lunedì 10 settembre 2018

Ancora sulla creatività


“Fiero del Libro”, quest’anno, ha focalizzato la sua attenzione sulle parole da ricercare per giungere a formulare delle opinioni, magari servendoci della lettura delle opere dei nostri autori per trovare spunti di riflessione, motivi di confronto, nuovi orizzonti per poter andare più lontano. Dunque, le parole. Quelle proposte sono state bellissime: Dio, futuro, creatività.
Arduo è stato parlare di Dio, tra credere e non credere, asserire e negare, affidarsi alla fede o confutarla con la ragione. Toccanti e autenticamente cristiane sono state le parole di don Tonino Bello, tratte dai suoi scritti.
Azzardato e quasi provocatorio è stato parlare del Futuro in una società che sembra escluderlo. E lo ha fatto egregiamente il giovane poeta serbo Mirko Dimic, che ha tanto futuro da sognare e progettare davanti a sé, esortando i giovani ad usare bene le parole che possono essere spada o ramoscello d’ulivo.
Più facile forse perché a noi più congeniale è stato parlare di creatività. Ci ha illuminati con la sapienza delle sue parole il creativo per eccellenza Giovanni Gastel, che ha parlato di “stato di necessità” per i creativi dedicarsi all’Arte in tutte le sue innumerevoli forme e soprattutto in quelle per cui si sente di possedere un talento che ci rende dissimili dagli altri. Purtroppo, però, questo stato di unicità determina la nostra solitudine. È, per quanto si possa essere sociali e socievoli, si rischia sempre di sentirsi profondamente soli. È lo scotto che bisogna pagare per l’appagamento che si prova di fronte alla propria opera creativa compiuta.
Personalmente, ho fatto un elenco delle parole che mi riportano alla creatività, non potendo ancora far tesoro di quelle del grande fotografo, poeta, scrittore milanese, che il mondo ci invidia.
Per molti filosofi, psicologi, sociologi, scienziati e tanti altri studiosi di discipline trasversali, la creatività è innanzitutto una qualità del pensiero, la più alta forma del pensare. Essa è “forza che porta il non essere all’essere” (sono in tanti gli studiosi che lo hanno affermato dall’antica Grecia ai nostri giorni. Definizione che ha percorso, dunque, millenni di storia).
La creatività, pertanto, compie la straordinaria azione del “creare” o, meglio, “ri-creare” perché il primo modello che gli uomini possono rielaborare in forme nuove e sempre diverse è la “Creazione divina”.
La creatività è, quindi, energia e azione. Verbo. Ma, prima di cercare i verbi che possano connotarla mi piace riportare il pensiero di Albert Einstein al riguardo: “La mente intuitiva è un dono sacro, mentre la mente razionale è un suo servo fedele. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono sacro”.
Il primo verbo da annotare è, dunque, intuire? Ritengo di sì, ma occorre partire, a mio parere, dai cinque sensi che ci permettono di conoscere il mondo così com’è (il primo modello della Creazione), per poter giungere alla intuizione che sottintende una sorta di sesto senso che va ben oltre la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’odorato. La nostra prima conoscenza avviene attraverso il corpo. Subito è la mente che se ne impossessa e, poi, il cuore per giungere all’anima. e qui è già “ri-creazione”, cioè gioco, immaginazione, fantasia.
E, allora, i verbi che ci conducono alla creatività potrebbero essere: guardare, vedere, sentire, ascoltare, percepire, intuire, dubitare, immaginare, fantasticare, divergere, deviare, predire, prefigurare, trasformare, ricreare.
Si guarda attraverso gli occhi, ma si può anche non vedere se la mente non registra il mondo fuori di noi. Lo stesso accade per sentire e ascoltare. La prima azione è quasi inconscia, mentre l’ascoltare significa porre attenzione ai rumori, ai suoni e alle parole che giungono all’orecchio, che percepisce e li distingue e li fa suoi. Subentra l’intuire (il penetrare nelle cose viste o ascoltate per coglierne l’essenza). Dall’approfondire (entrare nel profondo) si passa al dubitare che la realtà vista o ascoltata possa essere l’unica realtà possibile (e se?...).
Il primo uomo che si chiese “e se” e cercò qualcosa d’altro compì, secondo me, il primo atto creativo. Cominciò così il processo dell’immaginare e del fantasticare e del predire tutto ciò che non c’era e che aveva la possibilità di essere, se non nell’immediato almeno in futuro. Cominciò allora l’essere umano ad andare in deviazione, a non seguire il dato certo, la regola insita nella natura e nei comportamenti dei suoi “simili” per deviare, percorrere altre strade mai battute, prefigurarsi mondi nuovi e sconosciuti e, perché no?, possibili.
Trasformare per adattare reattivamente la realtà fisica e antropologica alle proprie esigenze divenne, pertanto, l’imperativo categorico che sostituì l’adattattamento passivo di sé stesso all’ambiente. E fu il secondo atto creativo.
Ma l’azione prima o poi diventa soluzione di un ostacolo, di un problema, di una condizione di vita e, allora, diventa prodotto e, quindi, dato di fatto certo, sostanza e, dunque, sostantivo.
Sono andata, perciò, alla ricerca dei sostantivi (e degli aggettivi che meglio li definiscono), ricavati dai verbi precedenti, per sostanziare di caratteristiche proprie la creatività:
