giovedì 18 marzo 2021

Giovedì 18 marzo 2021: alcune poesie di Giovanni Gastel...

E riprendo a parlarvi del Retino di martedì e di quanto dolore si sia condensato in dieci minuti, attraversando i fendenti di parole e ricordi, che hanno reso più fragile la mia anima mentre le ali di Giovanni Gastel volavano sempre più verso la Luce che non ha confini. Noi confinati nello spazio/tempo di un Retino. Parlare di lui e delle parole a connotarlo ha significato il vano tentativo di trattenerlo ancora con noi. Vano, non perché non sia rimasto, incancellabile, dentro di noi ma perché il divino disegno vince ogni umano bisogno di trattenere le persone care, la loro voce, i pensieri, i sogni…  Eppure sono convinta che continuare a parlarne sia salvifico non per chi fa ritorno a Casa, ma per chi è ancora per strada e ha necessità di non perdersi del tutto nel dolore che porta verso la direzione opposta e, dunque, verso il buio. E nel buio è facile perdersi e non riuscire più a ritrovare neppure le vie del Cielo, che pure sono infinite. E allora parliamone ancora. Per ritrovare il filo di luce a cui aggrapparsi per non naufragare anche nel buio del silenzio. Sì, anche il silenzio può cedere al lato oscuro del silenzio, che non ha più il respiro di una preghiera. Ed oggi è giorno di preghiera silenziosa per tutti quelli che fino a un anno fa sono andati via in silenzio, vinti da un nemico oscuro e impietoso senza una carezza ad accompagnarli oltre la soglia di casa per condurli con l’amore tangibile di una mano protesa verso la vera Casa che amorevole ci attende con la sua carezza di Cielo. E quelli che, come Giovanni, sono stati rapiti in questo nuovo anno di lutti atroci più che mai? Hanno la nostra carezza e le nostre parole ad accompagnarli nel volo…

E per te, Giovanni, le nostre mani tese a restituirti l’amore che ci hai donato e le tue poesie a testimoniarlo. Le nostre parole a riproporlo ancora e ancora.

Approdato come un naufrago in una terra

sconosciuta, ho misurato il territorio e appreso

la lingua dei nativi. Sono invecchiato raccontando

del mio mondo lontano, ma ancora la notte nel buio

sogno navi amiche che mi riportino a casa.

A rileggerla oggi avverto l’amaro sapore di un profetico addio. Già dal primo verso che parla di approdo “come naufrago in una terra/ sconosciuta”, una terra, il nostro mondo che non era il tuo mondo. Pure, con grande coraggio, curiosità intellettuale e umiltà avevi imparato “la lingua dei nativi”, di quanti non avevano le tue difficoltà a riconoscersi in un mondo sconosciuto e ostile. E lo hai fatto fino all’ultimo giorno, raccontando, però, del tuo mondo perso nelle brume della lontananza ormai da te, ma chiuso comunque nel tuo cuore, come sacra reliquia da venerare, sognando “navi amiche” a riportarti “a casa”. Certo, sognando, in un mondo così estraneo a te, navi sicure, navi che non ti avrebbero tradito. Ma è accaduto davvero. A Casa sei giunto, sicuramente amato e atteso, ma come? Avresti preferito forse fidarti solo delle tue Ali in un volo, sorretto dalle carezze di tutti i tuoi cari a sostenerti…

Il mondo pandemico ha tradito anche te. Il mondo estraneo al tuo cuore di sognatore intriso d’amore.

Provo pena per la sorte

degli uomini.

 

Per noi magri ed educati

 

signori della terra

analfabeti e rozzi.

 

Ma nessuno può guardare il mondo

senza provare commozione.

 

Il giorno del plotone

sia benda sopra gli occhi

questa sconfinata bellezza.

Ecco cosa realmente ti angustiava del genere umano: la pochezza di un sentire privo di autenticità, anche per rozza ignoranza. Pure la Bellezza che la natura ti regalava era talmente sconfinata in un mondo così angusto e ignaro che invocavi per te, nel giorno della fatale esecuzione, perché tale è per ogni essere umano il giorno della propria morte, a cui tutti vorrebbero impotenti sottrarsi, come “benda sopra gli occhi” (metafore ardite e superbe) appunto la immensa BELLEZZA da sempre appresa e per sempre vagheggiata, come il più grande riscatto di libertà per chi come te, nel nostro mondo si sentiva prigioniero e in catene.

E, invece, avresti voluto le minime “invisibili cose” ad esaltare l’emozione di scoprire l’importanza di un linguaggio altro che la sensibilità poetica ogni giorno ti riservava in una solitudine “inarrestabile come marea”.

E, infatti:

non la filosofia

o l’esempio

o i lunghi discorsi.

Sono le quasi invisibili cose.

Il leggero tremore delle mani

la linea discendente delle labbra

la curva pura del dorso

la ciocca dei capelli che ricade sulla fronte.

