lunedì 25 febbraio 2019

25 febbraio: ancora su "Duetto Profano" di Giovanni Gastel


                                                   GIOVANNI GASTEL
                                                  DUETTO PROFANO

Incontrare per la prima volta Giovanni Gastel è riconfigurare tutte le ipotesi che sia stato possibile fare in precedenza: il fotografo di fama internazionale, lo scrittore di successo e raffinato poeta è un sorridente signore che ti viene incontro, ti abbraccia e ti fa sentire come se lo conoscessi da sempre. L’aristocrazia della sua nascita è aristocrazia del cuore.
Duetto Profano, il suo “romanzo giovanile”, pubblicato molti anni dopo e per la prima volta dalla Casa editrice SECOP, ormai affermata in campo nazionale e all’estero, ha una sua chiara e catturante veste tipografica.
Il testo è diviso in capitoli che si alternano tra “la realtà” e “il romanzo”, ma qual è la realtà e quale il romanzo?
Seguire l’intestazione dei capitoli è inoltrarsi in un percorso labirintico, tornare sui propri passi, forzare porte che si aprono su pareti dove le immagini riflesse non sai mai se sono reali o un solo un gioco di specchi.
Il protagonista non ha un nome ma, sia nella “realtà” sia nel “romanzo”, ha alcuni   elementi che lo connotano: i libri e il libro che va scrivendo.
Il linguaggio cambia nella duplice scrittura del libro: pieno di aggressività verbale nella “realtà”, elegante e a tratti fortemente poetico nel “romanzo”.
Eccellente prova d’autore, nonostante la giovanissima età.
Nella “realtà”, il giovane protagonista è iniziato alla scoperta della violenza, del dolore, delle bestialità, che possono compiere gli uomini, da un libro che, quando era ancora bambino, gli mostra, dopo sue insistenze, un ragazzotto seduto sulla sua stessa panchina in un parco: “… che modo atroce di scoprire il mondo, di capire gli uomini, che modo atroce di crescere. Guardavo quei corpi dilaniati, quelle membra deturpate dai più bestiali esperimenti, guardavo quegli ebrei evirati, torturati, sezionati. Guardavo i loro occhi fissi, trasudanti orrore, paura, morte. […] Quando ho chiuso il libro ho guardato il tipo con occhi nuovi, ho guardato tutto con occhi nuovi”. È perdere l’innocenza, uscire fuori da una adolescenza difficile, con un padre noioso che non lo comprende, e con la madre, morta anni prima, che viene sostituita dalla televisione. La televisione che gli racconta favole, lo fa viaggiare con le sue immagini in remoti paesi e gli fa conoscere gli usi del mondo e quello che il mondo ritiene sia il limite fra il bene e il male. E continua l’elogio della “meravigliosa scatola di plastica” che ancora si illumina al suo tocco di mille immagini, sempre pronta, comprensiva, disponibile. Ma coltiva un sogno: scrivere un libro.
Anche il protagonista del “romanzo” sta scrivendo un libro, un libro dalla difficile gestazione che in realtà non scrive mai; ha un fratello lontano, la cui presenza è ancora avvertibile nella grande casa di famiglia a cui fa spesso ritorno e che lo accoglie, come rigenerandolo, nella luce che entra dalle finestre e “sembra inventare la stanza che illumina, crearla dal nulla”.
Dopo un mese trascorso da solo, arrivano gli amici di infanzia, sollecitati forse dalla madre che non capisce perché si voglia restare soli a diciotto anni (e ci fa scoprire quindi la sua età), ma solo uno di essi, Guido, attira la sua attenzione ed è l’unico che vuol rivedere.
C’è molta ironia in questo libro: “ saprò se l’idea che mi son fatta di lui è vera o è solo il frutto della mia fantasia. A volte quando una persona non parla si crede di scorgere chissà quale mistero dietro il suo silenzio… e si dimentica di pensare che forse quella persona non ha niente da dire…”.
Guido con il suo silenzio lo induce a parlare, ad aprirsi, a confidarsi, il dialogo viene facile, ma c’è qualcosa che non convince, qualcosa di oscuro nel suo nuovo amico.
Il protagonista della “realtà”, ha ventitré anni e scrive perché scrivere è un modo di   riorganizzare la vita, inventarsela, dorme fino a tardi, con i soldi che gli invia suo padre in una busta gialla per l’università che ha smesso di frequentare; vive in un mondo in cui non si riconosce: “Però sarebbe bello vivere senza pensare, senza avere paura. […] Il fatto è che abbiamo voluto sapere la differenza tra il bene e il male”.
Quanta ironia nella sua descrizione del peccato originale, e dalla sua scrivania parla con Dio, parla con i santi e con chi gli pare, ma alla fine delle sue considerazioni c’è tutta la consapevolezza della sua solitudine.
“Il romanzo”. Anche qui una busta gialla con i soldi arriva al protagonista con le esortazioni del padre. Anche lui legge, legge tanto perché leggere diventa una necessità. Fino all’incontro con Paola.
Nel libro di Gastel, le donne sono vissute perlopiù come manipolatrici: Anna, nella “realtà”, con la sua mania di organizzargli la vita; l’altra, Paola, nel “romanzo”, vuole insegnargli a vivere.
