Sono ancora tante le poesie d’amore che mi sono pervenute o che ho raccolto affacciandomi su FB. Le trovo imperdibili perché cantano l’amore in tanti modi diversi e con sfaccettature diverse, di cui occorre tener conto per comprenderlo di più questo sentimento così intimo e privato e così universale. Alcuni studiosi della comunicazione sempre più vissuta sui social esprimono parere negativo su questo fenomeno che ci coinvolge ormai un po’ tutti perché non c’è momento di vita quotidiana, dalla nascita alla morte, che non trovi il suo spazio su Facebook, Twitter, Instagram e così via. Annullando completamente la privacy. Sono d’accordo anch’io in linea di massima perché mi sconvolge l’annuncio della morte di una persona cara immediatamente dopo la sua dipartita. E il dolore? Come si fa ad avere tempo e pensieri rivolti al social mentre urge dentro e strangola il dolore per la perdita di una nonna, una madre, un fratello, un figlio? Eppure oggi accade. E ogni sentimento positivo o negativo naviga in rete, diventando di tutti e di ciascuno. Così avviene anche per l’amore condiviso. È un danno? È una ricchezza? È un senso di comunità e di appartenenza che si dilata e ci fa sentire meno soli? È puro esibizionismo? È desiderio di condivisione? Potrebbe essere di tutto un po’. Bisognerebbe scavare nei meandri complessi e insondabili dell’animo umano (un insieme di corpo-mente-cuore-DNA-passato-presente-futuro a formare il tutto che è sempre molto di più della somma delle singole parti). Personalmente, penso che ben vengano le poesie d’amore in un mondo, anche quello virtuale, che sempre più oggi è intriso di indifferenza, egoismo, violenza, odio, sopraffazione, fino ai dati estremi di omicidio/suicidio sempre più frequenti nel nostro tessuto sociale e familiare. E dunque, è bene, a mio parere, continuare a parlarne. Non credo possa farci male. Ho tra le mani ancora poesie molto belle che voglio condividere per apprezzarle insieme e per un confronto sempre arricchente e salutare anche tra pareri discordanti, anzi soprattutto tra punti di vista diversi.
E allora vado a cominciare
con alcune poesie d’amore di Maria Pia Latorre, che ci offre dell’amore una
vasta gamma di accezioni tutte ricche di pathos, in una veste originale,
insolita, nuova ma in sintonia con la poetica di questi ultimi tempi, con tante
sinestesie e tante metafore e tante figure retoriche con rivisitazioni in rima.
Titolo della prima “Ti amo e in te la
vita”: Ti amo e in te la vita/ sorpresa
in questo spasmo/ impasta nuvole e lenzuola/ con le palpebre di finestre/
abbassate a metà/ a far cantare la città// Ti amo e in te la vita/ ha
consistenza di frutta/ rovesciata sull’erba/ un biglietto Roma New York/
rollato nella tasca del cappotto// In te la vita amo/ e amo il tuo mare/ tra
mocassini rattoppati/ stesi sulla tela/ cuori vaganti/ in respiri d’edera// Ti
amo e in te la vita/ non è vita se non per reggere il destino/ col sorriso
impavido/ di un buon profumo/asperso per sfida// In te la vita amo/ scivola la
mia mano/sul tuo mare velluto/ dentro cose adagiate per sbaglio/ dimentiche
della nostra essenza/ scivola sull’ennesima emissione di fiato// spezzato in
due/ si espande il pensiero/ senza considerare la luna fiorita tra i rami// Quanta
attrazione per dirci,/ solo per dirci// due fiumi d’acciaio bianco e nero,/
avvinti dai primordi/ nel tempo fermo// ma se s’inarca/ nell’ansa del collo/
uno slancio// un arcobaleno/ in/
fiamma ci avvolge; “Gymnopedie n. 1” è il titolo della seconda: Con te sfioro la pienezza del vivere
eterno// le sabbie del deserto di Gerico/ ammaliate da sfolgorii radianti/ come
acquerugiole diamantine// giacigli di gelsomini astrali/ seguono il destino
delle viole/ e del pensiero…/ ah! il pensiero/ muove a folle velocità/ negli
spazi profani/ delle disimmetrie/ con le lune immote nei destini/ disgiunti/ e
i corpi congiunti// allegria di frastuoni si affacciano/ alle finestre/
cercando il dove/ cercando il se del sé/ nei gesti incorporei/ di stolida
felicità// senza accorgercene/ ci espandiamo/ nel vivere eterno/ dell’incorporeità//
torneremo ancora quaggiù?; “Montepiano”, titolo della terza: Scrutiamo il futuro/ a passi felpati/ come
gatti su tegole incerte./ Hai preso la mia vita/ e ne hai fatto felicità// Le
nostre promesse/ sollevate dal vento/ tra i vicoli pietrosi/ un tetto di carta
indorata/ la quiete che ferma il tempo/ sulle nostre teste (da L’enigma dei crochi). Meriterebbero un
commento dettagliato tanto sono ricche di senso e significazione, ma non è
possibile in questa sede. Vorrei sottolineare la bellezza del “tempo fermo” che
la “quiete” regala, cercando anche ma non solo “il se del sé”, il dubbio che
vanifica persino la parte più intima di noi nel momento in cui ci oggettiviamo
e prendiamo le distanze da ciò che eravamo e che siamo per riscoprirci diversi
e nuovi. Dove la certezza? Nel passato remoto o nel futuro che ci attende
mentre noi lo attendiamo, senza il coraggio di andargli incontro? O forse sì? Da
soli? In due? In tanti?
