mercoledì 12 settembre 2018

La creatività:le parole più belle


 Due giorni fa (ieri mi è sembrato opportuno donare un silenzio urlato di lacrime per la sconfitta della nostra umanità in quell’indimenticato 11 settembre 2001), ho concluso, affermando che avrei dato ampio spazio alle parole più belle che connotano la creatività. Quelle che ci fanno mettere le ali e andare in quell’altrove di noi, in cui ci perdiamo e ci ritroviamo continuamente, ogni volta che siamo alle prese con un atto creativo, generato dal nostro conclamato talento. Un dono, di cui finalmente abbiamo consapevolezza, senza illusioni e mistificazioni e senza ripensamenti e rinunce per via della scarsa stima di noi stessi.
Prima, però, di passare a queste meravigliose parole, credo sia opportuno ricordare alcune altre che insigni studiosi contemporanei elencano come costitutive della creatività. E spesso i sostantivi si fanno locuzioni, gruppi di parole che meglio definiscono i confini dell’atto creativo.
Decisamente importanti sono quelle che Jean Paul Guilford chiama “le attitudini innate”, le cui caratteristiche sono: flessibilità, fluidità (ideativa), mobilità (del pensiero), scorrevolezza associativa, espressività e comunicatività, facilità (argomentativa ed espositiva), problematicità risolutiva (saper trovare rapidamente una vasta possibilità di ipotesi di soluzione di fronte ai problemi quotidiani o esistenziali), senso critico costruttivo, originalità, sensibilità estetica, emotività, capacità mnemonica, senso profondo della vita e del destino.
In genere la creatività si costituisce come “campo interno di tensione, “mondo onirico legato al subconscio e all’inconscio” (senso approssimativo e indefinito del mondo interiore in eterno conflitto con la realtà. Una realtà che non è “riconoscimento”, ma “straniamento”, simulazione della verità. Non afferma Pessoa che il poeta è “un fingitore”?).
Nella scrittura, infatti, la creatività si costituisce come “dimora della parola visionaria”, fascino dell’incompleto, dell’ignoto, dell’assurdo, come sostiene Mario Praz. È tutto questo che “assicura immortalità all’opera d’Arte”. Sempre Praz). Importa, dunque, che la realtà si faccia universo di verità nelle sue verità approssimative ed infinite.
La creatività è, pertanto, stato di grazia, veggenza, illuminazione e rivelazione.
È esperienza della realtà, filtrata attraverso la personale sensibilità creativa, colma di tutti i sensi e di tutti i significati possibili. “Asymptoton” - per i greci - era “il punto che non coincide”, la distonia, appunto, vissuta come divergenza, diversità, universo fantastico in cui la mente umana si perde con le sue approssimazioni infinite, con le sue interpretazioni insicure, incerte, ambigue, con i suoi chiaroscuri sfumati e nebbiosi. L’ispirazione, allora, si fa luce e coscienza del mondo, filtro con il quale l’anima colora il suo sguardo sull’universo. Si parte da una visione particolare che procura emozione, fa vibrare corpo e anima come “le corde di un’arpa” (don Giuseppe Colombero). È il caleidoscopio della nostra fantasia. Bastano pochi elementi reali, filtrati dalla emotività fantasiosa e immaginativa di chi li guarda perché si trasformino in magia in quanto attraversati da una luce nuova, enigmatica, inconscia, misteriosa. Altre infinite realtà si propongono nella loro “imprendibilità” e “intoccabilità”, attraverso luoghi sconosciuti, chiari solo all’Artista. La persona creativa scopre sempre “il volto doppio delle cose” (Giuseppe Lasala) o “il sublime possibile” (Leopardi), la meravigliosa/dolorosa contraddizione della vita, perché una cosa è quella cosa, ma può essere un’altra e un’altra ancora… Purché ci sia l’illuminazione. E LUCE fu! (Si pensi ai poeti e ai pittori della luce, senza dimenticare architetti, scultori, registi…).
La luce come esplosione di stelle. La luce come colore, calore, amore, vita. Di qui la necessità di praticare la “disgiunzione come salvezza della nostra vocazione perché diventa l’unica “congiunzione” possibile con il mondo indefinito e mai allineato con la realtà di tutti i giorni. Di qui “l’intelligenza infinita e insicura del mondo”, con l’unica certezza possibile del non “adempimento” (ancora Giuseppe Lasala).
La creatività, dunque, ci riporta alla nostra essenza più profonda. Al nostro cuore e al nostro sentimento. Al nostro essere al mondo e fuori dal mondo, soprattutto se la realtà ci delude, ci ferisce, ci disorienta, allarma, opprime (vedi la realtà del nostro tempo!).
La creatività ci fa riscoprire un “cuore umano” nella autenticità del suo “sentire”.
E finalmente il punto interno combacia con quello esterno, dandoci pienezza di noi e della vita. Il sentimento di sé e del sé nel ritrovato “senso del vivere”, in cui l’Io e il sé si ricompongono in unità. Di qui l’Armonia, da cui scaturisce la Bellezza, che favorisce la seduzione o seduttività della persona creativa che incanta e affascina con la luce che promana dalla sua voce, dai suoi gesti, dalle sue parole. È una sorta di carisma che crea la “luccicanza” (Diego Dalla Palma”) che ogni vero Artista porta con sé. La creatività ci riporta, infine, dal buio alla luce, dalla invisibilità degli oggetti alla loro visibilità molteplice e rinnovabile, dalla indecidibilità alla decidibilità delle situazioni e atmosfere, dall’inaspettato all’attesa dell’“accadimento”, dalla impalpabilità alla palpabilità dei sentimenti. Epopea di epiche speranze di terre e di universi perché contiene in sé tutti gli elementi vitali e propulsivi dell’umana esperienza. Di volti di uomini GRANDI incisi nella Storia. Fulgidi esempi di rinascita continua nella riproposizione di nuovi domani. La consapevolezza di tutto ciò determina l’appagamento, l’esaltazione, l’estasi. Un senso di straordinarietà e di follia (incendio della mente, del cuore, dell’anima). L’ineguagliabile sentimento di LIBERTA’.








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