E oggi desidero solo ricordare un avvenimento che ha
cambiato il volto della chiesa, il mio percorso di Fede...
("Un vescovo vestito di bianco"
Da far tremare le vene e i polsi...
Lui, Papa Francesco, il vescovo vestito di bianco?
E qui, nonostante io non sia assolutamente in grado di scrivere una pagina di
storia con la obiettività, la concretezza e il rigore della ricerca
storica, sento la necessità, se non l'urgenza, di essere testimone di una
ipotesi di memoria storica da prendere per mano per farci io e lei discreta
compagnia.)
Per la prima volta nella storia della chiesa
un Papa ha avuto il coraggio di denunciare tutti i mali de "La Casta
meretrix" (attribuita ai Padri della Chiesa) di ieri e di oggi; mali per i
quali ha chiesto anche pubblicamente perdono, attirandosi le ire in Vaticano e
fuori dei prelati, teologi e laici, tra i più agguerriti e tradizionalisti. Una
vera e propria denuncia di eresia e di "Atti sacrileghi" da parte di
oltre cento teologi e storici della chiesa di tutto il mondo, animosi,
moralisti, integralisti. E i laici non sono stati da meno. Ma nessuno scalfisce
la volontà di Bergoglio di essere testimone della volontà di Dio Padre di
salvare i Suoi figli sparsi in tutto il mondo contro una chiesa chiusa nella
sua "turris eburnaa" che ancora oggi non include, non accoglie, non
salva e redime.
Non a caso, nel terzo segreto di Fatima, si parla di una Chiesa che ferisce Cristo per eccesso di mondanità e di colpe materiali
e spirituali, così dolorose per il Cuore Immacolato di Maria, la Sua
tenerissima Madre, da sempre impegnata a combattere il Male nel mondo
(ecclesiastico e non).
Sì. La chiesa di ieri aveva altre connotazioni di autoritarismo, dogmatismo,
serpeggiante ipocrisia farisaica tra il predicare e l'agire, da farsi
perdonare.
(E, infatti, fin dagli anni
Sessanta del secolo scorso, io ragazzina romantica e ribelle, per anni
imbrigliata nei ruoli di beniamina, aspirante, giovanissima in un'Azione Cattolica che non capivo perché a me del tutto estranea, scappai
a gambe levate da una Madre Chiesa (Una Santa Cattolica Apostolica Romana), che
ci catechizzava settimanalmente, in maniera ingenua e ripetitiva ma con
formule e precetti indiscutibili, ad opera di quelle che noi chiamavamo "le
signorine della parrocchia", consacrate a Gesù, e non vi feci più ritorno
per via del suo autoritarismo ottuso, del suo dogmatismo in contrasto con il
libero arbitrio che predicava, della sua serpeggiante ipocrisia tra il
"predicare" e l'"agire".
Quanti dubbi allora, quante perplessità e quanti rifiuti nella incoscienza dei
miei verdi anni. Ma quanto conforto oggi, accanto allo sgomento per ciò che è
esploso improvvisamente come un fungo malefico ad intossicare il nostro
pianeta, un virus che ha nome di corona come quella di spine a trafiggere il
capo di Gesù agonizzante, perché quello stesso "vescovo vestito di
bianco... tremulo e stanco" sta avendo da solo la forza di riportarmi alla
sua Chiesa, addossandosi come Cristo tutti i peccati della "Casta
meretrix" e quelli del mondo intero.)
27 marzo 2020, ore 18,30 il Papa francescano ha voluto un incontro ecumenico
in piazza San Pietro per pregare tutti, in tutte le latitudini e longitudini
del mondo, contro il coronavirus. Piove a dirotto e il colonnato del Bernini
non offre alcun riparo ai fedeli solo virtualmente assiepati. E il piccolo
palco in mezzo alla piazza deserta offre al Vescovo di Roma debole riparo in
quel vuoto allucinato da colmare di preghiere.
