domenica 13 marzo 2022

Domenica 13 marzo 2022: Giovanni Gastel, un anno dopo. Angelica Grivèl Serra e la sua scrittura...

Solo ieri ho scoperto Angelica Grivèl Serra come scrittrice. E ne sono rimasta affascinata. Qualche anno fa, il mio primo incontro con i suoi occhi di LUNA, immensi e con uno sguardo verso orizzonti lontani, in una foto in bianco-nero scattata dal GRANDE Giovanni Gastel e da lui postata sulla sua Pagina FB. Anche allora rimasi affascinata da quel visetto dolcissimo e quegli occhi da cerbiatta e gli orizzonti immaginati e in fuga oltre… Scrissi immediatamente un commento che piacque al suo Autore. Anche Angelica mi sorprese subito dopo per il suo ringraziamento pieno di garbo e di calore. Poi, più nulla. Ma quella ragazzina con occhi di luna e lo sguardo lontano mi rimase nel cuore. E circa un mesetto fa l’ho contattata per commemorare, insieme, oggi 13 marzo, Giovanni Gastel a un anno dal suo improvviso volo tra le stelle. Eravamo entrambe d’accordo, vinte entrambe da una grande emozione. Poi, però, per alcuni inevitabili impedimenti, abbiamo dovuto rimandare l’incontro via web a tempi da destinarsi. E, intanto, sono sopravvenute nuove cause di rinvio per una guerra improvvisa che sta portando nuovi macigni sul cuore, oltre alle sofferenze ancora in atto per il Covid 19, crudele e devastante di questi ultimi tre anni. Noi, però, abbiamo continuato a parlarci, conoscendoci sempre più e superando persino i limiti della riservatezza e della asimmetria della nostra età. È stato molto interessante questo fitto dialogo quasi quotidiano tra noi, anche per cercare nuove possibilità di incontro, magari “in presenza” piuttosto che online, per ricordare con grande affetto e sconfinata ammirazione l’immenso Giò, sempre presente nel cuore di quanti lo hanno conosciuto e amato. Ma proprio durante queste nostre chiacchierate lei mi ha parlato di un suo romanzo, facendo riferimento a Delia, nonna della protagonista, sorprendendomi sempre più. Insomma, ho saputo non solo da lei, schiva com’è di parlare di sé in termini autoreferenziali, ma anche da… Google. E mi si è dischiuso un mondo su questa fanciulla in fiore davvero geniale e talentuosa, oltre che bellissima. Mi sono documentata anche sulla sua pagina FB, ed ecco cosa ho trovato:

“28 febbraio 2022

Oggi, nuova trama. Sì, cerco la scrittura. Anche e viepiù adesso, in questo scuro tempo di dramma inquieto. Il mio grazie, stavolta, va a Jacopo Cullin, per il suo schiudere gemme di sé offrendole al mio sguardo. E a Focusardegna, naturalmente.

JACOPO E VITALIA, UNA STORIA D'AMORE

Furtiva e vigile, Vitalia osserva dall’angolo. Manca poco più di un’ora all’inizio e, al momento, la vita si affaccenda tutta sul retropalco, in un brulicare di voci esigenti, richiami affrettati e strascichii di molti passi, perlopiù assorti in un andirivieni che ormai, dopo la frenesia di quattro giorni di prove, si è fatto esperto del luogo.

Cagliari si schiude all’epilogo del giorno, con un tramonto settembrino che declina sul mare con solennità: l’Anfiteatro si accende di quella luce morente. Vitalia distoglie per un attimo l’attenzione dai preparativi per guardarlo, quel tramonto: lo vede benevolo, come se il lento congedo del sole fosse un segno di complicità, il sussurro di un in bocca al lupo per l’evento vicino all’accadere. Del resto, dopo l’erranza di teatro in teatro attraverso ogni spicchio dell’isola, questa è ormai l’ultima tappa dello spettacolo, la più importante. Fragilissima, per le attese che su di lei crepitano: per questo, stavolta, Vitalia non può proprio mancare. E si tormenta nel dissidio tra una certa trepidazione euforica e gli assilli di mille paure.

D’un tratto, ecco, la persona che davvero Vitalia cercava nelle sue peregrinazioni di sguardo: Jacopo, finalmente. Lei immagina si trovasse impegnato in una ennesima ispezione tra gli spalti. Era inequivocabilmente sua la voce ferma che ha sentito, dieci minuti fa, mentre lui emendava un intralcio relativo all’impianto d’illuminazione. Se Jacopo impone la serietà del suo fare, sporge del tutto l’adulto che già lo abita, scavalcando l’espansiva vitalità dei suoi soli ventitré anni. Lui svetta, ritto. Quand’ecco, il miracolo dell’istante: l’adulto trasfigura. E ora non le appaiono più astrali i tempi in cui suo figlio ragazzino, nel gemmare dei suoi dodici anni, si raffrontava ancora implume, vispo e minuto a tutti i coetanei precoci, accomunati da voci tozze e da un’adolescenza già compiuta. Ed è strano vederlo oggi, con quel piglio direttivo, quando a scuola era totalmente avverso alla solerzia e comprava la simpatia dei professori con le imitazioni dei loro tic. Jacopo, ora, ha una mano impegnata in decine di fogli sgualciti; l’altra, libera, a distribuire quelli che sembrano essere pugnetti rituali d’incoraggiamento sulle spalle di tutti, in un dissipare le tensioni che si fa efficace, perché in replica gli giungono istantanee frecce di sorrisi e scoppiettii di risa diffuse.

Però è allo sguardo di Vitalia che lui spudoratamente ambisce, mentre la raggiunge con le sue falcate misurate. ‘Ma’, vai a sederti, dai, che sta arrivando gente’.