Questo mi manca

e taglia l’anima come una lama

in questa solitudine che sale

inarrestabile come marea…

Tu come l’albatro baudelairiano ad avvertire tutta la solitudine che il mondo riserva ai geni perché i più non riescono a uguagliarne il volo, fermandosi ciascuno ad altezze diverse secondo i diversi mezzi creativi che ha a disposizione o riesce ad affinare per non precipitare. Ma per quelli come te, protesi verso gli altri, in un impeto continuo d’amore, è una solitudine che sanguina e procura intenso dolore, avvertita più come sconfitta della propria umanità che non come privilegio e monopolio di unicità.

Di qui il tuo rifugiarti in Dio, tuo tormento e tua forza, nall’agognata Sua carezza a renderti finalmente appagato e in pace con te stesso:

Signore dimmi

Cosa ancora

 Devo cercare

In questo deserto di anime

Per essere infine sereno… 

E, infatti:

Come se stanotte

Dio avesse premuto un tasto

nella mia mente

La gioia è tornata.

La luce si è riaccesa

e anche il ricordo

di tutti voi partiti si è fatto dolce

e non più straziante.

Sembrate sorridermi

dagli infiniti fotogrammi

della mia vita passata

indicandomi di continuare il cammino.

L’aria è luminosa di una gioia nuova

nata nel profondo della notte

quando Dio mi ha toccato l’anima.

Dunque, mio carissimo Giovanni, la Grazia divina è scesa sul tuo capo, quando più buia era la notte. E Dio ti ha concesso di partecipare alla Sua Bellezza, accendendo per te una LUCE particolare che Egli irradia nell’anima dei Suoi figli, che sanno vederla in vigile ascolto della Sua chiamata. Tanto che persino l’assenza dei tuoi cari, che profondo tormento e strazio ti aveva procurato nei passati giorni, ora è un gioioso canto di impalpabile tramonto dorato. Dio, punto centrale della tua vita e dell’universo intero.

Ma ci sono ancora tante altre tue poesie che parlano di come Lui ti abbia preso per mano per condurti alla Sua presenza che è LUCE senza fine.

Le riprenderò, te lo prometto, perché tutti sappiano di te oltre la tua stessa fama e il tuo luminoso ESSERE nel tuo “eterno presente”.  

E vorrei concludere, almeno per oggi, con una poesia che Angela Strippoli, straziata come me, come tutti noi, ti ha dedicato.

È morto Gastel?!

 

Il maestro

Il poeta

Il sognatore

La Fotografia

 

La notizia è scioccante

Paralizza

Disarma

Ha il rumore struggente del vuoto

Nella città immensa

 

Ci ritroviamoorfani increduli

Angeli persi nella notte che ci silenzia

 

Sono le cinque del pomeriggio

Ed è buio pesto

 

Gastel è in volo

 

Il poeta di animo nobile

Attraversa la luce

 

Il sognatore

Deposto il macabro lenzuolo

Ascende

Con i suoi Angeli Caduti

In Cieli nuovi e Terre nuove

 

Il volo è gentile

Impercettibile

Quasi ne fosse esperto

 

Forse sorride

Forse canta

Forse è malinconico

Per quel perfetto imperfetto

Che è l’umano

 

Icaro è con lui abbracciato

Così mi piace pensare

 

Gastel è armonia

 Nel suo obbiettivo si fa strada il cielo

 Che a noi si estende

 

“Un eterno istante” la sua vita

Già un istante eterno tra noi, con noi, per noi.

A domani col nostro Retino. Grazie e vi abbraccio tutti.

 

 

giovedì 11 marzo 2021

Giovedì 11 marzo: le altre poesie che il Retino ha catturato...

 Mi piace ancora riportare qui altre voci di Donne, pescate dal mio Retino su FB. Sono voci molto interessanti che parlano in forma poetica diversa, ma con un contenuto che ci sfiora o ci attraversa per un comune sentire che ci rende amiche e compagne di strada in questo viaggio che chiamiamo vita.

Mi chiedi quanti anni ho?/ Ho l’età per coglier e la differenza/ tra sogni e illusioni,/ e continuare a sperare ancora./ Ho l’età per contare le ferite e/ cicatrici sul mio corpo,/ma il cuore intatto della bambina/ che ero e che sempre sarò./ Ho l’età per voltare le spalle/ a chi non merita la mia fiducia,/ e per continuare a camminare/ mano nella mano con chi ho/ scelto di amare./ Ho l’età dei capelli bianchi/ che intreccio quando sono/ preoccupata o triste,/ e la chioma ribelle e libera/ della guerriera che abita in me./ Ho l’età dei silenzi,/ dei bisbigli d’amore e delle parole/ taglienti./ Della luna che guida i passi nel buio/ e del vento che disperde gli inutili chiacchiericci./ Del sole di prima mattina, quando/tutto si risveglia/ e dei lunghi tramonti, quando/ le ombre si cercano./ Sono una donna./ e per questo non ho età./ Strega, bambina, vecchia saggia/ e adolescente innamorata, madre,/ amante, moglie e figlia./ Quanti anni ho?/ Prova a contare gli anni della vita… (Margherita Roncone)

(da 8 marzo 2021 POESIA. ‘PANE QUOTIDIANO’ a cura di Maria Pia Latorre e Ezia Di Monte).

