martedì 12 settembre 2017

LA VIOLENZA: "MACCHIA NERA" DELL'UMANITA'

TERRA-ALLA-TERRAA-META'-DELLA-NOTTE

'La violenza , forse una macchia nera in un angolo buio, in un piccolo anfratto della mente', pensava, 'poi, in un solo attimo si espande e copre tutto il cervello; mai nessuno potrebbe stabilire il momento in cui avverrà questa esplosione. Questo grumo scuro è dentro di noi, come i denti stanno nella bocca, come gli occhi stanno sotto la fronte, come il sangue scorre nelle arterie. Semplicemente è...'.
Mi sembra opportuno riproporre la lettura di questi primi due romanzi di una trilogia che l'autore, Gianni Brattoli, sta portando a termine, perché trattano di un tema che tanto ci sta angosciando ai nostri giorni: la violenza, “macchia nera in un angolo buio” della mente umana.
Carl Gustav Jung, in Aion. Ricerche sul simbolismo del Sé, la definisce “ombra”.
Annah Arendt, nel suo famoso saggio On violence (Sulla violenza), afferma che questa è insita nell'animo umano ed esplode improvvisamente soprattutto per affermare il proprio potere sugli altri. Altre volte, fortunatamente forse, contro il potere. E spesso, nell'uno o nell'altro caso, basta proprio una inezia. Chi non ricorda il film di Fellini “Prova d'orchestra” del1979? Con chiari riferimenti al nazismo (ogni dittatura si poggia sulla violenza), qui dei pacifici e sorridenti musicisti, vessati da un direttore d'orchestra troppo esigente, che impartisce ordini come un dittatore appunto, esplodono in una parossistica violenza solo perché un brevissimo black out scompagina, nel buio, tutto l'ordine faticosamente stabilito. Un “black out” del cervello? Forse.
È la stessa tesi che sostiene Gianni Brattoli in entrambi i romanzi.
Nel primo, “Terra alla terra”, la “violenza” esplode nell'uomo quando viene risucchiato dal vortice di una lucida follia, dovuta, come nel caso di prete Antonio, ad un credo, un ruolo, una funzione che ne stravolgono credi, intenti e mezzi. Diabolicamente.
In A metà della notte, invece, essa non solo parte dalle stesse motivazioni o condizioni, ma si fa più subdola, devastante e destabilizzante perché è anche improvvisa e immotivata. È insita nella natura umana, conferma l'autore, che sta continuando ad analizzarla da altre angolazioni per approdare al nuovo romanzo che completerà la trilogia. La macchia scura può rimanere latente per tutta la vita o esplodere senza scampo. È, perciò, ancora più pericolosa perché è un “marchio a fuoco”, impresso dalla notte dei tempi nelle nostre viscere. E il marchio a fuoco è la “notte” del nostro cuore che spesso dilaga nel buio della notte che sopravviene al giorno.
Già dal titolo, infatti, siamo avvolti nel buio della notte: buio fisico e metaforico. Un buio che non si può fugare perché si è lontani sia dalla calda luce del crepuscolo sia dal chiarore salvifico della nuova alba. Quella “metà” è senza via d’uscita. Bisogna ancora attraversarla tutta la notte per scoprire il nuovo giorno. E la notte, si sa, è carica di mistero, di paure e di presagi perlopiù nefasti. È nella notte che si ordiscono le più macchinose trame, che si compiono i peggiori delitti, che si vivono i pensieri più tumultuosi e disperanti. Così è avvenuto in Terra alla terra, il romanzo d’esordio di Gianni Brattoli, così accade in questo nuovo suo libro: quasi tutto quello che avviene è avvolto nell’involucro nebuloso delle tenebre. Certo, c’è anche la luce abbagliante di un caldissimo e soffocante pomeriggio di luglio, in cui si consuma la storia di folle passione tra Dolino, il protagonista diciassettenne, e Luciana (la luminosa), il suo oscuro e bellissimo oggetto del desiderio, ma si tratta di un breve respiro di intensa luce estiva che ben presto smuore e si perde nella sera che avanza sul lungomare barese, soffocato dalle ombre e dalla perdita di ogni innocenza. Quello sfolgorante pomeriggio di ripetuti amplessi, però, giustifica anche la splendida immagine di copertina, “Il Bacio” di Munch, sapientemente rielaborata dal bravissimo e giovanissimo Nicola Piacente, grafic designer della Casa editrice.
Alla base della violenza c'è indubbiamente, ieri come oggi, una sorta di “mancanza”, di “vuoto d'esistenza”, di “nulla”: preludio all’assenza della felicità, che si registra sempre più nella nostra società definita dagli studiosi Miguel Benasaysag e Gérard Schmit delle “passioni tristi”.
Nell’animo di Dolino si fa sempre più precisa la consapevolezza di questo vuoto già per il fatto di appartenere ad un ceto sociale colmo di perbenismo e privo di valori. E questa consapevolezza svuota di senso pure la sua vita, a tal punto che egli più volte ribadisce che non crede all'amore, perché è il più ingannevole di tutti i sentimenti.
Di contro, egli si accorge sempre più di essere impastato di violenza. Una violenza cieca che non nasce da una motivazione precisa: non dall'odio, non dal risentimento, non da una provocazione. È “una macchia nera” che improvvisamente appare e dilaga nel cervello, oscurando tutto, persino la ragione, unica sua certezza e verità. Finché la violenza non ne scompagina i contorni, erosi da una furia che toglie ogni incanto al mondo.
Una chiave di lettura dei due romanzi, dunque, è indubbiamente di natura sociologica, ma anche quella psicologica e psicoanalitica dovrebbe essere presa in considerazione per scoprire “cosa” fa scattare e “perché” nella mente di un essere umano “normale” una forza beluina che lo spinge a farsi lupo contro il suo stesso genere. Non ha teorizzato forse Hobbes che “homo homini lupus”?

Entrambi i libri, del resto, trattando di violenza, come scoprirà chi avrà la curiosità di leggerli, si possono definire anche thryller o gialli e di questi ultimi hanno, in alcuni passaggi, il linguaggio e lo stile, in una narrazione stringata ed essenziale, ma anche profondamente disturbante, da cui i lettori possono trarre utili spunti di riflessione sugli errori che è quasi inevitabile commettere per raggiungere, nel bene e nel male, piena consapevolezza di sé. 

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