Anche Piero Fabris dà un tocco di poesia e di fiaba al suo Ulivo, maestoso e umile, guerriero temerario e inerme innamorato, amante della luna e dei viandanti che percorrono strade di bellezza e santità, fino a confondersi con l’“ESSERE”, che si fa amore per la natura, per ogni essere vivente, per la stessa vita, che va oltre e abbraccia l’Oltre. “Pilastro e testimone di battaglie su campi maculati di papaveri, di stoppie bruciate e manti dorati sotto i quali un ventaglio di radici si allarga a toccare la profondità del silenzio di questa terra che spiana l’anima a grandi vie (…), abbraccia la timida alba, l’accarezza e desta a infiniti orizzonti”.
Quanta magia nel
“ventaglio di radici” che si dilata “a toccare la profondità del silenzio”, in
cui ci pare di essere tutti avvolti e appagati. Soprattutto oggi che sentiamo
sopraffatti da tanto rumore fuori e dentro di noi. Abbiamo dimenticato la
tregua che offre il silenzio ai nostri problemi e ai nostri inevitabili affanni
quotidiani in una società che fa dell’urlo l’unica possibilità di
comunicazione, visto che sempre più la parola va sparendo, fagocitata dalla
civiltà dell’immagine. Civiltà? Occorre fare dei distinguo. Anche perché non
dovremmo mai generalizzare.
Quanta tenerezza nella
straordinaria espressione “abbraccia la timida alba”: azione esitante che tutto
avvolge in un tempo di lento chiarore che prelude alla luce. E quanto “silenzio
profondo” per scoprire il non detto, le sue parole mute che irrompono nella
nostra anima…
Visionario, pur nella
veridicità della storia degli umani e delle piante, in una natura incontaminata
e calpestata, il racconto di Zaccaria
Gallo si snoda lungo i millenni percorsi da Ulivo tra incanti e disincanti,
miti e leggende, silenzi di zolle e di pietre e fragori di guerre e di contese.
“Si narra che Atena e Poseidone, per
avere la supremazia sulla città di Atene, litigavano da anni. Quando alla fine non riuscirono a venirne a
capo, andarono dal padre loro Giove: lui avrebbe deciso di risolvere la
questione. Quando la dea Atena svelò il dono che gli portava (e che ero io,
l’ulivo), fu lei a diventare la protettrice della città. Divenni albero sacro
ai greci”. In realtà, Poseidone col suo tridente, conficcato nel terreno,
fece zampillare acqua da una sorgente sotterranea; Atena usò la sua spada per
far germogliare un albero di ulivo, che sorprese e convinse gli ateniesi della
sua bellezza e, in seguito, della sua bontà e generosità quando scoprirono il
suo dono più grande: l’olio, biondo liquido dalle straordinarie proprietà per
la loro salute. Ritroviamo lo stesso mito nel racconto di Antonio V. Gelormini,
con una variante: Poseidone offrì un cavallo che Giove non gradì perché avrebbe
potuto portare alla guerra e scelse l’ulivo, dono di sua figlia Atena, perché
simbolo di pace. Intanto, Zaccaria continua nel suo racconto a ritroso nel
tempo a ricordare viaggi e ritorni, nostalgia e malinconia, vita e morte, in un
delirio di memorie senza fine. Fino all’acquietarsi in un pensiero che è
orgoglio e consapevolezza di sé: “Ho
accettato la sfida con i venti che volevano strapparmi alla terra, mi sono
piegato, e ho vinto, sempre, nutrendo il calice dell’immortalità”. E
immortale è il suo verde canto di foglie, luminose di sole e accese di stelle,
in un firmamento che ci insegna a superare il buio per ritrovare sempre la
strada delle luce che porta lontano fino alla via del ritorno verso il rifugio
sicuro della propria casa.
“Il mio canto di Puglia è un canto sussurrato, tra lo stormire di fronde
argentate e il fruscio in sordina di spighe dorate”. È questo l’incipit del
racconto di Antonio V. Gelormini,
che situa già il suo Ulivo in terra di Puglia, e di cui ricorda definizioni e
connotazioni, dovute a poeti stranieri e cantastorie nostrani per cantare
soprattutto l’Olio extravergine d’Oliva luminoso vanto della nostra amata terra,
penisola nella penisola. La nostra “identità contadina” e non solo. Perché gli
Ulivi sono “Testimonianze ispiratrici per
artisti, pittori, fotografi e scultori di raffigurazioni e spunti iconografici, nonché rappresentazione e simbolo di virtù,
tradizioni, dogmi, sentimenti e credenze popolari”. Insomma, essi vivono,
sempiterni, tra miti e leggende che ci portano persino nell’Attica e ad Atene,
come già ricordato in precedenza, oppure sul “Monte Ararat dell’Arca di Noè” o
ad Olimpia per cingere il capo dei primi campioni, fino a giungere nei paesi e paesini
pugliesi, dal Salento alla Daunia. Ulivo è l’unico imbattibile “re” di ieri,
oggi e sicuramente ancora domani di questa terra di avide invasioni e di eterni
conflitti e dominazioni, rimanendo sempre l’invitto dominatore “nelle mie umili,
popolari e molteplici vesti sovrane”.
E Valentino Losito lo erige a “Testimone” del tempo che non
attraversa invano la storia degli uomini e della loro fatica di vivere. E lo
innalza ad “Altare” di silenziosa preghiera quotidiana e di gratitudine per la
bellezza della natura del nostro Pianeta, e soprattutto per il canto degli
Ulivi che inargentano la nostra Puglia, da parte dei tanti “uomini di buona
volontà” contro i tantissimi nostri simili che ignorano “il grido di dolore”
che dalla Terra tutta s’innalza al cielo. Lo definisce “Sentinella” del
silenzio e del dolore. “Libro” e “Dizionario”, in cui tutte le lettere hanno
riscontro di parole e ogni parola ha significato di “saggezza” e “austerità”,
di nobile “povertà”, di nascosta “solitudine” e di sofferente “inquietudine”, a
cui l’ulivo offre i suoi generosi doni: luce,
ombra, rifugio, balsamo, verità. “Sono
canto di preghiera. Davanti a me i superbi vedono dispersi i loro pensieri e
gli umili si sentono innalzati. Sono un soffio di giustizia, una luce di speranza.
Perciò chi spera contro ogni speranza trova conforto nella mia ombra e nella
mia maestà”. Valentino, come è facile notare, è sensibile poeta, oltre che
giornalista e scrittore, e parla anche dei sogni di Ulivo, fatti di “bellezza”
e di “musica”, di “cuore” e di “anima”. “‘Uomo
torna uomo”: è questa la preghiera del sacro ulivo al nostro cuore’”, egli
accoratamente supplica. E conclude: “Salviamolo
nella nostra anima, ci sarà compagno di strada, luce per i nostri passi”.
(Continua)
"Sopraffatti dal rumore fuori e dentro di noi, siamo radici in cerca di silenzio. Il non detto, le parole mute
RispondiEliminache irrompono nella nostra anima"." Uomo torna uomo!" È il grido della nostra Terra. È il grido di tutti noi. E c'è da interrogarsi su questa grande verità! Un immenso grazie, Angela cara...