La poesia di Margherita Roncone non ha bisogno della mia lettura interpetativa tanto è chiara nelle sue meravigliose metafore, in versi solo apparentemente semplici. Tutte le età della vita racchiuse nei due estremi che siamo e conserviamo dentro come il caleidoscopio di noi: il “cuore intatto della bambina” innocente e luminosa di sogni; la donna giovane che sanguina di “ferite e cicatrici” appena appena rimarginate; la donna matura che ha “l’età per voltare le spalle” a un passato tutto da dimenticare per rinnovarsi e realizzare l’amore vagheggiato; la donna dai “capelli bianchi”, pacificata con sé stessa e col mondo e pronta a riconoscersi in tutte le età, compresi i ruoli e le  amate/detestate fatiche, le volontarie/ involontarie omissioni, e tutte le esaltazioni e gli abissi  per viverli nella perfetta imperfezione che connota ciascun essere umano. Senza genere e senza catene.

Grazie infinite a Margherita Roncone, che spero mi perdoni per questa inevitabile “cattura”… e grazie a Maria Pia Latorre e a Ezia Di Monte per avermela fatta conoscere.

Ed ecco dei versi profondissimi nella loro essenzialità formale di Anna Mininno:  

Mi stringo tra le braccia/ - solo io posso farlo -/ e riconquisto parole d’amore/ per me e per te/ che vivi nella distrazione…// Oggi, che il tempo si misura/ in briciole di respiro,/ oggi mi curo di me/ e di riflesso di te/ che mi passi accanto// Oggi che non so se/ il sole la luna le stelle/ ci faranno buona compagnia/ ma so che insieme,/ potremo non aver paura (Anna Mininno)

Dalla profonda solitudine iniziale la poetessa sa emergere perché possiede le chiavi del suo cuore che germina parole d’amore: àncora di salvezza per sé e per il suo “distratto” compagno di giorni sempre uguali. Se non fosse per la creatività che alberga nella mente di chi ama le parole e sa come usarle per cantare e per celebrarsi in un racconto di sé che si fa memoria e storia del mondo, tutto questo non accadrebbe e tutto rimarrebbe immobile e stagnante in una palude di indifferenza. Fondamentale, però, è imparare ad amarsi per conoscersi meglio e poter scoprire i fili luminosi da intrecciare per costruire gòmene d’amore e scoprirsi “insieme” con tutto il coraggio che serve per vincere la “paura” e continuare a vivere e a sperare, in un mondo che ci sgomenta di lutti e di cattivi presagi, gettandoci nell’abisso di un presente desertificato di buoni sentimenti. Un presente di ogni devastante solitudine subìta e non agìta. Essere “insieme” in un arcipelago che è salvaguardia di singole identità nel quotidiano confronto con gli altri è fondamentale. Ma già essere in due è conforto per il cuore, nella incertezza di sogni e desideri che possono essere ormai lontani in uno spazio siderale senza confini… E Anna è un invito bellissimo ad essere in due, ma anche “insieme” che è un dilatarsi verso… nella coralità. Con preziosi fili di seta (i suoi versi) ad annodare anime…  

Infine: Non potarmi i rami,/ vibratile antenna/ di giunco, ché così dolce,/ dolce brilli, oh speranza,/ oh stupore d’infanzia!/ Non scuoter le mie fronde/ non affrettarti a scomparire./ Dammi ancora/ il ruscello dei giorni,/ un sogno adagiato/ sul cuscino delle notti./ Dammi il libro-mare,/ il libro-tempo,/ il libro-vita./ Dammi la gentilezza/ della tua fragile mano/ quando crescerà ruvido/ e maldestro il pensiero/ d’una vela riversa/ sulla riva… come una stella,/ come una conchiglia./ Son io forse un pescatore? (Antonella Coletti)

Altro registro poetico per altro contenuto, ma uguale anelito da parte dell’autrice a farsi parola nel “ruscello dei giorni”, quando è ancora tutto intatto, inizio di un percorso lieve che ha ancora “un sogno adagiato/ sul cuscino delle notti”. E quella parola si moltiplica, nella supplica/invocazione di Antonella, fino a farsi “libro-mare,/ libro-tempo,/ libro-vita”. E mi torna alla mente il libro-mare-corpo-coltello di Massimo Recalcati (cfr. A libro aperto, Feltrinelli) nella significazione legata alla lettura che prelude sicuramente alla scrittura e viceversa in una simbiosi perfetta a regalarci storie, che ci restituiscono le vele e la riva, una stella marina a scoprire i tesori nascosti nei fondali o una conchiglia a riportare all’orecchio le voci del passato e del presente in un ritorno alla personificazione di un giunco-stupore d’infanzia e del tempo-vento che tutto trascina con sé in una età senza età che pure è, nella sua essenza profonda, da pescare e ripescare ancora. Sia pure col dubbio che rimescola ogni volta le carte… Antonella da applauso, come sempre.

