mercoledì 26 settembre 2018

"Le piogge e i ciliegi" parlano tra le pareti della prestigiosa Università Popolare Santa Sofia di Trani


                                                      I Capitolo
         
                                                   quasi un inizio      


Non dormo, ho gli occhi aperti per te.
Guardo fuori e guardo intorno.
Com’è gonfia la strada
di polvere e vento nel viale del ritorno…
Quando arrivi, quando verrai per me
guarda l’angolo del cielo
dov’è scritto il tuo nome,
è scritto nel ferro
nel cerchio di un anello…
(Vinicio Capossela, Ovunque proteggi)



Non dormo. Soffro d’insonnia da sempre. Ricordo che da bambina contavo i battiti del cuore nel buio che mi faceva paura e non sapevo andare oltre le dita delle mie manine e allora ricominciavo perché i battiti erano tanti e le mie mani erano solo due e non riuscivo ad andare oltre il dieci. Tu mi avevi insegnato a contare sulla punta delle dita, dapprima per indicare i miei anni: uno due tre… poi, per sapere il numero dei giocattoli: uno, la bambola; due, il cavalluccio; tre, il ferro da stiro; quattro, la cucina; cinque, il pianoforte…
Prendevi le mie manine e aprivi ad ogni numero un ditino perché fosse più semplice contare, perché fosse più chiaro il numero raggiunto. Non mi potevo sbagliare. Il pugnetto chiuso era il numero zero. Poi, ecco tirare fuori il pollice e poi l’indice e poi il medio, l’anulare e il mignolo
(cùssə ad arà cùssə a spruà cùssə ad accattà rə ppànə cùssə ad accattà rə mmìrə e cùssə? Friulì friulà friulì friulà…)
(questo ad arare questo a potare questo a comprare il pane questo a comprare il vino e questo? Friulì friulà friulì friulà)
e mi sfregavi il mignolino tra le tue dita e io imparavo e ti sorridevo appagata e mai stanca di ripetere il gioco per apprendere di più e meglio…
Non dormivo e gli occhi in quel buio centuplicavano i fantasmi che si assiepavano sul mio letto e occupavano ogni angolo della mia cameretta, togliendomi il respiro. Per addormentarmi contavo, ma gli occhi non si chiudevano. Avevo bisogno della tua voce perché sapevo che sapeva fare la magia di accendere tutte le luci della mia anima e un canto di gioia mi saliva alle labbra prima di sognarti o di prendere forza e coraggio da te.
                     Sempre presente nelle ore delle ansie e dei tumulti 
Non così quando pioveva. Allora era il suono cadenzato della pioggia a cullare i miei occhi. E la tua voce era un’eco che danzava tra le gocce del cielo, che veniva giù, e i miei pensieri colmi di te. Sempre così la pioggia. Anche oggi che non sono più bambina.
Non dormo ma la pioggia mi calma. Mi porta da lassù fili d’acqua cui aggrapparmi per non naufragare e per tentare ogni volta la risalita. Mi porta la tua voce. Che mi offre un ombrello sempre più rabberciato, ma sicuro di rifugio e protezione.
                                  La pioggia m’intenerisce e mi rallegra

La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.

È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
(…)
È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l'illusione inquieta di un domani impossibile
(…)
E son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il bianco infinito che le generò…
(Federico G. Lorca, stralci della poesia “Pioggia”)

Piove. Il cielo viene giù e, come da bambina, sporgo le mani oltre i vetri, che mi portano l’autunno in casa, per afferrarlo nelle gocce trasparenti e leggere che raccontano forse storie di lacrime o solo pioggia che cade, sussurro di parole lontane. Ripropongono un tentativo di rossoazzurro perpendicolare che è più un desiderio che un colore. Cadono gocce di cielonuvole sulle mie labbra assetate e sul viso proteso al fresco incanto. Cadono sul giallo bruciato del giardino che è un colore vero d'alberi di foglie di siepi. Fanno salire dal basso profumo di terra... ricordo lontano... il cortile... un inno di gelsi rossi e di rose che mi esalta e mi rincuora.
La pioggia, a volte, può essere Musica d’arpe con mani d’angeli, Ritmo di marce di bimbi nel gioco del loro andare alla conquista del mondo, Voce antica in un richiamo d’altro tempo oltre il tempo
(cielo a pecorelle pioggia a catinelle… rosso di sera bel tempo si spera rosso di mattina la pioggia s’avvicina… ed erano modi di dire
rosso di sara beltempo si spara… e diventava un dramma
quando piove e tira vento fra’ martin resta in convento… ed era racconto
marzo pazzerello se c’è il sole prendi l’ombrello… già proverbio con avvertimento… non saltare sotto la pioggia ché ti bagni tutta… ansia e preoccupazione e ammonimento…
pio-ve pio-ve acqua di limo-ne… quasi un gioco quasi cantilena quasi voci di strada che entravano in casa e allagavano stanze e contagiavano allegria…
e piove piove sul nostro amor… fu canzone e palpito del cuore e fu addio…)
Mi piace la pioggia. Mi fa sentire meno sola. Accompagna la mia nostalgia. S’intrufola nella malinconia degli occhi e nei terrapieni del cuore a fatica costruiti. Poi tace e le stillanti foglie brillano di diamanti e rubini che il cielo sparge a piene mani. Splendore di luce rossodorata, ora che l’autunno si frantuma nel canto di questo tramonto… e il passato ritorna a legarmi ai giorni andati che mai più saranno e che pure sono...
Sempre così la pioggia... sempre così i tramonti pennellati d’autunno in una follia di venti e di foglie ad avvolgere l’anima...
                               Nella pioggia io ero... sono... rinasco...





  

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