domenica 10 febbraio 2019

10 febbraio: Giorno del Ricordo


In tempi bui come questi, una luce di ritrovata umanità mi conforta: il rendere silenzioso e doveroso omaggio alle vittime delle foibe, dopo anni di strumentalizzazioni, da una parte, e di sprezzante silenzio, dall’altra, dimenticando completamente, ottusi da contrastanti ideologie, che si trattava di esseri umani e di una immane tragedia, altrettanto devastante e inumana quanto la Shoah, lo sterminio nazi/fascista di oltre sei milioni di Ebrei, giustamente celebrato il 27 gennaio, giorno della Memoria. Personalmente, penso che la Memoria debba soccorrerci nell’uno e nell’altro caso, per non dimenticare e per non rischiare ancora e ancora la sconfitta della nostra dignità di esseri umani e della nostra “carità”, intesa, latinamente (e, ancor più, in senso cristiano) come propensione dell’animo umano ad accogliere l’altro con amore. Perché ci è “caro”. Senza distinzione alcuna.
Aberrante, invece, è stata la distinzione che si è fatta, a lungo, adducendo motivazioni inoppugnabili per trovare giusto commemorare le vittime dell’Olocausto e motivazioni discutibili per non ricordare le foibe e gli eccidi perpetrati ai danni delle popolazioni italiane nelle terre istriane e dalmate da parte dei partigiani jugoslavi. Non sto qui a ripeterne la Storia, nell’uno e nell’altro caso. Ciascuno di noi, oggi, è in grado di conoscerla. Piuttosto mi preme sottolineare l’angustia del pensiero ideologico, che esclude tutto ciò che “non fa parte”, come se l’uomo potesse essere diviso in bianco e nero: bianco, innocente, attendibile è colui che a quella ideologia “appartiene” e nero, colpevole, bugiardo ed esecrabile colui che dissente. Nemico dichiarato. Che può essere pure massacrato, interrato vivo, bruciato. “Occupato” nella sua casa oppure “respinto” oltre i confini della propria terra, come è accaduto ai tanti profughi istriani, fiumani e dalmati.
Una nostra autrice, Tea Dalmas, ne parla con dovizia di particolari nel suo romanzo Puse (SECOP edizioni 2017), riportando la tragedia dell’esodo della sua famiglia, attraverso le straordinarie pagine del Diario di sua nonna, famosa giornalista di tutta l’area balcanica. Anche il romanzo illustrato per bambini di Lorella Rotondi (scrittrice) e Daria Palotti (illustratrice), Perché la notte (sempre della SECOP edizioni 2018) ci mostra con parole semplici e catturanti la paura dei bambini in quei giorni di orrore, ma un saggio tutto da leggere per capire meglio e meglio ricordare è anche Italiani due volte di Dino Messina (Solferino), oggi riportato sul <Corriere.it>. Certo, potrei citare anche altri libri di giornalisti e scrittori italiani, accusati in questi ultimi anni di vergognoso Revisionismo storico-politico. A me non piace il revisionismo politico per la sua strumentalizzazione dei fatti storici e degli accadimenti socio-culturali ad essi sottesi. Amo, invece, la capacità del pensiero libero di indagare sui fatti storici in maniera quanto più obiettiva possibile per trarne le giuste conclusioni, anche a costo di rivedere le proprie percezioni della realtà. Ammettere di essere fallibili e di andare sempre alla ricerca delle verità più attendibili e possibili è atto squisitamente umano. Ammettere con umiltà anche i propri errori di interpretazione e valutazione in qualsiasi campo della vita è atto squisitamente umano che richiede grande intelligenza e grande cuore. La “sapientia cordis”, infatti, aggiunge una particolare sensibilità alla comprensione delle vicende umane. Ed io mi appello proprio alla sapientia cordis per non commettere errori di presunzione. Per non puntare mai il dito e sentirmi al di sopra delle parti. Soprattutto quando si tratta di tragedie causate da uomini (col delirio di onnipotenza e dimentichi della propria caducità e fragilità) contro altri uomini (inermi e innocenti vittime dell’odio e della violenza, insita in chi è incapace di vero amore, di fratellanza e di conseguente solidarietà). È questa carità che deve spingerci a guardare oltre fazioni e reticenze, sospetti e ambiguità, per ridarci il senso del nostro essere “insieme” in bilico sulle nostre quotidiane fragilità e sentirci tanto uniti nella comune sorte da sentire dentro il desiderio/bisogno di diventare “custodi” della nostra memoria storica attraverso il nostro “prenderci cura di noi”, in una sorta di amorevole “fratellanza universale”, come Simone Cristicchi (cantautore raffinato e tenero poeta) si augura e ci esorta dolcemente con la sua canzone, per imparare finalmente a vivere “insieme” sotto l’unico cielo che tutti ci comprende. Senza più divisioni, odi, rancori. Accettando le nostre fragilità che diventano puntelli di umanità condivisa. Per Amore. Con AMORE.

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