E per oggi questo è tutto. Spero sempre di ricevere i vostri commenti. Altre poesie. Altre parole da catturare “insieme”…

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

lunedì 8 marzo 2021

Lunedì 8 marzo 2021: la donna, fonte di immortalità per il genere umano (cfr. U. Galimberti)

Oggi conviene parlare della donna non perché sia la sua festa ma proprio perché è la sua festa nella sua commercializzazione che non ha nulla a che vedere con la sua essenza, la sua anima. Ecco noi, nel nostro blog, vogliamo parlare della donna nella espressione sua più alta di Persona, che è dono di sé a sé stessa per essere in grado di donarsi e di donare agli altri. E colgo l’invito giuntomi ieri mattina da Mariateresa Bari, sempre preziosa interlocutrice ormai, anche se si lascia trasportare volentieri dall’entusiasmo verso me e verso tutti perché è essenzialmente una Donna d’Amore e l’Amore comporta anche tanta passione e condivisione, “tra entusiasmo e follia”, come sostiene Umberto Galimberti, a cui dobbiamo le nostre riflessioni: Buongiorno, cara Angela! Spalanco gli occhi, come sempre e mi nutro del tuo affondare con le parole nel Sapere. Bellissima la distinzione tra individuo e persona. Ne farò tesoro! In quanto a quella tra poeta e poetessa, mi schiero anch'io a favore del femminile che, da sempre, difendo. C'è una sensibilità, un vissuto, un dolore che è solo donna. Non può essere declinato. Come dice Galimberti, (che ci descrive come creature vicine al divino, in quanto detentrici del potere della creazione), " l'uomo è uno, la donna è due". E per questo rimando ad una sua interessante lezione sul mito di "Amore e Psiche". Sempre grazie Angela! Ed io colgo al volo questo tuo implicito invito a parlarne, mia carissima Mariteresa. E lo faccio volentieri. È un argomento che mi sta molto a cuore e Galimberti è il mio punto di riferimento culturale e umano sin dagli anni Ottanta-Novanta credo, se non ricordo male, quando su D di Repubblica leggevo le pagine della sua Rubrica che conservavo gelosamente e che fanno ancora oggi parte di un faldone religiosamente custodito. Da quelle letture nacque la curiosità per i suoi saggi, che vado collezionando man mamo che vedono la luce. Sul nostro argomento “DONNA” molto importante è consultare Le cose dell’amore, Feltrinelli 2004.
Ma, rivisitando la Donna attraverso la Storia della Letteratura mondiale e tutte le altre espressioni artistiche, dalla Pittura alla Musica, alla Scultura, al Teatro, ci rendiamo conto che, nonostante le numerose voci di GRANDI DONNE nella storia dell’umanità, da Saffo ai nostri giorni, si è trattato pur sempre di una donna cantata in queste molteplici forme dall’uomo, ma poco da lui riconosciuta quale forza ostativa e pugnace nel cantare sé stessa e rivendicarsi al suo cospetto (e non vado a scomodare le varie forme di matriarcato già presenti nei tempi lontanissimi degli uomini primitivi, né le Amazzoni, le donne guerriere della mitologia greca, tra realtà e fantasia). E così l’uomo ha continuato a vederla solo con le sole caratteristiche di seduzione fisica che l’universo razionale maschile gli concede di scoprire e comprendere. Inevitabilmente ne viene fuori l’immagine di una donna a metà. Mai del tutto falsa. Mai del tutto vera. Sta di fatto che una donna è molto di più, delle singole tessere che gli uomini hanno presentato e presentano al mondo non per incapacità nel definirle in maniera diversa e completa (cosa del resto impossibile per la sua misteriosa imprendibilità), ma per l’impossibilità dovuta essenzialmente al loro pensiero logico-matematico che è in eterno conflitto con la natura erotico-romantico-creativa e generativa femminile, di cui non possono assolutamente cogliere l’anima, molto più complessa della loro natura razionale, rivolta perlopiù ad affermarsi nel contesto politico-sociale, e semplice e chiara come la luce del giorno. La donna, invece, è notturna e misteriosa, lunare, fredda e lontana solo in apparenza perché poi ha quotidiane maree ad attirare a sé le forze marine sotterranee e in superficie, che solo la donna conosce e può rivendicare per sé e per le altre, assegnandosi il valore incommensurabile della sua indispensabile presenza nel mondo. Valore, dovuto alla cognizione profonda e inviolabile del suo potere di immortalità che può regalare o negare all’umanità. Ed è questo valore che le donne da sempre rivendicano. Unito all’amore oblativo che le porta a donarsi senza riserve e calcolo alcuno agli altri, in ogni ambito della loro esperienza umana, sociale, culturale. E l’amore ha il potere di cambiare il mondo e di renderlo sicuramente migliore con il sostegno e la forza dell’uomo al loro fianco, non un passo avanti o indietro o in altra direzione. Ed è la Donna, oggi, che scientemente e sapientemente gli porge la mano per tranquillizzarlo nel suo nuovo ruolo di “compagno alla pari” e per affrontare insieme con coraggio e determinazione le battaglie della vita e venirne fuori vincitori. È questa la Donna a cui rendere quotidianamente omaggio in trecentosessantacinque 8 marzo all’anno…
Ne riparleremo con altre voci, altri commenti, altre poesie, che il Retino ha raccolto questa mattina grazie a Maria Pia Latorre e alla sua già citata e benemerita rubrica quotidiana… ma anche con altre voci molto significative presenti su FB. E, perché no, anche con le canzoni. Una per tutte: l’ultima cantata da Ornella Vanoni “Un sorriso dentro al pianto”, che ciascuna di noi potrebbe fare sua… A domani col nostro Retino e con i nostri autori alle prese col Sentimento della scrittura e non solo… ciao.

sabato 6 marzo 2021

Sabato 6 marzo 2021: parole da condividere e su cui riflettere insieme...

