Convivere a scuola- Atmosfere pedagogiche di Valeria
Rossini
Saggio pedagogico-poetico
È un saggio
pedagogico a tutti gli effetti il libro di Valeria Rossini, ricercatrice in Pedagogia
generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione
dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, dove insegna anche Pedagogia
generale e Pedagogia della marginalità. Ma è un saggio anomalo, nonostante sia
inserito nella prestigiosa collana “il mestiere della Pedagogia” del noto
editore FrancoAngeli, e sia stato sottoposto a referaggio a “doppio cieco”.
Questo la dice lunga sulla validità scientifica di “Convivere a scuola”. E su
questo non avevamo dubbi. Ma già dal sottotitolo “Atmosfere pedagogiche” esso si
discosta dal rigore scientifico perché “atmosfere” connota un che di vago, di
non bene definito, che si smargina e che mal si adatta alla finitezza e
chiarezza di un saggio scientifico.
E allora?
Si tratta, a mio
parere (ed evidentemente non soltanto mio, ma dello stesso qualificato Comitato
di valutazione e, in primis, del
Presidente di Collana), di un valore aggiunto, in quanto un testo altamente
pedagogico si ammanta di atmosfere poetiche a tutti gli effetti. E dopo
analizzeremo il perché.
Intanto, occorre
precisare che Valeria Rossini, oltre ad essere una docente amatissima dagli
studenti che seguono i suoi Corsi e Relatrice in vari Convegni pedagogici
nazionali e internazionali, è anche una Donna innamorata della poesia, che sin
da giovanissima ha coltivato, pubblicando alcuni suoi testi poetici in varie riviste
letterarie e culturali di ampio respiro. Oggi ha messo un po’ a latere questa sua vocazione per
mancanza di tempo, ma in ogni suo scritto, in ogni suo saggio la poesia è
presente e rende più catturanti ed emozionanti le sue teorie pedagogiche, che
sempre più si vanno affermando e consolidando. Ne fanno fede i numerosi saggi e
articoli pubblicati in Italia e all’estero e, tra quelli più recenti, la
monografia Educazione e potere.
Significati, rapporti, riscontri (Milano, 2015), insignita del Premio Siped 2016.
C’è da aggiungere
che Valeria Rossini è giovanissima, bellissima, elegantissima, sportivissima e
chi più ne ha più ne metta. È una creatura baciata dal buon Dio. È moglie e
madre felice di due splendidi ragazzi (una fanciulla in fiore e il suo
fratellino che promette molto bene), ma non sempre la sorte le è stata benigna.
Anche lei, come tutti gli esseri umani, ha avuto sofferenze e ostacoli sul suo
cammino, ma ha saputo sempre affrontarli e superarli, con coraggio e volitività,
grazie anche al suo amore per la Poesia e per la Scrittura in genere.
L’ho conosciuta
appena undicenne, come mia alunna in prima media ed è stata “corrispondenza di
amorosi sensi” a prima vista. Un sentimento che ci lega a doppia mandata,
nonostante gli anni, i lunghi silenzi, gli impegni professionali (e non solo)
di entrambe.
È stata un’alunna
dotata di una sensibilità speciale e di tanta voglia di conoscere, d’imparare.
Oggi sono fiera di
lei. Orgogliosa oltre ogni dire e la seguo, come posso, attraverso i suoi saggi e i suoi successi, con cuore di
madre sempre, come mi è capitato diverse volte con alunni particolari che, in
momenti difficili della loro vita, vissuti in tenera età, si sono fidati di me
e affidati a me, soprattutto per la poesia e con poesia.
Anche per tutto
questo esiste tra noi quel fil rouge (in
termini goethiani) che ci unisce ancora e che, ne sono certa, non si spezzerà
mai.
E torniamo al saggio, che Valeria mi ha dedicato con i
seguenti versi: Ad Angela/ per con-vivere
nel cuore/ respirando poesia/ costruendo magia/ tra ricordi e parole/
Valeria.
