mercoledì 19 settembre 2018

Ancora su "Fiero del Libro" e le parole


L’eco di “Fiero del Libro” vola ancora alta e sonora nei cieli di Corato, paesi limitrofi e non solo, perché è giunta a Milano, grazie a Giovanni Gastel, e in Serbia col sorriso di Mirko Dimic. È stata, questa, un’edizione “brillante”, come uno dei ragazzi liceali, coinvolti nella manifestazione, ci ha detto nella sera conclusiva e gli brillavano gli occhi e il cuore. E noi ne siamo felici e “fieri”. Ma è stata una edizione da ricordare per le nuove idee, che hanno reso interessante, entusiasmante e coinvolgente il ruolo dei “cercatori di parole” in una piazza palpitante di voci con lunghe scie di termini, come stelle comete, a condurci ai luoghi poco praticati dei libri, in cui le lettere si danno la mano per formare le sillabe e queste le parole che, tra una pagina e l'altra, si presentano (piacere, piacere… no il piacere è tutto mio) o si riconoscono (ciao, come stai?... è da parecchio che non c’incontriamo!), s’innamorano (ti amo… io di più), si baciano, fanno l’amore, si moltiplicano (ridono, danzano, piangono, litigano, fanno la pace, s’intrecciano, ricordano, sospirano, vanno indietro nel tempo e precorrono il futuro, fanno pazzie e poi rinsaviscono) e nutrono la speranza che qualcuno apra i libri, scorra le pagine e le legga, trovandole simpatiche, chiare, godibili, scorrevoli, affascinanti tanto da non staccarsene più.
Sì, le idee si trasformano in progetti e anche questi si traducono in parole, prima parlate e poi scritte perché non scappino via, perché rimangano e si facciano eventi, momenti d’incontro, declamazioni, esternazioni, opinioni, dibattiti, confronti, contradditori, intese. E, poi, diventino opere da leggere, da commentare, da presentare, da applaudire.  
Sì, quest’anno tutto è nato dalle parole. Dalle opere e dalle opinioni.
Ed io, che avevo il compito di parlare e di cercare le parole per connotare la creatività, nel dibattito con “mostri sacri” come il fotografo Gastel, la pittrice Carabellese, l’economista Fischetti (compito che ho seguito alla lettera!), ho dovuto poi affrontare brevissimamente (fatica immane per me limitarmi a poche parole!) la presentazione del romanzo giovanile “Duetto Profano” del grande Giovanni Gastel nelle vesti di scrittore. In verità, avevo preparato con grande impegno tutte le parole che potessero raccontarci simpaticamente il complesso e multiforme romanzo. Anzi. Avevo fatto di più: avevo giocato con le parole, divertendomi a comporle secondo una sorta di tautogramma, prendendo come lettere iniziali la “D” di Duetto e la “P” di Profano. Un gran bel lavoro, non c’è che dire! Soprattutto un divertissement, di cui andavo “fiera”, anche se forse non ci azzeccasse granché con il romanzo! Ma grande è stata la mia frustrazione, quando mia figlia ci ha sollecitato ad essere brevissimi per mancanza di tempo. Il resto è storia che rimarrà negli annali di “Fiero del Libro”...
Ma io non demordo e mi prendo la rivincita qui, nel mio blog, dove nessuno mi può sollecitare ad essere “brevissima”. Ah, i lettori!!! Beh, loro possono sempre fingere di essere andati fino in fondo. Tanto io non lo so! E, dunque, niente frustrazioni!