Questa notte ho riflettuto a lungo su due parole che amo: POETA e PERSONA. Ma non amo: la poeta e l’individuo, che fanno capo alle prime due. La prima parola, pertanto, è POETESSA. E, pur nel rispetto delle scelte altrui, dico il mio perché sulla mia scelta di continuare a prediligerla: per quanto riguarda il termine “poeta”, una millenaria tradizione d’uso lo ha declinato al femminile: poetessa. Poi, verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso (ma già qualche antesignana si era ribellata alcuni decenni prima), per combattere il “sessismo” nella nostra lingua, ci fu chi propose, persino a livello ministeriale, di usare “poeta” per entrambi i generi, anche in riferimento al fatto che poeta, di derivazione latina (poeta-poetae), aveva già la desinenza femminile pur avendo significato maschile. Si era ancora in clima di femminismo esasperato e la proposta venne da più parti accettata, con le dovute eccezioni. Ebbene, io faccio parte delle eccezioni perché: 1) la poeta o le poete mi sembra poco calofonico per non dire che è cacofonico e a me piace la bellezza della parola; 2) perché ritengo che “consegnandoci” al termine maschile non facciamo altro che perpetuare, nell’intento di ribellarci, proprio quel maschilismo non soltanto linguistico ma anche socio-culturale che vogliamo combattere e debellare. A rifletterci su mi sembra davvero un paradosso. Certo, so benissimo che la lingua è un organismo in eterna evoluzione con i tempi e l’uso dei parlanti, e accetto volentieri i neologismi che sono segno di creatività e di rinnovamento, ma solo se alla fine abbiano un minimo di coerenza con la grammatica e la sintassi italiana. Sappiamo del dibattito ancora in corso su alcune parole come sindaco-sindaca, assessore-assessora e così via, ma qui ci troviamo di fronte a nomi maschili che non hanno il corrispondente femminile e quindi, a mio parere, ben vengano al femminile con la desinenza maschile cambiata in “a”, ma non così per poeta, sacerdote, dottore, professore… E sono anche note alcune parole, derivanti dal greco, che sono invariabili (acrobata, pediatra, farmacista, dentista, musicista, pianista, violinista, artista, concertista ecc. perlopiù legati al mondo dell’arte e dello spettacolo. Necessariamente valgono per entrambi i generi. Non così poeta, ribadisco. E non è certamente una “deminutio” dispregiativa conservare la “essa” al femminile solo perché ci hanno condizionato certi film degli anni Settanta-Ottanta comici e un po’ scollacciati (con Lino Banfi, Alvaro Vitali, Edwige Fenech…),  che ironizzavano appunto su “professoressa, dottoressa, soldatessa”, oppure certe remore di critici letterari un tantino arroganti che ritenevano sin dai primi decenni dell’Ottocento di scarsa rilevanza letteraria la poesia delle rare donne che osavano cimentarsi con i versi, perché ritenuta “debole” in quanto legata al sentimento e al sentimentalismo svenevole di quegli anni. Così “poetessa”, anche per alcuni critici del Novecento, definisce una fanciulla che scrive poesie tenui, poco ambiziose e poco efficaci, senza il nerbo della razionalità, prerogativa - sostenevano e forse sostengono, molto arbitrariamente - del genio poetico maschile, per cui risultò indigesto conservare la “essa” a molte poetesse che hanno fatto la storia poetica del Novecento (vedi - come ha ricordato Maria Pia Latorre alcuni giorni fa nella rubrica quotidiana che conduce con Ezia Di Monte: Poesia. ‘Pane e… Quotidiano’ - la poetessa russa Achmatova che preferiva farsi chiamare al maschile). Biancamaria Frabotta, invece, così scriveva negli anni Ottanta: “poeta o poetessa? Non come te poeta io sono?/ io sono poetessa e intera non appartengo a nessuno”. Concordo con lei. Dunque, dipende dalla nostra personalità, dalle nostre convinzioni, dal nostro retroterra socio-culturale, dalle letture di cui ci siamo nutrite. Ma io continuerò a scrivere poetessa.
L’altra parola è PERSONA contrapposta a individuo. Perché preferisco persona? Per alcuni motivi che ritengo molto validi. Ma naturalmente è una mia opinione.  