Dicevo delle “atmosfere”. Ebbene, queste si
definiscono, nell loro significato poetico, attraverso il titolo di ogni
capitolo:
Il primo: Atmosfere
stellari: itinerari di ricerca
Il secondo: Atmosfere
planetarie: progettualità educative
Il terzo: Atmosfere
terrestri: suggestioni tematiche
Ed è già una sorta
di climax, nel nostro caso, discendente, che nulla toglie alla intensità poetica
delle tre definizioni, le quali sintetizzano magnificamente, ma anche
cripticamente, visto che si tratta di tre metafore, i contenuti dei tre
capitoli e dell’intero volume.
Sappiamo, comunque,
che si parte dalla ricerca (la procedura più alta e complessa per conoscere
epistemologicamente una disciplina o un campo disciplinare, affiancandola
spesso alla esperienza pratica per saggiare la validità dei fondamenti della ricerca stessa) per
giungere alla progettualità (della pratica metodologico-didattica da mettere in
atto) e concludere con le problematiche da affrontare nella scuola contemporanea,
legate all’attuale società, sempre in funzione di quanto sia possibile
prevedere e fare in relazione agli scenari socio-pedagogici del prossimo
futuro.
Ma già nell’Introduzione,
che fa seguito alla dotta Presentazione del Professor Giuseppe Elia, Direttore
del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione, e di
cui Valeria è stata la beneamata “allieva” nel suo percorso come ricercatrice
specializzanda, l’Autrice ci fa dono di un esergo bellissimo, altamente
poetico e filosofico, di William Golding:
La prima
cosa a cui ci abituarono fu il ritmo del lento passaggio dall’alba al rapido
crepuscolo.
Accettavano i piaceri del mattino, il bel sole, il
palpito del mare, l’aria dolce, come il tempo adatto per giocare, un tempo in
cui la vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza.
Stupenda citazione
che ha, a mio parere, la duplice valenza di connotare sia la lunga alba della
vita di ciascun essere umano, che vive da bambino una tale pienezza di giorni,
di scoperte, di giochi, di conquiste da fare proprio il mondo tanto da
incarnare la stessa speranza, di cui i piccoli non avvertono il richiamo,
necessario per continuare a vivere. E questa è l’accezione più bella e lieta e
confortevole. Ma, poi, ne esiste un’altra, più amara e dolente, che fa da
contraltare e che indirettamente si riferisce alla società attuale, così
diversa dalle società antiche che diedero il senso dei valori eterni: a partire
dalla contemplazione della natura e del suo incanto, e dal rispetto per i ritmi
naturali dei giorni e delle stagioni, in una ricchezza di vitalità che era di
per sé compiutezza e appagamento che escludeva il bisogno della speranza.
Neppure oggi esiste
più la speranza, ma per motivi completamente opposti. Soprattutto in relazione
a “una fase storico-culturale nella quale è saltato il meccanismo che regola il
rapporto tra diritti e doveri, tra
possibilità di desiderare e il riconoscimento dei limiti che la realtà e
le relazioni ci chiedono (…) nel tempo della frammentazione etica, della
riduzione di scelte valoriali e di incoerenza dell’agire…” (Giuseppe Elia,
“Presentazione”).
Non solo, dunque, la
scienza pedagogica, con le sue “scelte alternative”, ci viene incontro per
riprendere a sperare, essendo venuta meno la incarnazione della speranza in
ciascuna vita umana, ma anche la poesia può rappresentare una valida
alternativa alla desertificazione del cuore e alla “liquidità dei sentimenti e
dei rapporti umani” (vedi Bauman).
Non a caso, il mio
grande amico, professor Vito di Chio, ma anche attento studioso di pedagogia,
profondo e sensibile critico letterario, amante della poesia e della scrittura,
nonché scrittore egli stesso, nel suo pregevole volume BISOGNO DI MAESTRI - Una proposta formativa (Armando Editore, Roma
2010), afferma sin dalle prime pagine che “Chi educa, deve educare nella
speranza…”, rifacendosi all’Evangelista Luca, e soprattutto allo scrittore V.