E vado a incominciare:
D (uetto)
due: due potrebbero essere i protagonisti, ma lo saranno davvero? duetto: le voci (della realtà e del romanzo); dovrebbero essere una voce sola, ma sono disgiunte: non vanno all’unisono perché devono rispettare il copione che parla del doppio: strategia, fascino o necessità del “doppio” da Plauto a Goldoni, da Stevenson ad Oscar Wilde, fino ai nostri giorni. Qui, però, il doppio è duplice: nel senso di doppia estrazione familiare e sociale con duplice direzione nel dimidiato rapporto con la realtà. Il protagonista, dunque, è diviso tra il lasciarsi andare a una sorta di fatalità e l’esplodere deciso in una salutare ribellione al proprio ambiente, per cui si crea un divario: tra essere sé stesso e essere un altro, e inventa così il suo alter ego nella trama di un romanzo come riscatto agli occhi di suo padre. I protagonisti, perciò, diventano due e sono completamente diversi: l’uno disgustato, ribelle, con progetti di rivincita attraverso la scrittura del romanzo, che si fa desiderio e necessità. Desiderio perché, attraverso la lettura di tanti libri ora abbandonati, scopre la possibilità di desiderare qualcosa di diverso dalla propria vita, che gli procura dolore: per la pochezza della sua esistenza e di quella di suo padre che pure, a modo suo, coltiva un sogno e si accontenta, tanto sa che nulla potrà cambiare, mentre lui, suo figlio, insofferente a quanto lo circonda, sente serpeggiare dentro di sé disgusto e dannazione perché, pur avendo voglia di cambiare, gli manca la determinazione a realizzare il romanzo, che gli permetterebbe di vivere una vita diversa, dove sarebbe lui l’artefice di ogni esperienza, di ogni incontro, di ogni scelta di vita. Ma in realtà preferisce dormire, come Endimione, per non vedere la triste realtà e non sentirsi responsabile delle proprie scelte e della propria vita. Ciò significa non voler crescere e, quindi, voler dimenticare momenti di stasi e di indifferenza per non prendere in mano la propria maturazione che potrà fare di lui un uomo, completamente diverso da suo padre e forse realmente felice, realizzato. Anche per questo non ha un nome. Non avendo una sua precisa identità (e il nome è la prima voce identitaria, il primo segno), può sempre rifugiarsi nel sogno o nel romanzo e prendere un’altra identità. Ma anche il protagonista del romanzo rimane senza nome perché possa ritornare a rivestire i panni originari, qualora come autore dovesse fallire. E, così, tutti i coprotagonisti hanno un nome e una decisa personalità e, in alcuni casi, anche una professione, lui e il suo doppio sono senza nome. Eppure quanto importante la nominazione. Denominare fu l’attività primaria di Adamo per mettere ordine dove c’era disordine, dando un nome a tutte le cose. Sorprende, pertanto, data la complessità del duplice romanzo (il romanzo nel romanzo), che l’autore avesse solo diciassette anni quando cominciò a scriverlo, rivelando una maturità contenutistica e stilistica straordinaria. Molti, infatti, sono i demoni che ostacolano il processo di maturazione sia del protagonista, nella realtà, sia del suo doppio di fantasia. Per vincerli, non a caso c’è una ricerca sofferta e dolorosa di Dio, che è “più facile negare” che accettare nella propria esistenza. Se fossimo perfetti non cercheremmo Dio, paghi della nostra perfezione. È la imperfezione a darci la necessità di inventarci o credere in un dio o nell’unico Dio.

P (rofano)
Protagonisti. E qui non sarebbe il caso di ripetermi. Solo una puntualizzazione: si differenziano notevolmente nel linguaggio (due scritture diverse anche nel carattere tipografico, proprio per differenziare quella del romanzo da quella della realtà; nonché due frasari diversi per tono e parole usati:  morbido, elegante, raffinato, il primo; rozzo, scurrile, volgare, il secondo) e in alcuni comportamenti, tra ricchezza da una parte e quotidiana pochezza dall’altra, ma in entrambi i casi i due protagonisti hanno in fondo un’unica radice, un unico sentire, un unico bisogno di crescere e di affermarsi, anche ribellandosi o confrontandosi con gli altri personaggi: con i rispettivi genitori, per esempio, completamente diversi in apparenza, ma in sostanza con le stesse aspettative nei riguardi dei figli: la loro realizzazione, conforme alle regole della famiglia. Di qui la ribellione dei due protagonisti, con modi e intenti del tutto personali, anche se i due, non avendo un nome e neppure, per questo, una identità, come già detto, possono continuamente fondersi, confondersi, scomporsi e ricomporsi, ritrovarsi, riconoscersi. Di qui la loro personalità: per alcuni tratti identica e, per altri, completamente diversa. Anche la personalità degli adulti, spesso apparente nella veste di saggezza e serenità, è in realtà fortemente legata al senso di sconfitta che serpeggia in profondità: tutti, profondamente, adulti ma anche ragazzi, sono in fondo dei perdenti, persino Guido, l’amico mentore, che fa da guida al protagonista nel romanzo (la nominazione, dunque, non è casuale) non salva né l’amico né sé stesso. E Renato, che sogna di diventare scrittore, finisce col fare il cameriere in Svizzera, vivendo di rassegnata frustrazione. (Non afferma Thoreau che tutti gli uomini “vivono una vita di rassegnata disperazione”?). E neppure il padre, sia che appartenga alla realtà o al romanzo, ha possibilità di salvezza. Perché deve fare i conti con le passioni: quelle personali ormai spente e quelle dell’uno o dell’altro figlio accese. Nel romanzo è Paola che diventa il pensiero fisso del protagonista; nella realtà, invece, è l’alcol o la droga o una notte d’amore mercenario. Ma ognuno vuole misurarsi con una possibilità: innamorarsi veramente o continuare a vivere senza amore. Nella realtà, invece, è Anna la compagna, di cui il protagonista non ricorda neppure più gli occhi o la faccia, pur avendola quotidianamente accanto. Esiste, dunque, una qualche possibilità di perfezione o di inventarsela per inventarsi la pienezza di sé e, quindi, la felicità?