Ma ecco un’altra bellissima
poesia d’amore di Assunta Braì al suo uomo Gino Locaputo. Entrambi poeti,
entrambi con un passato difficile da indossare come abito mai del tutto
dismesso, entrambi forti e coraggiosi nel rinascere ad ogni nuovo sole “sulle
sciagure umane”. L’importante è essere insieme. Il titolo emblematico “Dammi la
mano”: Dammi la mano/ e camminiamo
insieme/ verrò con te/ negli anni verdi tuoi/ nella mia gioventù/ ti guiderò…/
e poseremo i piedi/ in prati verdi// nell’erba mai falciata/ dei tratturi/ e ti
farò ammirare/ gigli bianchi/ nel cielo azzurro/ di un antico giugno/ poi
torneremo insieme/ ebbri di sole/ a vivere quello che…/ ci resta/ vestiti gli
occhi tuoi/ di verde e azzurro/ di gioventù/ che dicono trascorsa.
(dedicata a Gino Locaputo che da più di sei anni è il mio compagno di vita). Tenerissimo
canto che incanta di giovinezza sempre viva, acciuffata per i capelli sempre
lunghi di ricordi da rivivere senza rimpianti e nostalgie, assaporando il
presente attimo dopo attimo.
E ad un amore da vivere con…
“quello che resta” ecco affiancarsi l’incanto del “PRIMO AMORE” di Lizia De Leo:
C’era il plenilunio/ quella sera d’agosto/
di non so quante centinaia/ di anni fa…// Una brezza leggera/ muoveva le cime/
delle palme/ e le foglie degli ulivi.// Saliva da lontano/ con una fragranza
leggera/ il salino del mare.// E un vecchio giradischi/ posato sull’erba secca/
dilatava una musica lenta.// Ballavo tra le tue braccia./ Eri il primo amore./
Ma tu non lo sapevi… Tutto era
magico, anche il “vecchio giradischi/ posato sull’erba secca”, in quel cerchio
di “musica lenta” che il “plenilunio” illuminava a giorno e faceva capriolare
il cuore in un tumulto silenzioso che “lui”, il ragazzo amato, ignorava. La conclusione
di innocente malinconia rimescola realtà e sogno tra rimpianto e nostalgia di
quel primo segreto batticuore… Ma ecco come contraltare un nuovo amore,
diverso, vissuto nella pienezza dei sentimenti condivisi, pur nella inevitabile
asimmetria degli anni. Ma quanto vero, meraviglioso, salvifico! “Nonna e
nipotina”: Tengo la tua mano/ nella mia./
Piccola./ Tenera./ Tiepida.// E mi sembra/ di stringere/ il tuo futuro/ aurora
di primavera/ luce liquida/ di un azzurro mattino.// Inconsapevole/ della tua
pura energia/ con i tuoi abbracci/ lenisci le mie ferite/ le perdite e le
assenze.// E smentisci/ tu, creatura agli albori,/ il tempo breve/ che mi resta/
negandone il compimento.// Nipotina e Nonna:/ mistero di un amore di miele/ e
di vaniglia/ dialogo muto con la meraviglia. Improvvisa dolcissima rima che
tutti riempie di meravigliosa emozione.
E stamattina leggo su FB
una storia d’amore che supera il tempo e lo spazio e si fa infinita. È di
Mattia Cattaneo, delle cui poesie d’amore ho già parlato qualche settimana fa. Ma
i versi che ho letto stamattina meritano una condivisione più estesa e senza
limiti: pelle resa/ a livida seppia/ nel
pneuma/ di questo srotolare/ i nastri consumati// giorni diluiti/ in una messa
a fuoco riuscita male/ dove si vive solo di uno sguardo/ o di gesti mossi da un’aria/
che sa di parto improvviso// incagliato/ sui miei precipizi/ ti dissi nel pieno
silenzio// so reagire ad un addio. Conclusione
urlata coraggiosamente che non corrisponde a verità. Perdere la propria mamma
da ragazzino è una ferita nell’anima che nessun altro amore risana, eppure
tutti li comprende perché si fa arco d’infinito, in cui Mattia rinasce (“parto
improvviso”, che sa di partenza e di arrivo) all’amore per lei, per la sua
compagna, per gli altri ad ogni nuova alba…
Poi, Elina Miticocchio mi
porta tra le mani una poesia d’amore assoluto: Tu solo puoi abitarmi/ tu infinito/ tu cielo/ tu fronda d’albero/ Ho
mani invisibili ai più/ tu curi la mia sostanza/ e se sono strana/ e ti cerco/
ringrazio per non trovarci/ Un giorno ci incontreremo/ e saremo visibili/ ai
più, ai tanti… E l’amore che rende “visibili/ ai più, ai tanti…” è una nuova benedizione.
Infine, un anonimo (un
uomo, una donna?) mi scrive “Le intenzioni interrotte” su cui credo che occorra
riflettere molto: Sfolgorante bellezza naturale/ a sedici anni coniati d’oro puro/ lei
del primo del secondo/ del terzo amore si fece vanto// al quarto dedicò labbra
e mani/ passione carezze tutto il cuore/ e pugnali ebbe tra schiena/ e petto a
trafiggerla di giorni/ mesi anni e un solo tormento// Lei avrebbe voluto un
uomo/ a proteggerla da ogni inganno/ un figlio da amare/ la mano sua da
stringere/ contro il seno// contro ogni tradimento/ e pietre da scansare/ o fiume
da cercare/ prima di tuffarsi in alto mare/ contro rapide torrenti cascate//
imboscate e rovinose cadute/ ma le attese senza richiami/ inaridirono lo
slancio del cuore/ interruppero la voglia di danzare… La forza devastante
dei tradimenti? Un tema da affrontare. Forse nel Retino. A partire da gennaio. (continua)
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