“Fiero del Libro”,
quest’anno, ha focalizzato la sua attenzione sulle parole da ricercare per
giungere a formulare delle opinioni, magari servendoci della lettura delle
opere dei nostri autori per trovare spunti di riflessione, motivi di confronto,
nuovi orizzonti per poter andare più lontano. Dunque, le parole. Quelle proposte
sono state bellissime: Dio, futuro, creatività.
Arduo è stato parlare
di Dio, tra credere e non credere, asserire e negare, affidarsi alla fede o
confutarla con la ragione. Toccanti e autenticamente cristiane sono state le
parole di don Tonino Bello, tratte dai suoi scritti.
Azzardato e quasi provocatorio
è stato parlare del Futuro in una società che sembra escluderlo. E lo ha fatto
egregiamente il giovane poeta serbo Mirko Dimic, che ha tanto futuro da sognare
e progettare davanti a sé, esortando i giovani ad usare bene le parole che
possono essere spada o ramoscello d’ulivo.
Più facile forse perché
a noi più congeniale è stato parlare di creatività. Ci ha illuminati con la sapienza
delle sue parole il creativo per eccellenza Giovanni Gastel, che ha parlato di “stato
di necessità” per i creativi dedicarsi all’Arte in tutte le sue innumerevoli
forme e soprattutto in quelle per cui si sente di possedere un talento che ci
rende dissimili dagli altri. Purtroppo, però, questo stato di unicità determina
la nostra solitudine. È, per quanto si possa essere sociali e socievoli, si
rischia sempre di sentirsi profondamente soli. È lo scotto che bisogna pagare
per l’appagamento che si prova di fronte alla propria opera creativa compiuta.
Personalmente, ho
fatto un elenco delle parole che mi riportano alla creatività, non potendo
ancora far tesoro di quelle del grande fotografo, poeta, scrittore milanese,
che il mondo ci invidia.
Per molti filosofi,
psicologi, sociologi, scienziati e tanti altri studiosi di discipline
trasversali, la creatività è innanzitutto una qualità del pensiero, la più alta
forma del pensare. Essa è “forza che porta il non essere all’essere” (sono in
tanti gli studiosi che lo hanno affermato dall’antica Grecia ai nostri giorni. Definizione
che ha percorso, dunque, millenni di storia).
La creatività,
pertanto, compie la straordinaria azione del “creare” o, meglio, “ri-creare”
perché il primo modello che gli uomini possono rielaborare in forme nuove e
sempre diverse è la “Creazione divina”.
La creatività è, quindi,
energia e azione. Verbo. Ma, prima di cercare i verbi che possano connotarla mi
piace riportare il pensiero di Albert Einstein al riguardo: “La mente intuitiva
è un dono sacro, mentre la mente razionale è un suo servo fedele. Noi abbiamo
creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono sacro”.
Il primo verbo da
annotare è, dunque, intuire? Ritengo
di sì, ma occorre partire, a mio parere, dai cinque sensi che ci permettono di
conoscere il mondo così com’è (il primo modello della Creazione), per poter
giungere alla intuizione che sottintende una sorta di sesto senso che va ben
oltre la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’odorato. La nostra prima
conoscenza avviene attraverso il corpo. Subito è la mente che se ne impossessa
e, poi, il cuore per giungere all’anima. e qui è già “ri-creazione”, cioè gioco,
immaginazione, fantasia.
E, allora, i verbi
che ci conducono alla creatività potrebbero essere: guardare, vedere, sentire, ascoltare, percepire, intuire, dubitare, immaginare,
fantasticare, divergere, deviare, predire, prefigurare, trasformare, ricreare.
