giovedì 14 settembre 2017

La necessità può essere un sigillo?



sigillo-di-necessità

È tempo di riproporre una raccolta di versi davvero interessante per chi voglia fare tesoro della parola poetica, coniugata con la parola “ricerca”, in un’appassionata e appassionante lettura che coinvolge mente e cuore e sa farsi tempo, spazio, ricordo, speranza, amore, desiderio di “incontrare” gli altri per poter forse “incontrare” Dio.
Parlo di Sigillo di necessità di Zaccaria Gallo (Secop edizioni 2012), di cui mi piace riportare in sintesi la mia Prefazione.
     “Mettimi come sigillo sul tuo cuore”. Uno dei più appassionati versi de Il Cantico dei Cantici mi risuona dentro da quando ho avuto tra le mani quest’ultima raccolta di poesie di Zaccaria Gallo dal titolo molto suggestivo e catturante.
    “Sigillo”, infatti, è una parola  antica e regale. Preziosa. Chiudeva lettere importanti, plichi, dispacci da cui dipendevano spesso le sorti di regni e nazioni. Racchiudeva, dunque, un segreto, che non si doveva profanare.
     Termine pesante come un giuramento e lieve come una promessa. È un atto di fede, un credo. Crea una sorta di alleanza, di forte legame. Per conservare un mistero. Per mantenere quel segreto.
Anche la locuzione “di necessità” é impregnata di obbligo più che di libertà. Un obbligo interiore forse. A volte può essere solo urgenza del cuore.
     E Zaccaria Gallo ci confida nei suoi versi, appunto, un segreto quasi a fior di labbra. Il segreto di sé. Un raccontarsi silenzioso che si distende in percorsi intimi, rilevati su piani spazio-temporali diversi, che s’intersecano continuamente tra emozioni che riconducono ai ricordi e ricordi che vibrano di emozioni. In rapidissimi passaggi, dai ritmi eleganti e dagli stilemi molto originali, tutti giocati sui tanti neologismi, quasi ricami musicali, che offrono la cifra stilistica, connotante l’insolita poesia del nostro Autore. Poesia sempre raccontata sul filo della memoria. Nostalgica. Amara. Amata.
     Canto della memoria, dunque, che qui si fa respiro d’infinito.
     E, come nelle precedenti raccolte poetiche di Zaccaria, l’emozione che si traduce in poesia nasce da uno sguardo, “soglia e confine di conoscenza”.
      Nessuno a dimora/ sulle cime degli alberi.// La primavera testarda/ s’avviava a fiorire giardini…
Nelle sere/ che raggomitoli di stelle/ riempiono il cielo…
Ha canto la luce,/ quando s’adagia/ sul mare dei miei tramonti/ e sfolgora con la sue dita/trecento colori dell’azzurro…
    In realtà, la sua ansia di guardare il mondo è desiderio di credere nell’uomo per scoprire la bontà di Dio.
     Nelle quattro sezioni, che compongono la silloge, Zaccaria inizia il suo viaggio alla scoperta della parola, che potrebbe portarlo a Dio, dapprima percorrendo il tempo: quello che è stato, quello che attraversa quotidianamente nel presente, e quello che ancora gli resta.
Fil-rouge è l’amore: vissuto, sognato, perduto e ritrovato, disperatamente rincorso e avidamente afferrato, nostalgicamente rimpianto, teneramente recuperato.  
Perché “sigillo di necessità” è il sogno per ridonare rugiada  all’andare ormai stanco del poeta. Alla iniziale passione subentra un amore più maturo che, pian piano, si colora di tenerezza, di nostalgia, di ricordo, di una rinnovata presenza, affettuosa e attenta. Il prendersi cura dell’altro è il più grande atto d’amore: “(non prendere freddo stanotte)”.  
 È tutto qui il segreto da conservare con cura nello scrigno del cuore e a cui attingere per sconfiggere la solitudine, la malinconia, la tristezza di questo tempo che ci assedia e ci vince. E dall’amore “nascono parole di poesia”.
    Ecco i due amanti che colmano i giorni del poeta: Amore e Poesia.
    Insieme sono promessa e sigillo d’immortalità.
       Nella seconda sezione si attraversa il ricordo, che si fa canto del dolore, della fuga e della paura, ma anche canto dell’approdo: fisico e metafisico.
        Nuove realtà altrettanto crudeli s’impongono e fanno sigillo di necessità al vivere quotidiano. Nuovi dubbi lacerano l’anima del poeta. Di qui ancora un nuovo viaggio per nuovi orizzonti da raggiungere. Di qui un rinnovato canto del mare: dolente, misterioso, di raro conforto alle attese del cuore. L’inno alla madre, memoria di tutti i ricordi ed eredità di gesti, di sguardi, di silenziose malinconie e sintonie, conclude la personale storia del poeta: “ Madre,/ (…) / bagliori di memorie,/ di segrete cose,/ hai lasciato/ nel mio futuro/ e mi manchi/ come manca/ una nave dispersa.” Colei che ci ha dato la vita riscalda la nostra carne e il nostro cuore sempre.  Nel superamento del buio, del vuoto, del male. Mai come in questo tempo che sta distruggendo la nostra umanità.  Altro rifugio di Zaccaria Gallo è l’Africa, dove è nato e dove fa ritorno spesso il suo cuore. Tunisi. Terra di vento, di limone e albicocco. Versi superbi di una suggestione unica nel fiorire delle metafore bellissime, che respirano i colori del cielo tra anima e  cuore. E tutto è nuvola di ricordi. Storni appollaiati “tra i rami/ della memoria”… E i ricordi ora hanno il volto di suo padre: padre/valigia, padre/mantello, padre/passaporto. Doloroso e tenero rammemoramento al ricordo festoso di un’infanzia che naturalmente vestiva di fiaba ogni nuovo giorno. Ma ci sono giorni ancora da vivere. E ci sono giorni “da utilizzare”, magari recuperando “l’alfabeto dei sogni” perché tutto possa ricominciare. E il domani può essere anche altrove. Il poeta, però, si rammarica, avviluppato in un nuovo lacerante dubbio: “Non saprò mai verso dove si fugge,/ il mistero che non si snoda,/ il silenzio che angola l’eterno,/ il delirio d’acque che navighiamo”. Sembra un punto di non ritorno. Soprattutto quando giunge la sera e le sue ombre accorciano il nostro già breve futuro e ci fanno desiderare più che mai la luce: “guarda guarda e scorgi quella luce/ parla di una stagione che rivive”… Per Zaccaria il penultimo canto, prima del buio, è, appunto, un canto di luce alla luce. Ma è la parola la sorgente primigenia del suo canto: fonte luminosa e “vecchia eterna necessità. Nata da radici di pena. Di stupori”.
     Oh, la Parola! Che il poeta mette “come sigillo sul suo cuore”.
     E non c’è necessità più dolce, più rasserenante, più leggera.

     Necessità fisica e metafisica. Necessità dell’anima. Libera come “ala d’angelo”.

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