È lui a portarci in salvo in mezzo ai marosi della tempesta sollevatasi alle
nostre spalle all'improvviso, esortandoci a "non aver paura", come
Cristo ai suoi sgomenti discepoli sulla barca, in cui Gesù, a poppa ("la
parte della barca che affonda per prima") e non a prua, dormiva sereno e
fiducioso confidando nell'amore del Padre che non abbandona mai suo figlio.
Fatto storico epocale sotto gli occhi di tutti, credenti e non credenti,
nell'abbraccio di tutte le chiese e di tutte le religioni, di tutti i popoli
della Terra in un sol popolo fatto di umanità sgomenta e sofferente, solitaria
e invisibile, ma presente col cuore, con l'anima. Un'anima universale
desiderosa finalmente di sincera Solidarietà e di vera Pace.
Sotto un cielo catramato, basso e opprimente, che ha aperto tutte le sue
cateratte di lacrime torrenziali sulla stupita Cupola di San Pietro,
Io, testimone, come miliardi di altri miei simili, attraverso la televisione,
unico mezzo di comunicazione per un evento mondiale, in tempo di coronavirus, a
commuovermi fino alle lacrime che si mescolano idealmente a quella pioggia
battente che scroscia a secchiate sulla Capitale, nel vedere il vescovo vestito
di bianco attraversare, invecchiato stanco claudicante affannato triste, quel
diluvio che simbolicamente sta lavando i peccati della sua Chiesa e dell'umanità
intera. Lui, l'agnello sacrificale, determinato a vivere sino in fondo il suo
sacrificio per pregare il Crocifisso salvifico (pare abbia salvato Roma dalla
peste nel sedicesimo secolo) e la dolente Madre di Cristo, entrambi esposti sul
sagrato della Basilica, nella Speranza di portarci in salvo, oltre ogni paura,
ogni smarrimento, oltre ogni assenza di fede e di valori eterni, dimenticati. E
il suo volto stanco e indifeso somiglia tanto a quello del Cristo sulla croce
lignea in pianto irrefrenabile sulla Soglia di Pietro. Sul nostro pianeta
"opaco del male" (Pascoli). E la benedizione "urbi et
orbi", impartita per la prima volta nel rispetto della libertà di ogni
persona, di tutti e di ciascuno, a rendere concreto il libero arbitrio di una
scelta, di una volontà di essere e di riconoscersi nella propria fragilità e
nel proprio coraggio.
Invecchiato, ma indomito, testardo e determinato, con tutta
la croce di Cristo sulle sue stanche spalle, affronta lo scroscio
impetuoso/impietoso, la solitudine spettrale di una Roma devastata e
tormentata, il peso del "silenzio assordante" e dei propri
anni, della sofferenza mondiale di uomini "ammutoliti e smarriti, fragili
e disorientati", e degli imponenti paramenti sacri e dell'Ostensorio,
che lo fanno barcollare ma che rifrange miracolosamente i colori del
dolore e della rinascita nell'azzurro di tutti i cieli e di tutti i mari.
Fatto storico di immensa portata storica, il cui significato
ecumenico rimarrà per millenni nella storia di ciascun uomo e nella Storia dell'intera
Umanità.
La memoria è testimonianza storica, oltre il tempo e lo spazio, oltre il
ricordo personale che non "vince di mille secoli il silenzio", ma si
fa racconto, confidenza, intimità, trasmissione di una emozione forte e intensa
dai genitori ai figli e da questi ai nipoti.
E l'emozione, che ci assale nelle nostre case, registra ancora
un atto d'amore e di sacrificio, riportandoci a Dio, atei e cristiani,
agnostici e credenti, musulmani ed ebrei... all'unico Dio simile ad ogni altro
Dio. Ci riporta alla fede perduta e ritrovata in Lui oppure alla semplice
fede nell'Uomo, nella Natura, nella Terra Madre, nella Bellezza,
nell'Arte, nella Musica. Ci riporta alla riscoperta del Vangelo e non solo,
alla riscoperta di Cristo, Dio d'amore e Perdono, in ogni atto che sa di
preghiera e di "cura" per il prossimo, vicino e mai lontano anche se
respira ai confini del mondo.