La mamma annuisce, riesce a offrirgli solo l’obolo di un sorriso timido, compromesso dalla spina dell’apprensione. Del resto, i figli sono un cappio al cuore. Te lo cannibalizzano. Gli occhi bruni, identici a quelli del figlio, cercano di arrampicarsi ad altezza di quelli di questa sua creatura: di certo, quando lui era bambino non c’era bisogno di mettersi in punta di piedi per baciarlo sulle palpebre. Comunque, Vitalia non riesce ancora a farsi contagiare dall’umore brioso di quel figlio risoluto che ama la macchina da presa davanti e dietro, adora calcare la polvere del teatro, ha molta voglia di far ridere le persone anche per i suoi stessi difetti e ha soprattutto tanta, tanta fantasia. Lei deve rassegnarsi all’irredimibile passione che negli anni lo ha portato ad andarsene tutte le estati in quei villaggi vacanze a intrattenere turiste sciantose con i valzer di fine serata per pagarsi i seminari di recitazione. E deve pure accettare il fatto che adesso lui voglia andare a Roma: le ha detto che la sua Sardegna gli ha già dato tanto, ma che ora sente il bisogno di una professionalità vera, ulteriore. ‘Devo fare studi ancora più seri, capisci, ma’?’

Jacopo scorge la punta dell’ansia nell’immobilità di sua madre, e le porge l’esortazione del suo sorriso vistoso e l’impaccio di una delle braccia troppo lunghe attorno alle spalle di lei. Il contatto gli conferma l’esilità di quella mamma minuscola eppure tetragono macigno. E mentre scioglie la stretta, lì, dietro le quinte, realizza che sua madre, con quel suo votarsi a lui, abbia reso la sua vita bella.

‘Allora vado, eh’.

Lo dice piano, Vitalia, mentre s’incammina in direzione degli spalti. Davanti a lei, l’Anfiteatro evolve in vivace bazar gremito di vita. E mentre il vortice crescente di persone lo popola sempre più, in un modo che la scaglia nello stupore, Vitalia si pente un po’ di aver insolentito Jacopo, in certe sere lontane di particolare sconforto, insistendo con la storia dell’università. Quando voleva che lui studiasse ingegneria, o magari architettura…le sarebbe andato bene anche se lui avesse scelto l’ISEF: almeno professore di ginnastica, dai. E poi tenersi il teatro come hobby. Ma lui, niente:

‘Il teatro è la mia università, ma’’.

Vitalia siede, gli spalti accesi di volti e delle luci che sì, funzionano a meraviglia. Ma lei piomba di nuovo nella paura. Le persone sapranno davvero riconoscere il talento del figlio, la passione sincera che gli ravviva il cuore? E Jacopo riuscirà a difendere quella sua volontà impetuosa dalle insidie di un ambiente così, intriso di tranelli e briganti, stanco di nocche consunte su porte sbarrate? Quante volte gli avrà detto:

‘Ma non è che mi diventi come loro, tu che sei gentile?’.

E lui: ‘Tranquilla, ma’. Vedrai, vedrai. E capirai che non lo divento, come loro. Lo sai perché? Perché sono come te’.

L’Anfiteatro ormai straborda di umanità. E mentre l’acciottolio di parole si attutisce sino a spegnersi, Vitalia raccoglie i pensieri, li annoda altrove. Tende tutta la pienezza dello sguardo laggiù, sul palco, dove la promessa dello spettacolo prende atto. Jacopo è in scena. Vitalia strizza gli occhi, a istinto giunge le mani.

Poi sente ridere, ridere, ridere ancora.

E l’ansia dilegua.”

Come non rimarcare, qualora ce ne fosse bisogno, la felice scrittura di questa ventitreenne fermamente decisa a innovare la letteratura italiana con un continuo ritorno alla tradizione classica della nostra lingua per un innato senso del bello e della musicalità, che le urge dentro come organo di chiesa lungo le navate che s’innalzano al cielo e, nello stesso tempo, decisa a guadagnare spazi non ancora visitati, sentieri di fioriture di parole non ancora percorsi. E gli esempi sono tanti in una sola pagina di una intensità sconvolgente: “Cagliari si schiude all’epilogo del giorno, con un tramonto settembrino che declina sul mare con solennità: l’Anfiteatro si accende di quella luce morente”; e ancora: “Fragilissima, per le attese che su di lei crepitano” (e le sinestesie sono sorprendenti, audaci, nuove nel contenuto e nella forma, sottolineano, almeno qui, il tamburellare quasi di “antichi legni” nel cuore di tutte “le attese”. E che dire de “l’obolo di un sorriso timido, compromesso dalla spina dell’apprensione”? Metafore davvero insolite che rendono secco, preciso, vero il significato, soprattutto psicologico oltre che filosofico, di quell’obolo di evangelica memoria. E la figura di Vitalia si erge in tutta la sua significanza di madre d’amore soggetto/oggetto dell’amore di suo figlio Iacopo. Un rapporto legato a doppia mandata dalla trepidazione della madre per la buona riuscita dello spettacolo del figlio, esso stesso metafora della vita del suo ragazzo ormai cresciuto alle sue braccia, ma ancora bambino annidato nel suo cuore. Forza dirompente e silenziosa dell’amore in una reciprocità che fa male prima di farsi successo, gloria, campane a festa nello scampanio argentino delle risate… E zio Giò, l’immenso zio Giò, dall’alto sorride compiaciuto alla sua “nipotina del cuore”. Ed io con lui. Da applauso scosciante la scrittura di Angelica Grivèl Serra. Ne riparleremo ancora e ancora A presto. Angela

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