GIOVANNI GASTEL
DUETTO PROFANO
Incontrare
per la prima volta Giovanni Gastel è riconfigurare tutte le ipotesi che sia
stato possibile fare in precedenza: il fotografo di fama internazionale, lo
scrittore di successo e raffinato poeta è un sorridente signore che ti viene
incontro, ti abbraccia e ti fa sentire come se lo conoscessi da sempre.
L’aristocrazia della sua nascita è aristocrazia del cuore.
Duetto Profano, il suo “romanzo giovanile”, pubblicato
molti anni dopo e per la prima volta dalla Casa editrice SECOP, ormai affermata
in campo nazionale e all’estero, ha una sua chiara e catturante veste
tipografica.
Il testo è
diviso in capitoli che si alternano tra “la realtà” e “il romanzo”, ma qual è
la realtà e quale il romanzo?
Seguire
l’intestazione dei capitoli è inoltrarsi in un percorso labirintico, tornare
sui propri passi, forzare porte che si aprono su pareti dove le immagini
riflesse non sai mai se sono reali o un solo un gioco di specchi.
Il
protagonista non ha un nome ma, sia nella “realtà” sia nel “romanzo”, ha alcuni elementi che lo connotano: i libri e il
libro che va scrivendo.
Il
linguaggio cambia nella duplice scrittura del libro: pieno di aggressività
verbale nella “realtà”, elegante e a tratti fortemente poetico nel “romanzo”.
Eccellente
prova d’autore, nonostante la giovanissima età.
Nella
“realtà”, il giovane protagonista è iniziato alla scoperta della violenza, del
dolore, delle bestialità, che possono compiere gli uomini, da un libro che,
quando era ancora bambino, gli mostra, dopo sue insistenze, un ragazzotto
seduto sulla sua stessa panchina in un parco: “… che modo atroce di scoprire il mondo, di capire gli uomini, che modo
atroce di crescere. Guardavo quei corpi dilaniati, quelle membra deturpate dai
più bestiali esperimenti, guardavo quegli ebrei evirati, torturati, sezionati.
Guardavo i loro occhi fissi, trasudanti orrore, paura, morte. […] Quando ho chiuso il libro ho guardato il
tipo con occhi nuovi, ho guardato tutto con occhi nuovi”. È perdere
l’innocenza, uscire fuori da una adolescenza difficile, con un padre noioso che
non lo comprende, e con la madre, morta anni prima, che viene sostituita dalla
televisione. La televisione che gli racconta favole, lo fa viaggiare con le sue
immagini in remoti paesi e gli fa conoscere gli usi del mondo e quello che il
mondo ritiene sia il limite fra il bene e il male. E continua l’elogio della “meravigliosa scatola di plastica” che ancora si illumina al
suo tocco di mille immagini, sempre pronta, comprensiva, disponibile. Ma
coltiva un sogno: scrivere un libro.
Anche il
protagonista del “romanzo” sta scrivendo un libro, un libro dalla difficile
gestazione che in realtà non scrive mai; ha un fratello lontano, la cui
presenza è ancora avvertibile nella grande casa di famiglia a cui fa spesso
ritorno e che lo accoglie, come rigenerandolo, nella luce che entra dalle
finestre e “sembra inventare la stanza che
illumina, crearla dal nulla”.
Dopo un mese
trascorso da solo, arrivano gli amici di infanzia, sollecitati forse dalla
madre che non capisce perché si voglia restare soli a diciotto anni (e ci fa
scoprire quindi la sua età), ma solo uno di essi, Guido, attira la sua
attenzione ed è l’unico che vuol rivedere.
C’è molta
ironia in questo libro: “… saprò se l’idea che mi son fatta di lui è
vera o è solo il frutto della mia fantasia. A volte quando una persona non
parla si crede di scorgere chissà quale mistero dietro il suo silenzio… e si
dimentica di pensare che forse quella persona non ha niente da dire…”.
Guido con
il suo silenzio lo induce a parlare, ad aprirsi, a confidarsi, il dialogo viene
facile, ma c’è qualcosa che non convince, qualcosa di oscuro nel suo nuovo
amico.
Il
protagonista della “realtà”, ha ventitré anni e scrive perché scrivere è un
modo di riorganizzare la vita, inventarsela, dorme
fino a tardi, con i soldi che gli invia suo padre in una busta gialla per
l’università che ha smesso di frequentare; vive in un mondo in cui non si
riconosce: “Però sarebbe bello vivere
senza pensare, senza avere paura. […]
Il fatto è che abbiamo voluto sapere la differenza tra il bene e il male”.
Quanta
ironia nella sua descrizione del peccato originale, e dalla sua scrivania parla
con Dio, parla con i santi e con chi gli pare, ma alla fine delle sue
considerazioni c’è tutta la consapevolezza della sua solitudine.