Chiari, che in un suo libro fa “una lunga riflessione sulla speranza, ma anche
un’analisi acuta e appassionata della realtà educativa di oggi” (Vito di Chio).
Quanta speranza e
quanta poesia incontriamo nel libro BISOGNO
DI MAESTRI!
E cosa ci può essere
di più poetico del paragonare gli itinerari della ricerca a dei luminosi
percorsi stellari, che ricamano il cielo e ci invitano a prendere il volo per
puntare sempre più in alto? Un volo, che appaghi la nostra sete di conoscenza
per conquistare orizzonti sempre più ampi tra le stelle e oltre, sfidando
pianeti e satelliti e buchi neri, per ritrovarci ad ascoltare il suono
armonioso dei multiversi che si rigenerano senza fine… E l’armonia è bellezza.
È quel riconoscimento della nostra umanità più vera, a cui aneliamo per
riprendere il cammino non al buio, ma illuminati dalla luce dei grandi Maestri
e delle grandi Verità. Che non si riducono mai, queste ultime, ad una verità ma
offrono una vasta possibilità di scelte per realizzare i nostri sogni e
desideri (de-sidera: intorno alle stelle, appunto!), i progetti e i percorsi di
vita al meglio di quello che siamo e che possiamo essere e dare a noi stessi e
agli altri.
Per questo è
necessario imparare nuovamente a “con-vivere”: nella famiglia, nella scuola,
nella comunità di appartenenza e nella più ampia società umana.
Ma, il punto di
partenza, per quel che riguarda essenzialmente docenti e studenti, è la scuola:
nucleo fondante di ogni altro discorso afferente ad essa.
E una nuova
possibilità di imparare a “stare bene insieme a scuola” (vedi D. Francescato,
A. Putton, S. Cudini) può realizzarsi forse solo attraverso “itinerari di
ricerca che fungono quasi da ‘filtro’ per la convivenza scolastica: così come
l’atmosfera permette alla luce e al calore del Sole di raggiungere il pianeta,
ma impedisce che le radiazioni solari nocive arrivino in grandi quantità, allo
stesso modo la relazione tra insegnante e allievo, il ruolo del docente che si
estrinseca nel suo potere pedagogico e nel proprio stile educativo, e le
dinamiche comunicative tra adulti e minori e tra compagni, costituiscono una
rete di supporto e protezione per il percorso educativo del singolo alunno e
del gruppo classe.” (Valeria Rossini, “Introduzione”).
È chiaro che tutto
questo è sotteso alla ricerca che offre appunto quella “rete di protezione”
teorica da tradurre in pratica nella quotidiana prassi
dell’insegnamento-apprendimento per superare le “atmosfere” negative che
potrebbero venire a configurarsi, come di fatto avviene, nelle varie realtà (scolastiche
e non) dei nostri giorni.
Non a caso, Valeria
spiega il significato etimologico di “atmosfera”: dal greco “atmos”, ossia
“vapore”, e “sphàira”: “sfera”, ossia “Terra”.
E, così, essendo l’atmosfera quell’“involucro gassoso di varia
composizione e natura che circonda la Terra e altri pianeti, o estensivamente
l’aria che si respira in un luogo, diventa evidente l’importanza che essa
assume nella vita della scuola” (ivi).
Ma, tutto lascia
presupporre che prima si salga, con la ricerca, a scoprire la luce delle stelle
per, poi, ridiscendere perché quella luce illumini i percorsi scolastici dei
singoli allievi e dei gruppi nel pianeta-scuola.