Persona: è l’uomo nella sua interezza di anima e di corpo (il sinolo aristotelico?), nella sua significazione più profonda di consapevolezza di sé e del proprio destino in rapporto continuo con gli altri. E, visto che ieri nel Retino si è parlato di “ponte”, mi piace definire la persona un ponte, perché presuppone una relazione, un rapporto, un legame un “essere con e per”. “La persona è quel punto particolarissimo in cui si incrociano tutti i fili dell’universo”, qualcuno ha scritto ed è una definizione che mi piace molto. Al di là delle tante teorie teologiche, filosofiche, psicologiche, bioetiche e psico-pedagogiche, oltre che socio-culturali e antropologiche che hanno definito e continuano a definire la persona. Ma non mi azzardo a parlarne per mancanza di conoscenza approfondita, anche se la mia formazione risale alla riflessione condotta sulla persona da Jacques Maritain e al personalismo cristiano di Emmanuel Mounier fino a Martin Buber, Simone Weil, Paul Ricoeur, e tutti filosofi francesi ermeneutici di ultima generazione, per i quali la persona è in continuo divenire nel suo essere “una e molteplice insieme”. E proprio per questo non può essere definita “a priori”. Essa è in continuo mutamento evolutivo, come “fonte di energia e creazione, un movimento incrociato di interiorizzazione e di dono” (vedi Mounier), che attraversa il mondo con il suo bisogno di amore e di tradurre questo suo amore nel fare qualcosa per gli altri, dandosi valori anche trascendentali.
L’individuo, invece, tende a chiudersi in sé stesso perché non ha legami né ideali. Alcuni sostengono che si nasca individui e si diventi persone. Non sono d’accordo. Provengo dalla lezione di Don Gino Corallo, antico e indiscusso docente di Pedagogia dell’Università di Bari negli anni Sessanta-Settanta. Per lo studioso la persona è tale sin dal suo concepimento. So che oggi ci sono molte correnti di pensiero che contraddicono le sue teorie. Sta di fatto che l’individuo è qualsiasi cosa indivisa in sé stessa, ma divisa da ogni altro da sé. In pratica, è una monade senza porte né finestre di leibniziana memoria. È un’isola, mentre la persona è un arcipelago. L’individuo “è un solo unico filo” che si attorciglia su sé stesso; la persona è consapevolezza della sua identità e molteplicità. La persona ha una sua sacralità che l’individuo non possiede. Ecco perché io sono per la persona. Mi piacerebbe confrontarmi col vostro parere riguardo alle due parole da me prese in esame. Serenamente e nel rispetto del pensiero di tutti.
Ed ora vorrei rinfrancarmi e alleggerire quanto detto sin qui riportandovi un bellissimo messaggio che mi è giunto da Mariateresa Bari e che penso ci riguardi tutti:Quali incantevoli creature si incontrano in questo tuo salotto, Angela! Il mio grazie a Francesca per la sua lettura multisensoriale della lirica di Amelia Rosselli, cui accosterei un ascolto Vivaldiano. La sua famosissima Primavera è il primo dei quattro concerti per orchestra d'archi. Ed è introdotto da un sonetto composto dallo stesso Vivaldi per commentare la musica. Il primo recita cosı̀: Giuntʼè la primavera e festosetti la salutan gli augei con lieto canto; e i fonti allo spirar deʼ zeffiretti con dolce mormorio scorrono intanto. Vengon comprendo lʼaer di nero ammanto, e lampi e tuoni ad annunziarla eletti. Indi tacendo questi, glʼaugelletti tornan di nuovo al loro canoro incanto. E quindi sul fiorito ameno prato al caro mormorio di fronde e piante, dorme ‘l caprar col fido can al lato. Di pastoral zampogna al suon festante danzan ninfe e pastori nel tetto amato di primavera allʼapparir brillante. Ma ciò che costituisce una corrispondenza con la lirica della Rosselli è proprio la musica che si apre con una luccicante e realistica imitazione del cinguettio degli uccelli affidato al violino solista. Improvvisamente delle note ribattute con violenza. È la minaccia di tuoni, fulmini e nuvole nere in lontananza. Avevi ragione. Nulla accade per caso... un abbraccio e sempre grazie!”
Ancora una volta mi spiazzate e mi fate felice con i vostri interventi che integrano meravigliosamente ogni altro intervento tanto da dare un’idea olistica del momento culturale che respiriamo insieme in ogni nostro incontro che mai si conclude, ma è sempre aperto al dischiudersi di nuovi e più ampi orizzonti in un Tutto in cui si muove la nostra esperienza umana. E mi piace ripotare a questo riguardo quanto ha postato sulla sua pagina Valeria Rossini. Quasi una involontaria (involontaria?) risposta al Retino di ieri sera. Parole che costituiscono il mio credo da anni. Fanno persino parte del mio secondo romanzo, III vol., ancora da pubblicare. In funzione di una fine sempre annunciata e mai conclusa perché “per ogni fine c’è sempre un inizio” è il saint-exupéryano (?) e wagneriano leitmotiv dell’intero romanzo: Di tutto restano tre cose: la certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire. Pertanto, dobbiamo fare dell’interruzione un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte, del bisogno un incontro (Fernando Pessoa).
Ma ci sono tante altre poesie e tanti altri commenti finiti nel mio blog e nel nostro Retino. Spero di postarli e commentarli un po’ per volta. Per non stancarvi. Io scriverei 24 ore su 24. Scrivere mi rilassa e mi rende felice.
A presto. Buona domenica di quasi primavera…   