Importante è, comunque, il viaggio per tentare un passaggio da un modo di essere e l’altro, l’evoluzione di sé, quasi un attraversamento delle diverse tappe adolescenziali con la perdita della propria identità, attraverso la iniziale partenza: che determina l’andare e la perdita: di sé o di chi va via e l'avvertire la propria pochezza o quella dell’altro/a o dello stesso sentimento ritenuto amore (“Credevo fosse amore e invece era un calesse”, il famoso film del bravissimo e compianto Massimo Troisi). E avvertire dentro di sé una nuova paura, diversa da tutte quelle precedenti, che quest’ultima cancella: la paura della solitudine o del tempo che passa e non concede tregua all’assalto dei dubbi e delle delusioni. E nasce il bisogno della parola: per imparare ad esprimersi e a comunicare per non sentirsi mai soli, inadeguati, abbandonati (il complesso di Pollicino sempre in agguato a qualsiasi età).
E la parola per eccellenza è poesia: catartica, salvifica, rigenerante e sempre in bilico tra realtà e fantasia, tra il “qui e ora” e “l’altro” e “l’altrove” in senso diacronico e sincronico. Ma davvero la poesia sarà l’ancora di salvezza per tutti i mari e per tutti i mali? Auguriamoci di sì. Bello è pensarlo. Ci aiuta sicuramente a stare meglio.
Puntualizzazione: Mi piace puntualizzare, infine, che anche la personalità dell’autore è complessa, dimidiata, ossimorica. Vive costantemente in mondi che sono suoi e mai gli appartengono; mondi, dove esistono rigide regole di bon ton e di altera fierezza di un’antica e storica nobiltà, che fa da contraltare e da contrasto stridente con il mondo della Moda, dei vip, dei ricchi dell’ultima ora, dove esiste la legge dell’apparire, della finzione, della irrealtà.
Il teatro gasteliano ha profonde verità solo nel profondo dell’anima e tutto è e non è: la Fotografia, la Scrittura, le Poesie, la Recitazione, il Romanzo, la sua stessa Vita!
E anche la conclusione non può che essere ossimorica: vincitori o vinti, il protagonista o il suo doppio, i tanti personaggi o i coprotagonisti, la realtà o la fantasia?
Ogni lettore avrà una sua conclusione.
Rimane ancora nell’aria l’eco di “Fiero del Libro” 2018 a renderci più leggeri e a farci danzare tra migliaia di parole che volano e cantano e si abbracciano in libertà…
Così come dovremmo imparare a fare anche noi…
Rimane che siamo viandanti, nel bene e nel male, lungo il percorso della nostra individuale e comunitaria esperienza esistenziale. E le parole giuste, dette, lette o scritte al momento giusto, ci servono come il pane quotidiano, il viatico che ci accompagni, per non essere dei “perfetti sconosciuti” a noi stessi e agli altri. Per intessere legami di conoscenza e di riconoscenza, di amicizia, reciprocità, solidarietà.                                                            AMORE




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