All’alba di un giorno particolare, in cui lacrime di rimpianto e di nostalgia sono rimaste soffocate nel cuscino, l’aria cristallina ha dilatato il cielo in un riverbero di luce che ha allontanato i bui pensieri della notte e, così, ho sentito l’urgenza di scrivere di Lucio Dalla, nato proprio il 4 marzo del 1943, e di Vito Maurogiovanni, morto lo stesso
giorno di dieci anni
fa. Cosa unisce i due uomini oltre questa data tutta da ricordare? Il mio
pensiero a loro dedicato e altre cose ancora: l’amore per le cose semplici e
genuine, la particolare attenzione per gli umili, i diseredati, la gente comune
e timorata di Dio, la grande riservatezza e la naturale gentilezza. Il timido
approccio agli altri e l’affabulazione fantasiosa e appassionata, anche se
venata di particolare malinconia e di piacevole, sorridente ironia. La generosità.
Li ho conosciuti
entrambi e di entrambi conservo un ricordo bellissimo:
Lucio l’ho
incontrato tantissimi anni fa a Manfredonia, mio luogo del cuore, in alcune
serate meravigliose nella villa di una comune amica, Vittoria De Salvia, dove
il grande cantautore era di casa e dove tenne i primi indimenticabili Concerti
per un ristretto gruppo di amici. Scoprii, con mia grande meraviglia e
ammirazione, che Lucio Dalla aveva in gola una intera orchestra, che metteva in
ombra il complesso di musicisti che di solito lo accompagnava. Lucio era agli
esordi del suo luminoso volo come cantautore, aveva inciso il suo primo album
ed era felice di potercelo fare ascoltare dal vivo. Era una persona
estremamente generosa: donava a tutti noi le sue poetiche o scanzonate canzoni
con semplicità, umiltà, passione. Si rivelò timido ma piacevole conversatore:
autoironico, divertente, ricco di pregevoli digressioni che ci tenevano con il
fiato sospeso tra cielo e mare nel suo sogno senza fine. Pensai da subito che
sarebbe diventato un GRANDE. E i suoi tantissimi capolavori erano ancora solo vortici
di note che volavano nella profondità della sua anima innamorata.
Manfredonia e le
isole Tremiti erano la sua seconda patria.
La madre, Jole
Melotti, era stata, negli anni Quaranta-Cinquanta una sarta bolognese, io direi
una modista di talento, molto apprezzata nei paesi della Daunia, dove ogni anno
si recava per le sue sfilate di moda e per le vacanze. Si sussurrava allora che
Lucio fosse nato lì in una “casa sul porto” della città di re Manfredi, “a due
passi dal mare”, ma la canzone, con il titolo di “Gesù Bambino” l’avrebbe
scritta alcuni anni dopo, il 1971, e fu subito, se non ricordo male, censurata
da Sanremo, dove non ricordo più se partecipò o meno. Erano tempi duri, quelli,
nonostante la rivoluzione sessantottina, e ancora fortemente legati al
perbenismo di facciata. “Puttane” era una parola proibitissima.
Una cosa è certa,
però: Lucio imparò ad amare visceralmente il mare proprio nei luoghi che mi
hanno vista ragazza, anch’io innamorata del sogno e dell’amore…
Nelle Isole Tremiti credo
che già sua madre avesse una casa per le vacanze, ma Lucio comprò in seguito
una villa per le sue frequenti “planate” in Puglia…
Io al mondo
ho solo te, Lei (non è per me), Non è per me, Pafff… Bum!, L’ora di piangere,
Quando ero soldato, I Got You, Mondo di uomini, Io non ho pianto mai così, Io
non ci sarò, Tutto il male del mondo, Bisogna saper perdere, Questa sera come
sempre erano le canzoni del suo repertorio in quegli anni, ma
dagli anni Settanta in poi i suoi capolavori (marzo 1943, Piazza Grande, Caruso, Canzone…) hanno inondato il
mondo come acqua di mare tumultuosa e ridente, che sa i segreti degli uomini e
li custodisce nei suoi preziosi forzieri…
Io al mondo ho solo tesai che al mondo ho solo te
ora te ne vai, non ricordi più
tutto il bene che c'è stato fra noi
ora soffro perché
sai che al mondo ho solo te
sai che al mondo ho solo te
e ora te ne vai, ma la colpa è mia
non ho mai saputo darti il mio amore
il mio amore
torna da me…
t'aspetterò
no, io non posso saperti di un altro per sempre
per sempre
lo sai, perché
io al mondo ho solo te
sai
al mondo ho solo te
E ora te ne vai, ma la colpa è mia
E ora te ne vai, ma la colpa è mia
non ho mai saputo darti il mio amore
il mio amore
torna da me
t'aspetterò
no, io non posso saperti di un altro per sempre
per sempre
lo sai, perché
io al mondo ho solo te
sai, io al mondo ho solo te
ho solo te
sai che al mondo ho solo te
io al mondo ho solo te
al mondo ho solo te…
(Io al mondo ho solo
te)
Poi, nel pomeriggio ho visto nel cielo un immenso gabbiano
rosso mentre il sole si sfiniva all’orizzonte. Sono rimasta incantata e senza
parole. Dal mio terrazzo questi prodigi avvengono ogni giorno e ogni giorno mi
sorprendono. Ma le ali di sangue di quell’immenso gabbiano mi hanno riportato
ad una ferita di dieci anni fa: la morte del mio carissimo amico Vito
Maurogiovanni, l’indimenticabile Vito, con cui abbiamo condiviso la passione
per la Scrittura, la Poesia, il Teatro. Ci volevamo bene e ci apprezzavamo
vicendevolmente.