Paola è bella, allegra, ai libri preferisce la vita, vuole “viaggiare, parlare, conoscere il mondo com’è, senza intermediari”. Paola lo induce a viaggiare, ad affrontare la gente, lo porta a casa sua, una casa che lo inquieta, ma dove si ferma e, con il padre di Paola e la sua nuova compagna e con un nuovo ospite, egli affronta il tema di Dio e della religione: “Io non so se credo, signore, non lo so. A volte credo in Dio, sì, disperatamente. A volte credere mi sembra inutile e vano. Ma sempre sento qualcosa di magnifico ed emozionante nel suo nome. Se poi fosse un’invenzione dell’uomo a maggior ragione bisognerebbe rispettare la sua grandezza. Non riesco a immaginare nulla di più emozionante per l’uomo che la creazione di Dio”. Questo discorso suscita l’interesse e l’ammirazione di Paola e di suo padre e sembra integrarlo nel loro mondo, ma è evidente che qualcosa sta finendo, anche nel suo rapporto con la bella e spregiudicata ragazza.
“La realtà”. Volutamente volgare la requisitoria contro babbo Natale, ma quanta amarezza nella dissacrazione!
“Il romanzo” procede per il protagonista con la riscoperta del proprio corpo, la consapevolezza di poter vivere una vita diversa superando la timidezza nascosta dietro “un’assurda incastellatura di parole” e accettare la propria normalità e i limiti, i vizi, le paure nascoste. “Accettare la vita significa in fondo accettare la morte”.
Nella “realtà” il linguaggio cambia, diviene volutamente aggressivo, volgare.
Anche qui c’è il desiderio di iniziare, di provare, di trovare un lavoro, ma che sia “una cosa stramba e disinibita, eccentrica”, per ricominciare, anche senza più ideali. La “mediocrità ha i suoi vantaggi”. Non importa che il libro, giunto ormai quasi alla fine, rimarrà incompiuto, il libro che lo avrebbe reso unico, eccezionale agli occhi degli altri, ma che sembra non interessare più a nessuno, mentre il padre e Anna continuano a sollecitarlo a trovarsi un lavoro. Una prima consapevolezza di sconfitta.
“Il romanzo”. Paola. Non c’è più nel protagonista la certezza del suo amore né della poesia che lui avvertiva dentro per lei, ma la consapevolezza che l’uomo nuovo che stava prendendo forma nel suo Io più profondo “così pieno di assurde passioni, di tristezze profonde e vive, era una creazione di Paola, nasceva in lei e per lei sola aveva ragione di esistere”, e ora sa che l’uomo nuovo cercherà di trovare, comunque, la sua strada anche dopo la dura rivelazione che gli impone una scelta definitiva. Il ritorno in macchina lo pone di fronte al dopo, al cosa resti dopo di lei, ma ritornare ad essere quello di prima non è più possibile. Tornare nella vecchia casa di campagna è già un atto di volontà, di coraggio. E, nei viali del grande giardino, si rende conto che sono finiti i tempi delle fughe, del suo bisogno della gente, dell’amore; che è possibile “vivere altre vite”. E cerca l’amico Guido, ma Guido è ormai un uomo distrutto che gli dice congedandolo: “ora vai, ragazzo, non ho più niente per te”. È tempo, dunque, che cammini da solo.
“La realtà”. Un anno è trascorso, tante cose sono cambiate, il bilancio è amaro. Anche se i capelli sono ancora lunghi, ci si accorge che a ventiquattro anni si vedono forse le cose in un’ottica diversa, si insinua il dubbio che il padre non avesse poi tutti i torti e si avvicina il tempo di venir riassorbiti dal gioco perverso della quotidianità: casa, ufficio, rispettabilità e “allora sarà davvero finita e io non me ne accorgerò nemmeno”.
“Il romanzo”. La visita a Guido, ormai in stato vegetativo all’ospedale, dopo un incidente di macchina imprevedibile o volontà di annullamento totale, gli è comunque di aiuto, ancora una volta l’amico gli viene incontro, “Come avrei vissuto da quel giorno non era chiaro, ma avevo ora con me il segreto della vita, il segreto della sua fragilità e della sua forza”. Anche Paola è ormai una voce del passato, si può non rispondere alla sua telefonata inaspettata e tanto attesa e bruciare la diapositiva con il suo volto fino ad ora tenuta in tasca.
Il sole riapparso fra le nuvole forma astratte geometrie fra i caseggiati, ancora, forse, gioco illusorio di specchi o nitida realtà?
Qui finisce il “romanzo”.
“La realtà”. La squallida scena del motel col sesso a pagamento forse è una balla, anche il libro forse è una balla come tutta la storia? Ma il libro esiste veramente perché “domani partirà dentro una busta gialla verso il suo destino”, una emblematica busta gialla come quella in cui arrivavano i soldi del padre.
“La realtà. Seconda parte”.
Il padre è morto, calato nella fossa, il padre voluto morto per tutta la vita e che forse il protagonista non ha mai capito, con il quale si sono reciprocamente delusi, e ora egli è libero dai suoi silenzi, dalla sua compassione, dai suoi soldi che gli hanno permesso comunque di vivere. Di leggere. Di scrivere.
La lettura e la scrittura possono realmente salvarci o sono anche esse supporti illusori della vita, in cui registriamo comunque e sempre una sconfitta?
Siamo, dunque, destinati alla sconfitta in entrambi i casi o un nuovo inizio è sempre possibile?
Questo, a mio parere, il messaggio aperto a più soluzioni di Duetto Profano.
Quanto ci sia di autobiografico nel libro di Gastel non è dato saperlo, forse una chiave di lettura può darcela lo stesso autore con i versi di una sua poesia:

                Approdato come un naufrago in una terra
                sconosciuta, ho misurato il territorio e appreso
                la lingua dei nativi. Sono invecchiato raccontando del
                mio mondo lontano, ma ancora la notte nel buio
               sogno navi amiche che mi riportino a casa”

                                                             Marisa Carabellese
Ed ecco il commento di Giovanni Gastel
Bellissima lettura del nostro ‘Duetto’. Ringrazia moltissimo Marisa per questa   splendida recensione, intensa e puntuale! Ne sono davvero felice”.
E non poteva essere diversamente. Per motivi di lunghezza, abbiamo dovuto, purtroppo, sintetizzarla per poterla postare sulla pagina di SECOP edizioni, ma qui sul mio blog i lettori sanno che devono armarsi di coraggio e di pazienza per arrivare fino in fondo. Scrivo sempre tantissimo. È la mia passione e perdizione. Ma non demordo. Snaturerei me stessa e la mia scrittura.
La recensione di Marisa è motivo di nuove profonde riflessioni sul romanzo di Giovanni Gastel; un romanzo scritto a diciassette anni, ma che rivela nelle sue pagine, così complesse e ben articolate, tra realtà e fantasia, la maturità di un uomo che ha già vissuto molteplici esperienze di vita in contesti culturali diversi, con regole diverse e condizionamenti diversi, riuscendo a spezzare le catene della giovanissima età con la sola forza del suo talento poliedrico, sostenuto dalle innumerevoli letture dei classici (e non solo), che gli hanno dato sempre una marcia in più per comprendere le ingarbugliate vie della mente e del cuore, sue e degli altri, e per continuare, in una ricerca spasmodica di sé, a chiedersi il senso della vita e della morte, con una irrefrenabile ansia di scoprire Dio, dovuta alla sua eccezionale sensibilità, per farne perno della sua esistenza e per non perdersi nei meandri bui della notte di questo nostro tempo.
Per non registrare, come avviene per i tanti personaggi di Duetto Profano, le amare sconfitte dei sogni e dei progetti di vita di più generazioni a confronto e di due diverse condizioni sociali, così bene evidenziate dalla intensa, puntuale, insolita analisi di una lettrice straordinariamente acuta e attenta ai particolari come Marisa Carabellese, e dischiudersi, invece, alla visione più ampia e più luminosa dell'Amore e della Speranza… grazie alla presenza di Dio nel mondo…
E tra le pagine di Giovanni e di Marisa mi sembra di scorgere la luce dei versi di un altro carissimo amico, che ho perso circa due anni fa, su Colui che è essenzialmente amore e ci viene incontro sempre. per non lasciarci mai soli.
                AMORE
“È certamente uno di loro (lui?)
per discrezione camuffato: appoggia
alla fine la mano sulla nostra
spalla, la scuote un poco, la sospinge
verso l’amore che la pietà vince
e il tempo, da quell’attimo di luce
vivo per sempre”.
                                               Torino, 1 luglio 2015
(Giorgio Bàrberi Squarotti, Le voci e la vita, SECOP edizioni, 2016)









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