E dopo tanto affannoso salire sul monte del dolore e del pianto, dei morti a
migliaia incontrati nel suo calvario personale, ecco il momento della tregua,
della sospensione, del fermarsi. Dello stare raccolto e in silenzio davanti al
Santissimo. Francesco seduto e tutto racchiuso nel suo dialogo fiducioso col
Padre.
La sua tregua è simile al nostro fermarci in casa di questi giorni di morte e
di dolore, per ritrovarci nel dialogo fiducioso e affettuoso con la famiglia.
Oggi non più tale. Un fermarci salutare per riscoprirci e ritrovarci nelle
nostre fragilità e contraddizioni, nelle nostre paure e nei nostri inganni,
nei sensi di colpa contro i nostri simili, contro la Natura, contro la
Bellezza, contro l'Amore, contro la Vecchiaia, la Disabilità, la Povertà.
Contro contro contro... E non ce ne rendevamo conto. E non sapevamo di
circondarci di nemici invisibili per giustificare il nostro egoismo,
l'individualismo egocentrico ad oltranza, creandoci il deserto intorno. Una
desertificazione del cuore protesa a distruggere invece di costruire.
Ignoravamo di perdere la nostra umanità in un mondo dimentico del passato. E
senza la memoria storica è impossibile costruire un futuro migliore. La massa
anonima, che più non ci somiglia, ha fretta di afferrare il futuro e soffoca
tutto il presente.
Questo fermo obbligato è la tregua necessaria per ricominciare. Per
ridare valore a quanto necessario, essenziale, utile al nostro benessere
psicofisico e spirituale. Per ritrovare le vie della terra verso nuovi
orizzonti di incontri e le vie del Cielo per ritrovare Dio.
Per ri-nascere. E oggi soprattutto per ri-sorgere. Dopo tanta cenere e
distruzione e lutto.
Durante la benedizione "urbi et orbi" le campane delle chiese di Roma
si mescolano al suono delle sirene delle ambulanze. Musica di morte e di vita.
E gli occhi di Francesco sono due pozze infinite di com-passione, di pietas, di
contrizione, ma anche di tremula Speranza. Dopo tanto diluviare di lacrime.
Non a caso, Francesco è tornato il giorno dopo, in Santa Marta, a parlare di
pianto.
"È tempo di passione e di lacrime" ha detto.
E le lacrime lavano tormenti e paure per prepararci all'incontro con l'altro
tra ramoscelli d'ulivo e colombe di pace.
E nella tregua tutti ci siamo "ritrovati importanti e necessari"
oltre l'indifferenza che uccide più di ogni altro Male, in quanto abbiamo
bisogno gli uni degli altri perché,
... " nessuno si salva da solo".
(E nella profezia della salvezza la Vergine sorride perché sa che
oltre la morte Suo Figlio è risorto per testimoniare nei secoli dei secoli la
gloria del Padre...).
Che si creda o meno al terzo segreto di Fatima, che si creda o meno al mistero
del nostro nascere, vivere e morire in un universo disorientato e distante,
disperato nella disperante certezza che dopo tutto finisce nel nulla, il nulla
che è più spaventoso del vuoto, in quanto il vuoto ci serve dopo ogni pienezza
raggiunta per ricominciare..
Che si creda o meno in un Cielo sapiente e perfetto,
regolato dalle leggi della Attrazione universale, identificabile con l'Amore,
Lui è là ad attenderci nei secoli dei secoli.
E non importa se Francesco sia la vittima designata o il
marinaio che ci conforta con la sua sola certezza di salvezza, esortandoci a
"non aver paura", importa il suo abbraccio, commosso e universale, di
"Consolazione" a spronarci alla Carità, alla Fede, alla Speranza...
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