Si guarda attraverso
gli occhi, ma si può anche non vedere se la mente non registra il mondo fuori
di noi. Lo stesso accade per sentire e ascoltare. La prima azione è quasi
inconscia, mentre l’ascoltare significa porre attenzione ai rumori, ai suoni e
alle parole che giungono all’orecchio, che percepisce e li distingue e li fa
suoi. Subentra l’intuire (il penetrare nelle cose viste o ascoltate per
coglierne l’essenza). Dall’approfondire (entrare nel profondo) si passa al
dubitare che la realtà vista o ascoltata possa essere l’unica realtà possibile
(e se?...).
Il primo uomo che si
chiese “e se” e cercò qualcosa d’altro compì, secondo me, il primo atto
creativo. Cominciò così il processo dell’immaginare e del fantasticare e del
predire tutto ciò che non c’era e che aveva la possibilità di essere, se non
nell’immediato almeno in futuro. Cominciò allora l’essere umano ad andare in
deviazione, a non seguire il dato certo, la regola insita nella natura e nei
comportamenti dei suoi “simili” per deviare, percorrere altre strade mai
battute, prefigurarsi mondi nuovi e sconosciuti e, perché no?, possibili.
Trasformare per
adattare reattivamente la realtà fisica e antropologica alle proprie esigenze
divenne, pertanto, l’imperativo categorico che sostituì l’adattattamento
passivo di sé stesso all’ambiente. E fu il secondo atto creativo.
Ma l’azione prima o
poi diventa soluzione di un ostacolo, di un problema, di una condizione di vita
e, allora, diventa prodotto e, quindi, dato di fatto certo, sostanza e, dunque,
sostantivo.
Sono andata, perciò,
alla ricerca dei sostantivi (e degli aggettivi che meglio li definiscono), ricavati
dai verbi precedenti, per sostanziare di caratteristiche proprie la creatività:
illuminazione (luce
che rischiara il buio della mente e illumina e dissipa le ombre del nostro
cuore), intelletto (è la fonte della
creatività, che da base biologica - le trasformazioni del nostro corpo in
termini di maturazione - si è cambiata, grazie all’intelligenza, in base culturale), emozione (sussulto, palpito,
vibrazione del corpo e dell’anima), concentrazione
(entrare nel centro delle cose e di sé stessi), dubbio (le certezze uccidono la mente, appiattiscono il quotidiano,
consolidano abitudini e situazioni, anche spiacevoli e frustranti o dolorose), predittività (il fare previsioni non
affidandosi al caso, ma alle possibilità future che la ragione analizza,
rifacendosi agli errori del passato o alle configurazioni socio-economico-culturali
in atto nel presente. In alcuni casi, si tratta di vera e propria
chiaroveggenza e preveggenza, appannaggio dei profeti, dei mistici, e di alcuni
poeti), immaginazione (si poggia su
modelli che poi rielabora e supera), fantasia (è perlopiù pura invenzione), processo (ogni atto è un processo di trasformazione. In campo
creativo, poi, è un processo di trasformazione senza fine, come quello che
avviene nel nostro universo), coraggio e
fede (per trasformare qualsiasi cosa ci vuole il coraggio di osare: diventa
incoscienza se non si tiene conto oggettivamente della realtà, ma diventa
necessità e urgenza e ragione di vita, se viene suffragato dalla fiducia in sé
stessi, dalla passione e dalla consapevolezza di un talento, dalla fede nel
proprio progetto esistenziale e anche nella bontà e sincerità di chi ci
circonda), trasformazione (atto
continuativo in divenire), altro e
altrove (tutto quello che la creatività trasforma. Il creativo non è mai
perfettamente in sé, abita sempre altri luoghi e con la mente, il cuore, l’anima
è sempre in un “altrove”, mai ben definito). Di qui la sua distonia e visionarietà (scrivere, dipingere, teatralizzare realtà
inesistenti, scoordinate, fumose e sfumate che spesso emergono dall’inconscio),
inconscio (è la parte più profonda
dell’Io che si trasforma in Es e si sedimenta nella parte più sconosciuta di
ogni essere umano e solo di tanto in tanto viene fuori, attraverso i sogni, la
poesia e tutti gli atti Artistici in genere. Non si possono definire atti
creativi perché questi possono riguardare anche la semplice scelta quotidiana di
fare una azione o meno. Ogni scelta è un atto creativo in sé. Anche quella di
scegliere di cuocere una pietanza al posto di un’altra o di cambiarne gli
ingredienti per rinnovarla), mistero (ogni
incontro col nostro inconscio rappresenta un mistero, un qualcosa che si perde
nella nebbia della non conoscenza),
metafisica (che viene definita da alcuni studiosi della creatività: “l’affettività
del divino”, cioè “la vicinanza amorosa al sacro”, e per alcuni a Dio. Significa
capire con l’anima che, essendo universale, ci permette di espanderci all’infinito
nell’infinito).