giovedì 4 marzo 2021

Giovedì 4 marzo 2021: in risposta ad alcuni suggerimenti come carezze d'anima...

Mi sono giunti in questi ultimi giorni dei messaggi molto belli e significativi da alcuni amici affezionati al Retino e a questo blog. Sono per me gocce di rugiada che l’alba mi regala per continuare a scrivere e a sollecitarvi a scrivere perché desidero che il mio spazio diventi in “nostro” spazio per stare insieme nella stessa casa, dove è fermento la parola di tutti e faciliti nuovi incontri verso orizzonti sempre più ampi e ricchi di magia. Quest’ultima per me è indispensabile quanto il coraggio, per andare avanti con forza e leggerezza.

Giulia Basile, riferendosi a quanto detto l’altro ieri, mi scrive: Grazie Angela, non potevo meglio cominciare questo mese di marzo se non con questo tuo corposo e meraviglioso scritto nel quale la parola poetica "naviga", come tu dici, in un'aria leggera carica di promesse. Grazie anche alle poete da te scelte portatrici di grande luminosità, e alla prossima.

Come non far tesoro di questa “navigazione” insieme. Il libro di racconti di Giulia è uno straordinario esempio di coraggio e leggerezza che connota le tante protagoniste di Naviga la parola e consuma Amore  (SECOP edizioni 2021): un viaggio fisico, psicologico, metafisico in altre direzioni e dimensioni in un andare senza meta alla ricerca di sé. Bellissima è la condivisione: il ritrovarci in unità d’intenti, ognuno/a con la sua voce. E “navigare” è un verbo che si è impigliato nel mio retino ed è innanzitutto un infinito presente o un presente infinito che mi piace molto di più, mi dà l’idea dell’andare per mare in un tempo che rende infinito e quindi senza tempo il presente.

E Vito Di Chio mi suggerisce: Come non condividere le tue impressioni e riflessioni sull’AMICIZIA. Angela? Con delicate pennellate poetiche hai messo bene in risalto la dimensione etica che caratterizza questa meravigliosa, forte e fragile relazione tra le persone. Avrei pubblicato tutto il testo poetico di Khalil Gibran, dal quale traspare la ricchezza della mistica e della poesia orientale. L’amore gioca un ruolo importante in questa relazione. C’è una osservazione di Theodor W. Adorno che fa luce su questo ruolo: “Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”. La debolezza e la forza si trovano nella relazione amicale in un momento di tensione altissima, laddove sia l’una che l’altra sono in grado di far frantumare quel miracolo di leggerezza che è l’essere amato o di portarlo alla luce, esaltandolo e dandone testimonianza. Il mostrarsi (… dove puoi mostrarti debole) è legato al linguaggio dei segni, a ciò che rinvia quindi al di là di sé stesso, che non ha nulla a che fare con ciò che celebra l’io e lo isola. Solo in questo modo la debolezza non è una forma di svilimento servile, ma di superamento di sé stessi, di coinvolgimento dell’altro. Non è neppure una forma strategica di tenersi in riserva la forza per momenti più opportuni, ma la consapevolezza che la relazione affettiva è segnata da un dono reciproco, raccolto da mani che sanno accogliere - non da mani che sanno costruire solo funzionalmente un rapporto. Questa “meditazione della vita offesa” tradisce con chiarezza il bisogno di trascendere una semplice forma di convivenza, che umilia i rapporti: quel mettersi in gioco per sopravvivere ed emergere; quel tipo di comunicazione che è dominato dagli affari, dai ruoli, dalla funzione, per cui ogni relazione tra le persone rischia di essere mercificata. La riflessione di Adorno contiene in sé la sfida ad aprirsi, disarmato, all’altro - senza condizioni, ciò che include la fede nel totalmente Altro, nel quale solo la debolezza è forza e la forza è capacità di amore. (Vito Di Chio)

E raccolgo il suggerimento di Vito di pubblicare il resto della poesia di Gibran che tanta parte ha avuto, la volta scorsa, nelle mie e nelle sue riflessioni:

Quando l'amico vi confida il suo pensiero,

non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo.

E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore:

Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa

nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia.

Quando vi separate dall'amico non rattristatevi:

La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate,

come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura.

E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito.

Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero

non è amore,

ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.


E il meglio di voi sia per l'amico vostro.

Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea,

fate che ne conosca anche la piena.

Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?

Cercatelo sempre nelle ore di vita.

Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.

E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia.

Poiché nella rugiada delle piccole cose

il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.

Niente di più vero quando l’amicizia è vera. E niente è più misteriosa e profonda della nostra essenza più intima e nuda che solo l’amico/amica può e sa cogliere senza stupirsi o scandalizzarsi e senza fare domande per dare risposte: entrambe sono racchiuse nel silenzio che urla o racconta o sussurra per chi sa ascoltare.

E Maria Pia Latorre mi raggiunge col seguente “capogiro” reciproco di parole: E per me giostra da capogiro la tua analisi. Angela, hai questo dono straordinario di penetrare le parole! Entri nella profondità del testo e nel sentimento di chi scrive con una naturalità che continuamente sorprende. Lo stupore che viene dalle tue parole, dalla tua sensibilità è nel mio cuore. Grazie!