Fisicamente era una
persona completamente diversa da Lucio: alto, magro, con tanti capelli lisci, “sale
e pepe” per molti anni. Ma alcuni tratti della personalità li accomunavano: la
gentilezza, la delicatezza dei modi, il sorriso sempre aperto e sincero, la
creatività, l’amore per l’Arte. Il senso vero dell’Amicizia disinteressata.
Con Vito era una
gioia incontrarsi. Anche dopo lunghi periodi di silenzio, l’abbraccio
affettuoso sembrava quello del giorno prima. Amava gli aneddoti, il raccontarli
con dovizia di particolari, col gusto delle “cose antiche”. Amava la baresità e
il dialetto della sua gente, mettendo sotto i riflettori della memoria e della
nostalgia una ricchezza idiomatico-espressiva di straordinaria efficacia, che
restituiva, alle varie realtà/vicissitudini vissute, nella loro schietta semplicità,
dai tanti personaggi di Bari e non solo, di circa cento anni fa, una
autenticità popolare intensa e magica.
Non era estranea a
tutto questo la naturale vena poetica e lievemente ironica, che pervadeva di sé
tutte le opere teatrali di Vito Maurogiovanni, alcune delle quali hanno ancora
oggi la forza trainante della cultura popolare, di cui si fanno custodi e
testimonianza, permettendoci di focalizzare la nostra identità pugliese e
meridionale, in un continuo confronto divertito, tenero, commovente, nostalgico
(senza cedere mai all’inganno di rivangare il passato come “epoca dell’oro”)
tra “come siamo” e “come eravamo”. In primo piano sempre i valori della nostra
gente.
Parecchi anni fa
(venticinque?) scrissi un saggio, rimasto purtroppo nel cassetto, sul valore
“umile e amaro” del Teatro di Vito Maurogiovanni. Con l’unica soddisfazione di
avergli dato una copia che lo entusiasmò fino alle lacrime, di gioia e di
riconoscenza. Quelle sue lacrime furono per me la più grande ricompensa.
Poi, altro lavoro,
altri impegni, altri problemi mi distrassero dalla volontà di pubblicarlo...
Anche oggi altri
lavori, altri impegni, altri problemi mi hanno proibito di pubblicare in
giornata questi teneri ricordi del tempo che fu. Si è fatto molto tardi. E i
miei due angeli custodi, che mi aiutano a tenere in vita questo blog sono
andati a nanna. Forse, con il loro aiuto, riuscirò nella difficile impresa solo
domani. In fondo il tutto slitta di un giorno, ma i due cari amici sono sempre
loro e i ricordi pure…
Intanto, pubblico
qui il brevissimo stralcio conclusivo del mio lavoro di tanti anni fa, per
ricordarlo in questo decennale del suo lasciarci per volare dove risiedono solo
le stelle e gli spiriti puri.
A Vito Maurogiovanni, a questo autore straordinario,
devo un grazie di cuore perché mi ha insegnato ad aver fede nella forza e nella
potenza dei sentimenti (l’amore, il coraggio, la fratellanza, la solidarietà
tra gli uomini), della creatività (la fantasia, il gioco, l’avventura,
l’ironia), e della memoria (la tradizione, i valori antichi, la nostalgia, la
genuinità della gente semplice di un tempo, quando anche il tempo era più
vivibile perché meno complicato e difficile e amaro): valori che vanno sempre
più recuperati e salvaguardati nell’uomo, cominciando ad educarlo in tal senso
fin da bambino.
Quest’ultimo deve imparare a scoprire quotidianamente
il mondo, conservando negli anni non soltanto la freschezza del cuore e la
curiosità della mente, ma anche e soprattutto la fede negli uomini e nella loro
umanità, nel loro ardimento e nel loro pianto. Se la fede, infatti, è la chiave
fondamentale per accettare il mistero della vita, la fantasia e l’amore sono i
pilastri/chiave della nostra esistenza perché ci permettono, come afferma Erich
Fromm di “rinascere infinite volte”.
Vito
Maurogiovanni, col suo Teatro, e in particolar modo col suo Teatro per i
ragazzi, fa proprio questo: prende per mano i giovani e i giovanissimi, come un
tenero “compagno di viaggio appena un po’ più grande” (Rita D’Amelio)) e li
guida a “rinascere” continuamente, insegnando loro, indirettamente, a vivere la
vita non solo e non più come semplici spettatori
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