“Il
romanzo”. Anche qui una busta gialla con i soldi arriva al protagonista con le
esortazioni del padre. Anche lui legge, legge tanto perché leggere diventa una
necessità. Fino all’incontro con Paola.
Nel libro
di Gastel, le donne sono vissute perlopiù come manipolatrici: Anna, nella
“realtà”, con la sua mania di organizzargli la vita; l’altra, Paola, nel
“romanzo”, vuole insegnargli a vivere.
Paola è
bella, allegra, ai libri preferisce la vita, vuole “viaggiare, parlare, conoscere il mondo com’è, senza intermediari”.
Paola lo induce a viaggiare, ad affrontare la gente, lo porta a casa sua, una
casa che lo inquieta, ma dove si ferma e, con il padre di Paola e la sua nuova
compagna e con un nuovo ospite, egli affronta il tema di Dio e della religione:
“Io non so se credo, signore, non lo so.
A volte credo in Dio, sì, disperatamente. A volte credere mi sembra inutile e
vano. Ma sempre sento qualcosa di magnifico ed emozionante nel suo nome. Se poi
fosse un’invenzione dell’uomo a maggior ragione bisognerebbe rispettare la sua
grandezza. Non riesco a immaginare nulla di più emozionante per l’uomo che la
creazione di Dio”. Questo discorso suscita l’interesse e l’ammirazione di
Paola e di suo padre e sembra integrarlo nel loro mondo, ma è evidente che
qualcosa sta finendo, anche nel suo rapporto con la bella e spregiudicata
ragazza.
“La realtà”.
Volutamente volgare la requisitoria contro babbo Natale, ma quanta amarezza
nella dissacrazione!
“Il
romanzo” procede per il protagonista con la riscoperta del proprio corpo, la
consapevolezza di poter vivere una vita diversa superando la timidezza nascosta
dietro “un’assurda incastellatura di
parole” e accettare la propria normalità e i limiti, i vizi, le paure
nascoste. “Accettare la vita significa in
fondo accettare la morte”.
Nella
“realtà” il linguaggio cambia, diviene volutamente aggressivo, volgare.
Anche qui c’è
il desiderio di iniziare, di provare, di trovare un lavoro, ma che sia “una cosa stramba e disinibita, eccentrica”,
per ricominciare, anche senza più ideali. La
“mediocrità ha i suoi vantaggi”. Non importa che il libro, giunto ormai
quasi alla fine, rimarrà incompiuto, il libro che lo avrebbe reso unico,
eccezionale agli occhi degli altri, ma che sembra non interessare più a
nessuno, mentre il padre e Anna continuano a sollecitarlo a trovarsi un lavoro.
Una prima consapevolezza di sconfitta.
“Il
romanzo”. Paola. Non c’è più nel protagonista la certezza del suo amore né
della poesia che lui avvertiva dentro per lei, ma la consapevolezza che l’uomo
nuovo che stava prendendo forma nel suo Io più profondo “così pieno di assurde passioni, di tristezze profonde e vive, era una
creazione di Paola, nasceva in lei e per lei sola aveva ragione di esistere”,
e ora sa che l’uomo nuovo cercherà di trovare, comunque, la sua strada anche
dopo la dura rivelazione che gli impone una scelta definitiva. Il ritorno in
macchina lo pone di fronte al dopo, al cosa resti dopo di lei, ma ritornare ad
essere quello di prima non è più possibile. Tornare nella vecchia casa di
campagna è già un atto di volontà, di coraggio. E, nei viali del grande
giardino, si rende conto che sono finiti i tempi delle fughe, del suo bisogno della
gente, dell’amore; che è possibile “vivere
altre vite”. E cerca l’amico Guido, ma Guido è ormai un uomo distrutto che
gli dice congedandolo: “ora vai, ragazzo,
non ho più niente per te”. È tempo, dunque, che cammini da solo.
“La realtà”.
Un anno è trascorso, tante cose sono cambiate, il bilancio è amaro. Anche se i
capelli sono ancora lunghi, ci si accorge che a ventiquattro anni si vedono
forse le cose in un’ottica diversa, si insinua il dubbio che il padre non
avesse poi tutti i torti e si avvicina il tempo di venir riassorbiti dal gioco
perverso della quotidianità: casa, ufficio, rispettabilità e “allora sarà davvero finita e io non me ne
accorgerò nemmeno”.
“Il
romanzo”. La visita a Guido, ormai in stato vegetativo all’ospedale, dopo un
incidente di macchina imprevedibile o volontà di annullamento totale, gli è
comunque di aiuto, ancora una volta l’amico gli viene incontro, “Come avrei vissuto da quel giorno non era
chiaro, ma avevo ora con me il segreto della vita, il segreto della sua
fragilità e della sua forza”. Anche Paola è ormai una voce del passato, si
può non rispondere alla sua telefonata inaspettata e tanto attesa e bruciare la
diapositiva con il suo volto fino ad ora tenuta in tasca.