Nel secondo caso, infatti,
le “atmosfere” diventano “planetarie” perché riguardano “le progettualità
educative, cioè i vari progetti che, senza sollevarsi più di tanto ma
ritornando sul nostro pianeta, le scuole mettono oggi “in fieri” e poi in atto
(con le programmazioni specifiche) per la realizzazione di percorsi formativi
sempre più individualizzati e personalizzati in riferimento alle reali esigenze
cognitive di ciascun alunno, ma anche agli individuali ritmi e stili di
apprendimento, tenendo conto delle risorse professionali, strumentali e
ambientali che ogni singola scuola possa offrire, in base anche al principio dell’Autonomia.
Valeria Rossini
identifica questa seconda parte con le atmosfere inquinanti che si respirano
nella scuola contemporanea, in cui sempre più spesso si avvertono conflitti di
convivenza tra educatori e alunni o tra questi ultimi e i loro compagni, ma anche
tra le famiglie e gli insegnanti. E la cronaca dei nostri giorni è piena di
esempi devastanti e demoralizzanti in tal senso.
“L’atmosfera che
circola in aula è ciò che distingue una classe dall’altra, ed è anche la
principale fonte della vita di gruppo. Del resto, la presenza di ossigeno
libero è prerogativa unica dell’atmosfera della Terra, dato che in tutte le
altre atmosfere di pianeti del sistema solare studiate finora non se ne è
trovata traccia. Essa è conseguenza dell’attività biologica delle piante,
grazie a cui si presenta come sottoprodotto della fotosintesi.” (ivi).
In pratica,
l’ossigeno della libertà, se ben guidata, può rendere l’aria di una classe
respirabile, altrimenti diventa davvero impossibile la convivenza.
Alcuni decenni fa,
dopo l’emanazione dei Decreti Delegati (1974) e dopo la Legge 517 del 1977,
Luciano Corradini scrisse un libro illuminante sulla “difficile convivenza”
scolastica, che si stava prefigurando e poi sempre più attuando tra genitori e
insegnanti, fra gli stessi docenti tra di loro e dei docenti con gli alunni e,
infine, tra questi ultimi e il gruppo dei pari. Troppe innovazioni piovute
dall’altro (e non capite dal basso) fecero sì che le atmosfere scolastiche
diventassero sempre più “terrestri” e complicate con ampie problematiche (anche
di “mortalità scolastica) che si sono ingigantite in questi ultimi decenni per
via dello sviluppo senza pari della scienza e della tecnica, dei mezzi di informazione
e comunicazione, dell’elettronica, della cibernetica e di una società sempre
più complessa e alla deriva. Ormai siamo tutti naufraghi su questo pianeta
(cfr. Serge Latouche, La società dei
naufraghi).
Le atmosfere,
pertanto si fanno specificamente più a livello di suolo e di sottosuolo, non si
può più volare o progettare, ma bisogna fare i conti con le difficili realtà
dei nostri giorni, che rendono ingovernabili la scuola, i rapporti educativi,
le relazioni sociali, le interazioni umane. Si tratta di esperienze, a volte
persino destabilizzanti, che bisogna tentare di arginare non tanto con le “strategie”
immediate, di cui si è tanto parlato negli ultimi decenni del secolo scorso, ma
di ponderare e riflettere sugli interventi educativi per renderli veramente
efficaci, e non soltanto per rendere più efficiente la scuola (Cfr. a tale
riguardo tutta l’ampia produzione pedagogica deweyana, che fece capo al
Pragmatismo americano dell’intero XX secolo).