Personalmente definisco
questa sorta di ineffabile sensazione trascendente, che la sensibilità creativa
ci dona: “essenza vibrante nell’armonia dell’universo”. Noi, infatti, quando
creiamo, vibriamo, diventando arpa dell’universo in consonanza con il divino
che è in noi e fuori di noi.
Il rovescio della
medaglia, se il volo è troppo alto, è la solitudine,
più volte citata da Giovanni Gastel, come prerogativa della creatività del genio
(vedi l’Albatro di baudelairiana
memoria, leggi La solitudine dei numeri
primi di Paolo Giordano, e così via).
La solitudine porta
con sé dannazione e perdizione (come
genio e sregolatezza appunto richiedono) oppure può essere vinta dal conflitto
(da ogni incontro con noi stessi e con gli altri nasce un conflitto perché
siamo fatti di contraddizioni, di umori, condizionamenti interni ed esterni, di
punti di vista, spesso variabili persino nello stesso giorno e in base a
circostanze diverse e così via), dalla generosità
(ogni conflitto si può risolvere con la consapevolezza di sé e degli altri
e con la considerazione che l’altro non può togliere o aggiungere niente a
quello che siamo nella nostra compiutezza perché nessuno si può sostituire a
noi o toglierci qualcosa o integrarci con qualcosa perché siamo unici e
indivisibili. Solo l’amore può realizzare la fusione tra due corpi e due anime), incontro, comprensione, partecipazione, reciprocità,
condivisione, inclusione e mai esclusione (sono tutte parole legate all’incontro
tra due o più persone libere, mature, realizzate e in sé compiute, che si vanno
“incontro” appunto nella autenticità del proprio essere), compensazione (quando non c’è compiutezza o si avverte una
discrepanza tra sé e sé o tra sé e gli altri, o nell’ambiente ecc., allora
subentra il processo di compensazione, come sostiene Adler, per vincere un
complesso, un condizionamento, un disagio, una inadeguatezza o disadattamento. Vedi
Leopardi o Beethoven…), gioia e dolore (la
creatività si estrinseca nella gioia e con gioia, ma quasi sempre nasce da un
dolore, da una ferita. E si hanno molte testimonianze di creativi al riguardo), gioco (la creatività come gioco e
scoperta è universale nei bambini. Quasi inesistente tra gli adulti, a meno che
non si tratti del gioco delle carte o dei giochi d’azzardo, quasi sempre con lo
scopo di vincere per guadagnare denaro. Il gioco creativo non si prefigge
scopi, tanto meno guadagni. È fine a sé stesso e viene praticato per la gioia
che procura. I piccoli giocando imparano ed esercitano la loro naturale e
spontanea simbolizzazione della realtà).
Per questo, la creatività e anche Compiutezza. Armonia.
Bellezza. Seduzione. Appagamento. Esaltazione. Estasi. Libertà. E tanto tanto ancora.
Ma di questi ultimi sostantivi parlerò più a lungo domani. Troppo importanti per lasciarli nell'anonimato ambiguo della parola...
Forse tra le tante ho dimenticato Immortalità. Se, come afferma Erich Fromm, “la creatività ci fa rinascere infinite volte, mentre ci
sono uomini che muoiono senza essere mai nati!”.
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