In tempi bui come
questi, una luce di ritrovata umanità mi conforta: il rendere silenzioso e
doveroso omaggio alle vittime delle foibe, dopo anni di strumentalizzazioni, da
una parte, e di sprezzante silenzio, dall’altra, dimenticando completamente,
ottusi da contrastanti ideologie, che si trattava di esseri umani e di una
immane tragedia, altrettanto devastante e inumana quanto la Shoah, lo sterminio
nazi/fascista di oltre sei milioni di Ebrei, giustamente celebrato il 27
gennaio, giorno della Memoria. Personalmente, penso che la Memoria debba
soccorrerci nell’uno e nell’altro caso, per non dimenticare e per non rischiare
ancora e ancora la sconfitta della nostra dignità di esseri umani e della
nostra “carità”, intesa, latinamente (e, ancor più, in senso cristiano) come
propensione dell’animo umano ad accogliere l’altro con amore. Perché ci è “caro”.
Senza distinzione alcuna.
Aberrante, invece, è
stata la distinzione che si è fatta, a lungo, adducendo motivazioni inoppugnabili
per trovare giusto commemorare le vittime dell’Olocausto e motivazioni
discutibili per non ricordare le foibe e gli eccidi perpetrati ai danni delle
popolazioni italiane nelle terre istriane e dalmate da parte dei partigiani
jugoslavi. Non sto qui a ripeterne la Storia, nell’uno e nell’altro caso. Ciascuno
di noi, oggi, è in grado di conoscerla. Piuttosto mi preme sottolineare l’angustia
del pensiero ideologico, che esclude tutto ciò che “non fa parte”, come se l’uomo
potesse essere diviso in bianco e nero: bianco, innocente, attendibile è colui
che a quella ideologia “appartiene” e nero, colpevole, bugiardo ed esecrabile
colui che dissente. Nemico dichiarato. Che può essere pure massacrato,
interrato vivo, bruciato. “Occupato” nella sua casa oppure “respinto” oltre i
confini della propria terra, come è accaduto ai tanti profughi istriani, fiumani
e dalmati.
Una nostra autrice,
Tea Dalmas, ne parla con dovizia di particolari nel suo romanzo Puse (SECOP edizioni 2017), riportando la tragedia dell’esodo della
sua famiglia, attraverso le straordinarie pagine del Diario di sua nonna,
famosa giornalista di tutta l’area balcanica.
Anche il romanzo illustrato per bambini di Lorella Rotondi (scrittrice) e Daria
Palotti (illustratrice), Perché la notte (sempre
della SECOP edizioni 2018) ci mostra con parole semplici e catturanti la paura
dei bambini in quei giorni di orrore, ma un saggio tutto da leggere per capire
meglio e meglio ricordare è anche Italiani
due volte di Dino Messina (Solferino), oggi riportato sul <Corriere.it>.
Certo, potrei citare anche altri libri di giornalisti e scrittori italiani,
accusati in questi ultimi anni di vergognoso Revisionismo storico-politico. A me
non piace il revisionismo politico per la sua strumentalizzazione dei fatti
storici e degli accadimenti socio-culturali ad essi sottesi. Amo, invece, la
capacità del pensiero libero di indagare sui fatti storici in maniera quanto
più obiettiva possibile per trarne le giuste conclusioni, anche a costo di
rivedere le proprie percezioni della realtà. Ammettere di essere fallibili e di
andare sempre alla ricerca delle verità più attendibili e possibili è atto
squisitamente umano. Ammettere con umiltà anche i propri errori di
interpretazione e valutazione in qualsiasi campo della vita è atto squisitamente
umano che richiede grande intelligenza e grande cuore. La “sapientia cordis”,
infatti, aggiunge una particolare sensibilità alla comprensione delle vicende umane.
Ed io mi appello proprio alla sapientia cordis per non commettere errori di
presunzione. Per non puntare mai il dito e sentirmi al di sopra delle parti. Soprattutto
quando si tratta di tragedie causate da uomini (col delirio di onnipotenza e
dimentichi della propria caducità e fragilità) contro altri uomini (inermi e
innocenti vittime dell’odio e della violenza, insita in chi è incapace di vero
amore, di fratellanza e di conseguente solidarietà). È questa carità che deve
spingerci a guardare oltre fazioni e reticenze, sospetti e ambiguità, per
ridarci il senso del nostro essere “insieme” in bilico sulle nostre quotidiane
fragilità e sentirci tanto uniti nella comune sorte da sentire dentro il desiderio/bisogno
di diventare “custodi” della nostra memoria storica attraverso il nostro “prenderci
cura di noi”, in una sorta di amorevole “fratellanza universale”, come Simone
Cristicchi (cantautore raffinato e tenero poeta) si augura e ci esorta
dolcemente con la sua canzone, per imparare finalmente a vivere “insieme” sotto
l’unico cielo che tutti ci comprende. Senza più divisioni, odi, rancori. Accettando
le nostre fragilità che diventano puntelli di umanità condivisa. Per Amore. Con
AMORE.
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