Ed ecco il fenomeno
delle immigrazioni con i conseguenti problemi dell’accoglienza, inclusione,
integrazione. La corresponsabilità fra scuola e famiglia a partire dal “nido” e
dalla Scuola dell’Infanzia per percorrere tutti i gradi della scuola
dell’obbligo. L’importanza della educazione alla cittadinanza in una società
sempre più multirazziale e interculturale. I problemi ormai macroscopici del
bullismo in classe, ma anche attraverso i social, dominanti e dilaganti a
livello di dipendenza e di necessità, quasi fossero una droga, nella società di
internet, del Web e dei tablet. Fino alla “cura del disagio e alla ricerca del
benessere”, di non facile realizzazione. E le atmosfere, quelle che si
costruiscono quotidianamente nella famiglia, nella scuola, in ciascuna comunità
sociale e umana, non sono più soltanto una metafora poetica che si smargina e
si dilata e prende spazio e volo, ma sono soprattutto il prodotto della nostra
parte più intima e profonda, della nostra personalità, dell’amore per il nostro
lavoro, per la vita, per gli altri; sono il prolungamento di noi, del nostro modo
di relazionarci con i tanti interlocutori, che incontriamo sulla nostra strada,
siano essi adulti o bambini, giovani o anziani, allievi o colleghi, genitori
degli altri e nostri. Esse ri costruiscono, giorno dopo giorno, attraverso la
capacità empatica o meno di rapportarci agli altri o di interagire con ogni
singola persona. E diventano importanti, anzi fondamentali in ogni ambiente
educativo e in ogni processo formativo. Per tentare di migliorare la percezione
che abbiamo di noi e del nostro ruolo e quella dei nostri allievi nelle varie
fasi della loro crescita e maturazione in un mondo che cambia con ritmi vertiginosi.
Si conclude così il
saggio con altri apporti professionali e con una ricerca empirica in due scuole
pugliesi. Ma si conclude per davvero?
In realtà, si perde
un po’ l’incanto poetico che ha sorretto tutta la struttura del libro, ma era
inevitabile, dati gli argomenti che si sono dovuti affrontare nell’ultimo
capitolo. E la stessa indagine laboratoriale non ha consentito spazi ai voli
pindarici della fantasia e della creatività, se non nello stretto contatto empatico
(si spera) degli insegnanti con i propri alunni.
Sta di fatto che la
conclusione tenta di riprendere ancora il volo, se non propriamente poetico
quantomeno letterario citando soprattutto George Orwell, e, in seconda battuta,
Pirandello, che sintetizza lo scopo e il fine del saggio di Valeria Rossini nella
sua affermazione: Io sono vivo e non
concludo. La vita non conclude”, perché è solo alla morte che spetta questo
compito.
Già, un libro di
ricerca pedagogia non può avere una conclusione perché percorre un cammino
quanto mai vitale e aperto a nuove indagini, nuovi orizzonti di saperi e
conoscenze, legati alla psiche umana e alla formazione di nuove coscienze in
situazioni socio-culturali nuove affinché il “bene” coincida con il “buono” in
una “missione” che necessariamente è destinata a “rimanere inconclusa”.
Ma qui ipotizziamo
un nuovo viaggio verso le stelle per riafferrare le vie del cielo e sperare in
un mondo migliore, grazie anche ai nostri frammenti di luce, che abbiamo
continuamente cura di conservare nelle tasche del nostro cuore e della nostra
anima perché non ci sfuggano mai di mano.
È quanto riesce a
fare quotidianamente Valeria Rossini con i suoi imperdibili saggi pedagogici.
E mi piace tentare
una quasi conclusione che conclusione non sarà, riportando qui una poesia che
Valeria mi dedicò quando aveva appena 15 anni e che io feci pubblicare sulla
rivista letteraria <La Vallisa>, in cui per molti anni ho militato:
VERRO’ DA TE
(Ad Angela De Leo)
Erano tempi
senza paura
quelli tra le
tue braccia,
solo per
avere un sorriso.
Ora che il
sole non brilla
ho bisogno di
calore
senza certezza alcuna.
Sei un ramo
che il vento non inclina
(anche se non sembra)
e io voglio
arrampicarmi
per trovare
un ultimo nido
forse rubare
un fiore
o gocce di
dolcezza
a colmare l’abisso.
Mi vedrai
venire
con gli occhi
stanchi
e la rabbia
nel cuore
per costruire
con te
sogni e
delusioni
della mia
infanzia.
Piccola
ritorno
a bussare
alla tua porta
con un fascio
di poesia
tra le dita
e spero
intensamente
di trovare
aperto
almeno uno
spiraglio
Valeria Rossini
(15 anni)
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