Il sole
riapparso fra le nuvole forma astratte geometrie fra i caseggiati, ancora,
forse, gioco illusorio di specchi o nitida realtà?
Qui finisce
il “romanzo”.
“La realtà”.
La squallida scena del motel col sesso a pagamento forse è una balla, anche il
libro forse è una balla come tutta la storia? Ma il libro esiste veramente
perché “domani partirà dentro una busta
gialla verso il suo destino”, una emblematica busta gialla come quella in
cui arrivavano i soldi del padre.
“La realtà.
Seconda parte”.
Il padre è
morto, calato nella fossa, il padre voluto morto per tutta la vita e che forse
il protagonista non ha mai capito, con il quale si sono reciprocamente delusi, e
ora egli è libero dai suoi silenzi, dalla sua compassione, dai suoi soldi che
gli hanno permesso comunque di vivere. Di leggere. Di scrivere.
La lettura
e la scrittura possono realmente salvarci o sono anche esse supporti illusori
della vita, in cui registriamo comunque e sempre una sconfitta?
Siamo,
dunque, destinati alla sconfitta in entrambi i casi o un nuovo inizio è sempre possibile?
Questo, a
mio parere, il messaggio aperto a più soluzioni di Duetto Profano.
Quanto ci
sia di autobiografico nel libro di Gastel non è dato saperlo, forse una chiave
di lettura può darcela lo stesso autore con i versi di una sua poesia:
“Approdato come un naufrago in una terra
sconosciuta, ho misurato il territorio e appreso
la lingua dei nativi. Sono invecchiato raccontando del
mio mondo lontano, ma ancora la notte nel buio
sogno navi amiche che mi riportino a casa”
Marisa Carabellese
Ed ecco il commento di Giovanni Gastel
“Bellissima lettura del nostro ‘Duetto’. Ringrazia
moltissimo Marisa per questa splendida recensione, intensa e puntuale! Ne sono
davvero felice”.
E non poteva essere
diversamente. Per motivi di lunghezza, abbiamo dovuto, purtroppo, sintetizzarla
per poterla postare sulla pagina di SECOP edizioni, ma qui sul mio blog i
lettori sanno che devono armarsi di coraggio e di pazienza per arrivare fino in
fondo. Scrivo sempre tantissimo. È la mia passione e perdizione. Ma non
demordo. Snaturerei me stessa e la mia scrittura.
La recensione di
Marisa è motivo di nuove profonde riflessioni sul romanzo di Giovanni Gastel;
un romanzo scritto a diciassette anni, ma che rivela nelle sue pagine, così
complesse e ben articolate, tra realtà e fantasia, la maturità di un uomo che
ha già vissuto molteplici esperienze di vita in contesti culturali diversi, con
regole diverse e condizionamenti diversi, riuscendo a spezzare le catene della
giovanissima età con la sola forza del suo talento poliedrico, sostenuto dalle
innumerevoli letture dei classici (e non solo), che gli hanno dato sempre una
marcia in più per comprendere le ingarbugliate vie della mente e del cuore, sue
e degli altri, e per continuare, in una ricerca spasmodica di sé, a chiedersi
il senso della vita e della morte, con una irrefrenabile ansia di scoprire Dio,
dovuta alla sua eccezionale sensibilità, per farne perno della sua esistenza e
per non perdersi nei meandri bui della notte di questo nostro tempo.
Per non registrare,
come avviene per i tanti personaggi di Duetto
Profano, le amare sconfitte dei sogni e dei progetti di vita di più
generazioni a confronto e di due diverse condizioni sociali, così bene
evidenziate dalla intensa, puntuale, insolita analisi di una lettrice
straordinariamente acuta e attenta ai particolari come Marisa Carabellese, e dischiudersi, invece, alla visione
più ampia e più luminosa dell'Amore e della Speranza… grazie alla presenza di Dio nel mondo…
E tra le pagine di Giovanni e di Marisa mi sembra di scorgere la luce dei versi di un altro carissimo amico, che ho perso circa due anni fa, su Colui che è essenzialmente amore e ci viene incontro sempre. per non lasciarci mai soli.
AMORE
“È certamente uno di loro (lui?)
per discrezione camuffato: appoggia
alla fine la mano sulla nostra
spalla, la scuote un poco, la sospinge
verso l’amore che la pietà vince
e il tempo, da quell’attimo di luce
vivo per sempre”.
Torino,
1 luglio 2015
(Giorgio Bàrberi
Squarotti, Le voci e la vita, SECOP
edizioni, 2016)
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