E oggi riprendo con la scrittura di Angelica Grivèl Serra
per nuovi spunti di riflessione sullo stesso testo “JACOPO E VITALIA, UNA
STORIA D’AMORE”, perché un testo così va sviscerato a lungo, va centellinato,
assaporato, metabolizzato.
Riparto dall’inizio: “Furtiva e vigile, Vitalia osserva
dall’angolo” (ed ecco immediatamente l’accostamento fascinoso di due termini:
uno antico - furtiva - che mi riporta alle atmosfere romantiche di “una furtiva
lagrima” dall’Elisir d’amore del grande compositore dell’Ottocento Donizzetti,
e l’altro, antico certamente, - vigile - che però perdura, attraversando i
secoli fino a noi. “È una parola che viene da lontano”, sostiene il mio
carissimo amico e mentore Vito Di Chio, “documentata nel sanscrito e con radici
indoeuropee: vig è il fonema di partenza, da cui sgorga
sia vigeo, vigor = aver vigore,
essere pieno di vita che vigil, = “che è sveglio”, “che
tiene sveglio”; vigilo, vigilare, essere attento, prendersi
cura sollecita dell’altro”.
Le mie conoscenze sono meno profonde e antiche. Io parto dal
latino vigere: aver vigore e, quindi, essere forti e pronti a vigilare,
per dare sicurezza. Si avverte subito, come felicemente mi suggerisce
Vito, “il prendersi cura dell’altro”, ma è una parola che “rinvia all’essere
vigile nella notte interiore, che tocca la nostra esistenza e
che ognuno di noi ogni tanto sperimenta con diverse modalità…” (Vito Di Chio).
Ed è quanto avviene appunto a Vitalia (mai nome fu più
giusto: nomen omen): “furtiva e vigile”, nascosta e attenta.
E Angelica continua: “Manca poco più di un’ora all’inizio”,
parlando dello spettacolo che Jacopo, il figlio di Vitalia, terrà sul
palcoscenico, mentre lei, nel “retropalco” sente il respiro della vita che” si
affaccenda “in un brulicare di voci esigenti, richiami affrettati e strascichii
di molti passi, perlopiù assorti in un andirivieni che ormai, dopo la frenesia
di quattro giorni di prova”, si vanno stemperando perché conoscono a memoria
quel percorso. E ci sembra di essere lì e di ascoltare quelle voci “esigenti”,
quei “richiami affrettati”, quei passi che si fanno eco di altri che
sopraggiungono e che passano come onde che si rimescolano ad ogni “andirivieni”
assorto.
Ci troviamo a Cagliari ed è l’ora del tramonto che per un
attimo distoglie Vitalia dalla sua trepida “vigilia”, rendendola meno cogente,
anzi ricordandole che la sua bellezza languida, che si riverbera nelle luci
dell’Anfiteatro, diventa un segno di complice buon auspicio, quasi un “in bocca
al lupo”, sussurrato a lei più che a suo figlio, che non ha il tempo di
trepidare ormai, per dissipare ansia ribollente e “assilli di mille paure”. Ed
ora siamo passati dal retropalco all’interno del cuore e della mente della
donna e ne avvertiamo i conflitti interiori che solo una madre, sola, ed
emotivamente coinvolta, vive nel silenzio di sé. Ed è proprio in questa pausa
di silenzi che sopraggiunge alla sua vista l’oggetto di tanto trepidante vagare
con lo sguardo: Jacopo, diventato adulto di sé stesso, ma ancora piccolo negli
occhi e nel cuore di sua madre, che in quella voce sicura e ferma scorge
finalmente l’adulto che è diventato, andando oltre la tenerissima immagine di
lui dodicenne, che “l’adulto trasfigura” (e come non sottolineare questa perla
psicologica, che solo in questa espressione trova la sua compiutezza, la sua
ragione d’essere straordinaria e letterariamente in fuga verso il futuro
da altri non ancora lontanamente ipotizzato?), mentre silenziosamente “gemmava”
(verbo sinestetico di rara bellezza che incanta più del tramonto), lungo il
sentiero fiorito dei suoi ventitré anni e dell’età ormai adulta…
Ma anche oggi mi fermo qui perché quello che segue diventa
uno spettacolo nello spettacolo, teatro nel teatro, come accadde al
diciassettenne Giovanni Gastel che scrisse nel suo romanzo Duetto
Profano (SECOP edizioni, Corato-Bari, 2017) un romanzo nel romanzo,
dimostrando una maturità d’ingegno e di scrittura di gran lunga superiore a
quella a quella dei tanti scrittori ricchi di anni e di esperienza letteraria.
Riprenderemo a parlare di Angelica Grivèl Serra quanto prima ancora con questo
testo superlativo. Alla prossima. Angela
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