illuminazione (luce che rischiara il buio della mente e illumina e dissipa le ombre del nostro cuore), intelletto (è la fonte della creatività, che da base biologica - le trasformazioni del nostro corpo in termini di maturazione - si è cambiata, grazie all’intelligenza, in base culturale), emozione (sussulto, palpito, vibrazione del corpo e dell’anima), concentrazione (entrare nel centro delle cose e di sé stessi), dubbio (le certezze uccidono la mente, appiattiscono il quotidiano, consolidano abitudini e situazioni, anche spiacevoli e frustranti o dolorose), predittività (il fare previsioni non affidandosi al caso, ma alle possibilità future che la ragione analizza, rifacendosi agli errori del passato o alle configurazioni socio-economico-culturali in atto nel presente. In alcuni casi, si tratta di vera e propria chiaroveggenza e preveggenza, appannaggio dei profeti, dei mistici, e di alcuni poeti), immaginazione (si poggia su modelli che poi   rielabora e supera), fantasia (è perlopiù pura invenzione), processo (ogni atto è un processo di trasformazione. In campo creativo, poi, è un processo di trasformazione senza fine, come quello che avviene nel nostro universo), coraggio e fede (per trasformare qualsiasi cosa ci vuole il coraggio di osare: diventa incoscienza se non si tiene conto oggettivamente della realtà, ma diventa necessità e urgenza e ragione di vita, se viene suffragato dalla fiducia in sé stessi, dalla passione e dalla consapevolezza di un talento, dalla fede nel proprio progetto esistenziale e anche nella bontà e sincerità di chi ci circonda), trasformazione (atto continuativo in divenire), altro e altrove (tutto quello che la creatività trasforma. Il creativo non è mai perfettamente in sé, abita sempre altri luoghi e con la mente, il cuore, l’anima è sempre in un “altrove”, mai ben definito). Di qui la sua distonia e visionarietà (scrivere, dipingere, teatralizzare realtà inesistenti, scoordinate, fumose e sfumate che spesso emergono dall’inconscio), inconscio (è la parte più profonda dell’Io che si trasforma in Es e si sedimenta nella parte più sconosciuta di ogni essere umano e solo di tanto in tanto viene fuori, attraverso i sogni, la poesia e tutti gli atti Artistici in genere. Non si possono definire atti creativi perché questi possono riguardare anche la semplice scelta quotidiana di fare una azione o meno. Ogni scelta è un atto creativo in sé. Anche quella di scegliere di cuocere una pietanza al posto di un’altra o di cambiarne gli ingredienti per rinnovarla), mistero (ogni incontro col nostro inconscio rappresenta un mistero, un qualcosa che si perde nella nebbia della non conoscenza), metafisica (che viene definita da alcuni studiosi della creatività: “l’affettività del divino”, cioè “la vicinanza amorosa al sacro”, e per alcuni a Dio. Significa capire con l’anima che, essendo universale, ci permette di espanderci all’infinito nell’infinito).
Personalmente definisco questa sorta di ineffabile sensazione trascendente, che la sensibilità creativa ci dona: “essenza vibrante nell’armonia dell’universo”. Noi, infatti, quando creiamo, vibriamo, diventando arpa dell’universo in consonanza con il divino che è in noi e fuori di noi.
Il rovescio della medaglia, se il volo è troppo alto, è la solitudine, più volte citata da Giovanni Gastel, come prerogativa della creatività del genio (vedi l’Albatro di baudelairiana memoria, leggi La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, e così via).
La solitudine porta con sé dannazione e perdizione (come genio e sregolatezza appunto richiedono) oppure può essere vinta dal conflitto (da ogni incontro con noi stessi e con gli altri nasce un conflitto perché siamo fatti di contraddizioni, di umori, condizionamenti interni ed esterni, di punti di vista, spesso variabili persino nello stesso giorno e in base a circostanze diverse e così via), dalla generosità (ogni conflitto si può risolvere con la consapevolezza di sé e degli altri e con la considerazione che l’altro non può togliere o aggiungere niente a quello che siamo nella nostra compiutezza perché nessuno si può sostituire a noi o toglierci qualcosa o integrarci con qualcosa perché siamo unici e indivisibili. Solo l’amore può realizzare la fusione tra due corpi e due anime), incontro, comprensione, partecipazione, reciprocità, condivisione, inclusione e mai esclusione (sono tutte parole legate all’incontro tra due o più persone libere, mature, realizzate e in sé compiute, che si vanno “incontro” appunto nella autenticità del proprio essere), compensazione (quando non c’è compiutezza o si avverte una discrepanza tra sé e sé o tra sé e gli altri, o nell’ambiente ecc., allora subentra il processo di compensazione, come sostiene Adler, per vincere un complesso, un condizionamento, un disagio, una inadeguatezza o disadattamento. Vedi Leopardi o Beethoven…), gioia e dolore (la creatività si estrinseca nella gioia e con gioia, ma quasi sempre nasce da un dolore, da una ferita. E si hanno molte testimonianze di creativi al riguardo), gioco (la creatività come gioco e scoperta è universale nei bambini. Quasi inesistente tra gli adulti, a meno che non si tratti del gioco delle carte o dei giochi d’azzardo, quasi sempre con lo scopo di vincere per guadagnare denaro. Il gioco creativo non si prefigge scopi, tanto meno guadagni. È fine a sé stesso e viene praticato per la gioia che procura. I piccoli giocando imparano ed esercitano la loro naturale e spontanea simbolizzazione della realtà).  
Per questo, la creatività e anche Compiutezza. Armonia. Bellezza. Seduzione. Appagamento. Esaltazione. Estasi. Libertà. E tanto tanto ancora. 
Ma di questi ultimi sostantivi parlerò più a lungo domani. Troppo importanti per lasciarli nell'anonimato ambiguo della parola...
Forse tra le tante ho dimenticato Immortalità. Se, come afferma Erich Fromm, “la creatività ci fa rinascere infinite volte, mentre ci sono uomini che muoiono senza essere mai nati!”.      




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