Due giorni fa (ieri mi è sembrato opportuno
donare un silenzio urlato di lacrime per la sconfitta della nostra umanità in
quell’indimenticato 11 settembre 2001), ho concluso, affermando che avrei dato
ampio spazio alle parole più belle che connotano la creatività. Quelle che ci
fanno mettere le ali e andare in quell’altrove di noi, in cui ci perdiamo e ci
ritroviamo continuamente, ogni volta che siamo alle prese con un atto creativo,
generato dal nostro conclamato talento. Un dono, di cui finalmente abbiamo
consapevolezza, senza illusioni e mistificazioni e senza ripensamenti e rinunce
per via della scarsa stima di noi stessi.
Prima, però, di
passare a queste meravigliose parole, credo sia opportuno ricordare alcune
altre che insigni studiosi contemporanei elencano come costitutive della
creatività. E spesso i sostantivi si fanno locuzioni, gruppi di parole che
meglio definiscono i confini dell’atto creativo.
Decisamente importanti
sono quelle che Jean Paul Guilford chiama “le
attitudini innate”, le cui caratteristiche sono: flessibilità, fluidità (ideativa), mobilità (del pensiero), scorrevolezza
associativa, espressività e comunicatività,
facilità (argomentativa ed
espositiva), problematicità risolutiva
(saper trovare rapidamente una vasta possibilità di ipotesi di soluzione di
fronte ai problemi quotidiani o esistenziali), senso critico costruttivo, originalità,
sensibilità estetica, emotività, capacità mnemonica, senso profondo della vita
e del destino.
In genere la
creatività si costituisce come “campo
interno di tensione, “mondo onirico
legato al subconscio e all’inconscio” (senso approssimativo e indefinito
del mondo interiore in eterno conflitto con la realtà. Una realtà che non è “riconoscimento”,
ma “straniamento”, simulazione della
verità. Non afferma Pessoa che il poeta è “un fingitore”?).
Nella scrittura,
infatti, la creatività si costituisce come “dimora della parola visionaria”, fascino dell’incompleto, dell’ignoto, dell’assurdo, come sostiene
Mario Praz. È tutto questo che “assicura immortalità all’opera d’Arte”. Sempre Praz).
Importa, dunque, che la realtà si faccia universo di verità nelle sue verità approssimative ed infinite.
La creatività è, pertanto,
stato di grazia, veggenza, illuminazione
e rivelazione.
È esperienza della
realtà, filtrata attraverso la personale sensibilità creativa, colma di tutti i
sensi e di tutti i significati possibili. “Asymptoton”
- per i greci - era “il punto che non
coincide”, la distonia, appunto,
vissuta come divergenza, diversità, universo fantastico in cui
la mente umana si perde con le sue approssimazioni
infinite, con le sue interpretazioni
insicure, incerte, ambigue, con i suoi chiaroscuri
sfumati e nebbiosi. L’ispirazione,
allora, si fa luce e coscienza del mondo, filtro con il quale l’anima colora il
suo sguardo sull’universo. Si parte da una visione particolare che procura
emozione, fa vibrare corpo e anima come “le corde di un’arpa” (don Giuseppe
Colombero). È il caleidoscopio della
nostra fantasia. Bastano pochi elementi reali, filtrati dalla emotività
fantasiosa e immaginativa di chi li guarda perché si trasformino in magia in quanto attraversati da una luce
nuova, enigmatica, inconscia, misteriosa. Altre infinite realtà si propongono
nella loro “imprendibilità” e “intoccabilità”, attraverso luoghi
sconosciuti, chiari solo all’Artista. La persona creativa scopre sempre “il volto doppio delle cose” (Giuseppe
Lasala) o “il sublime possibile”
(Leopardi), la meravigliosa/dolorosa contraddizione
della vita, perché una cosa è quella cosa, ma può essere un’altra e un’altra
ancora… Purché ci sia l’illuminazione.
E LUCE fu! (Si pensi ai poeti e ai
pittori della luce, senza dimenticare architetti, scultori, registi…).
La luce come
esplosione di stelle. La luce come colore, calore, amore, vita. Di qui la
necessità di praticare la “disgiunzione come
salvezza della nostra vocazione
perché diventa l’unica “congiunzione” possibile con il mondo indefinito e mai
allineato con la realtà di tutti i giorni. Di qui “l’intelligenza infinita e insicura del mondo”, con l’unica certezza
possibile del non “adempimento” (ancora Giuseppe Lasala).
La creatività, dunque,
ci riporta alla nostra essenza più profonda. Al nostro cuore e al nostro
sentimento. Al nostro essere al mondo e fuori dal mondo, soprattutto se la
realtà ci delude, ci ferisce, ci disorienta, allarma, opprime (vedi la realtà
del nostro tempo!).
La creatività ci fa
riscoprire un “cuore umano” nella autenticità del suo “sentire”.
E finalmente il punto
interno combacia con quello esterno, dandoci pienezza di noi e della vita. Il sentimento
di sé e del sé nel ritrovato “senso del vivere”, in cui l’Io e il sé si
ricompongono in unità. Di qui l’Armonia,
da cui scaturisce la Bellezza, che
favorisce la seduzione o seduttività
della persona creativa che incanta e affascina con la luce che promana dalla
sua voce, dai suoi gesti, dalle sue parole. È una sorta di carisma che crea la “luccicanza”
(Diego Dalla Palma”) che ogni vero Artista porta con sé. La creatività ci riporta,
infine, dal buio alla luce, dalla invisibilità degli oggetti alla loro
visibilità molteplice e rinnovabile, dalla indecidibilità alla decidibilità
delle situazioni e atmosfere, dall’inaspettato all’attesa dell’“accadimento”, dalla impalpabilità alla
palpabilità dei sentimenti. Epopea di epiche speranze di terre e di universi
perché contiene in sé tutti gli elementi vitali e propulsivi dell’umana
esperienza. Di volti di uomini GRANDI incisi nella Storia. Fulgidi esempi di
rinascita continua nella riproposizione di nuovi domani. La consapevolezza di
tutto ciò determina l’appagamento, l’esaltazione, l’estasi. Un senso di straordinarietà
e di follia (incendio della mente,
del cuore, dell’anima). L’ineguagliabile sentimento di LIBERTA’.
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