccaria, l’emozione che si traduce in poesia nasce da uno sguardo, “soglia
e confine di conoscenza”.
Nessuno a dimora/ sulle cime degli alberi.//
La primavera testarda/ s’avviava a fiorire giardini…
Nelle sere/ che raggomitoli di stelle/ riempiono
il cielo…
Ha canto la luce,/ quando s’adagia/ sul mare dei
miei tramonti/ e sfolgora con la sue dita/trecento colori dell’azzurro…
In realtà, la sua ansia di guardare il
mondo è desiderio di credere nell’uomo per scoprire la bontà di Dio.
Nelle quattro sezioni, che compongono la
silloge, Zaccaria inizia il suo viaggio alla scoperta della parola, che
potrebbe portarlo a Dio, dapprima percorrendo il tempo: quello che è stato,
quello che attraversa quotidianamente nel presente, e quello che ancora gli
resta.
Fil-rouge è l’amore: vissuto, sognato, perduto e
ritrovato, disperatamente rincorso e avidamente afferrato, nostalgicamente
rimpianto, teneramente recuperato.
Perché
“sigillo di necessità” è il sogno per ridonare rugiada all’andare ormai stanco del poeta. Alla
iniziale passione subentra un amore più maturo che, pian piano, si colora di tenerezza,
di nostalgia, di ricordo, di una rinnovata presenza, affettuosa e attenta. Il
prendersi cura dell’altro è il più grande atto d’amore: “(non prendere freddo stanotte)”.
È tutto qui il segreto da conservare con cura
nello scrigno del cuore e a cui attingere per sconfiggere la solitudine, la
malinconia, la tristezza di questo tempo che ci assedia e ci vince. E
dall’amore “nascono parole di poesia”.
Ecco i due amanti che colmano i giorni del
poeta: Amore e Poesia.
Insieme sono promessa e sigillo
d’immortalità.
Nella seconda sezione si attraversa il
ricordo, che si fa canto del dolore, della fuga e della paura, ma anche canto
dell’approdo: fisico e metafisico.
Nuove realtà altrettanto crudeli
s’impongono e fanno sigillo di necessità al vivere quotidiano. Nuovi dubbi
lacerano l’anima del poeta. Di qui ancora un nuovo viaggio per nuovi orizzonti
da raggiungere. Di qui un rinnovato canto del mare: dolente, misterioso, di
raro conforto alle attese del cuore. L’inno alla madre, memoria di tutti i
ricordi ed eredità di gesti, di sguardi, di silenziose malinconie e sintonie,
conclude la personale storia del poeta: “ Madre,/
(…) / bagliori di memorie,/ di segrete cose,/ hai lasciato/ nel mio futuro/ e
mi manchi/ come manca/ una nave dispersa.” Colei che ci ha dato la vita riscalda
la nostra carne e il nostro cuore sempre.
Nel superamento del buio, del vuoto, del male. Mai come in questo tempo
che sta distruggendo la nostra umanità. Altro
rifugio di Zaccaria Gallo è l’Africa, dove è nato e dove fa ritorno spesso il
suo cuore. Tunisi. Terra di vento, di limone e albicocco. Versi superbi di una
suggestione unica nel fiorire delle metafore bellissime, che respirano i colori
del cielo tra anima e cuore. E tutto è
nuvola di ricordi. Storni appollaiati “tra
i rami/ della memoria”… E i
ricordi ora hanno il volto di suo padre: padre/valigia, padre/mantello,
padre/passaporto. Doloroso e tenero rammemoramento al ricordo festoso di
un’infanzia che naturalmente vestiva di fiaba ogni nuovo giorno. Ma ci sono
giorni ancora da vivere. E ci sono giorni “da utilizzare”, magari recuperando
“l’alfabeto dei sogni” perché tutto possa ricominciare. E il domani può essere
anche altrove. Il poeta, però, si rammarica, avviluppato in un nuovo lacerante
dubbio: “Non saprò mai verso dove si
fugge,/ il mistero che non si snoda,/ il silenzio che angola l’eterno,/ il
delirio d’acque che navighiamo”. Sembra un punto di non
ritorno. Soprattutto quando giunge la sera e le sue ombre accorciano il nostro
già breve futuro e ci fanno desiderare più che mai la luce: “guarda guarda e scorgi quella luce/ parla di
una stagione che rivive”… Per Zaccaria il penultimo canto, prima del buio,
è, appunto, un canto di luce alla luce. Ma è la parola la sorgente primigenia
del suo canto: fonte luminosa e “vecchia
eterna necessità. Nata da radici di
pena. Di stupori”.
Oh, la Parola! Che il poeta mette “come
sigillo sul suo cuore”.
E non c’è necessità più dolce, più
rasserenante, più leggera.
Necessità fisica e metafisica. Necessità dell’anima. Libera come “ala d’angelo”.
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