Grazie, Maria Pia carissima, ti confido un segreto, che forse segreto più non è, ma è la mia verità in quanto “mia percezione” della realtà: da quando sono stata tra la vita e la morte in questi ultimi due anni spesso ho ancora dei vuoti di memoria improvvisi, ma per fortuna brevi, che io tento con tutte le mie forze di colmare, convinta come sono che i vuoti sono una sfida per rinascere con sensi e segni da reinventare giorno dopo giorno. Ebbene, questa premessa serve a dirti che la mia capacità di lettura del pensiero altrui è una “dono magico” che mi ritrovo “per grazia ricevuta” sin da quando ho cominciato a scrivere per me e per gli altri. Prestissimo. Praticamente da ragazzina, commentando all’improvviso i versi dei grandi poeti che studiavamo a scuola. E oggi, nonostante i momentanei vuoti che a volte mi fanno paura e mi creano indicibile ansia, basta sedermi al computer con un testo da analizzare per “ricevere” le parole che scrivo di getto e che quasi mai modifico (perché subito diventano un altro pensiero che naviga in me parallelo al primo), senza soluzione di continuità, ma non per merito mio. E non lo dico per falsa modestia. I miei di casa di ieri e di oggi possono tranquillamente confermare. Il merito è del Suggeritore che mi dona sistematicamente le Sue Parole, che quasi sempre “leggono” nella emozione della mia anima per farsi conoscenza profonda dell’anima degli altri, celata nelle loro varie scritture. Di qui recensioni e prefazioni a profusione e saggi critici, moltissimi dei quali mai pubblicati. Per innumerevoli ragioni. Ed io mi sorprendo davvero ancora oggi di questo DONO IMMENSO e ringrazio quotidianamente il buon Dio e mi sento un frammento infinitesimale del suo Amore, che vorrei donare agli altri, pur sentendomi sempre in debito con tutti per l’amore che ricevo a piene mani…

E Francesca Pice mi fa dono del seguente capolavoro che mi lascia senza parole, sopraffatta dall’emozione: Carissima Angela, ti ringrazio per avermi dedicato i bei versi di Raffaella, ma ancor più per avermi concesso, degli stessi, una interpretazione così puntuale, che fa cogliere nelle sue sinestetiche immagini tutti i sentori della Primavera che è alle porte. Il tuo retino è sempre ricco di magico in-canto, cattura silenzi che avvolgono parole e veicola un messaggio che mi sta molto a cuore, ovvero che la Poesia educa alla complessità, al dialogo e al confronto, perché l’interpretazione di un testo è una finestra aperta su ciò che è multidimensionale, problematico, non concluso, e sprona a fare i conti con l’incertezza e la pluralità delle suggestioni.

Veniamo alla poesia di Amelia Rosselli su cui ti sei soffermata, cogliendo i tratti luminosi e vivificanti di una pioggia ‘appesa nell’aria’ di un tempo indefinito, a cavallo tra presente e passato.

Soffiati nuvola, come se nello stelo / arricciato nella mia bocca / fosse quell’esaltazione d’una primavera / in pioggia, / che è il grigio che ora è / era appeso nell’aria… / … E se paesani zoppicanti sono questi versi / è perché siamo pronti per un’altra storia / di cui sappiamo benissimo faremo / al dunque a meno, / perso l’istinto per l’istantanea rima / perché il ritmo t’aveva al dunque / già occhieggiata da prima”.

Voglio offrirti un’altra misteriosa corrispondenza, forse inattesa.

Quel collegamento straniante tra la nuvola, lo stelo in bocca e la primavera piovosa, riconducono ad un quadro memorabile, tra i massimi capolavori del Rinascimento italiano: La Primavera di Botticelli. Se si legge il dipinto da destra, si nota Zefiro che raggiunge e abbraccia Clori. La Ninfa poi appare nuovamente, a sinistra, nelle forme di Flora vestita di fiori. Al centro sono raffigurati Venere e Cupido che scaglia il dardo d’amore. Le tre Grazie danzano sulla sinistra vestite con veli trasparenti. Mercurio infine alza il braccio destro e con il caduceo tocca una nuvola. E così il prato è cosparso di fiori ed erbe: è davvero giunta la Primavera!

Una bellissima allegoria della fecondazione, che dipinge le capacità generative di una stagione che trova nella pioggia un elemento propulsore. Ut pictura poesis. I versi della Rosselli sono un tumulto di parole che trovano nel brillio della pioggia il senso dell’attesa, e dicono tutta l’inquietudine di chi aspetta il risveglio della vita. Perché, come dice Pasolini, la pioggia ti cala nel mare dell’inconscio e ti spinge a cogliere il nuovo che comincia per tutti, imponendoci di rinascere, di rifiorire sempre a nuova vita.

“[…] Ora sento in me un sapore di pioggia caduta,

ogni vivacità della vita ha uno sfondo di pianto.

Solo una forza confusa mi dice che un nuovo tempo

comincia per tutti e ci obbliga ad essere nuovi.”

Angela, mettiamola così... In linea con il ciclo idrologico, ovvero quel flusso continuo di acqua tra cielo e terra, mi piace pensare che la poesia della pioggia evapori, condensi e ricada ad alimentare gli animi assetati di vita attraverso nuova poesia. Non è forse questo il senso del tuo retino? Poesia genera poesia 

E io le ho risposto con tutta la mia ammirazione: Mia immensa Francesca, ho dovuto inforcare gli occhiali per poterti rispondere. Ma non potevo più rimandare a domani. Sono senza parole davvero dopo le tue favolose integrazioni al mio commento. Sì, è proprio questo l'intento ultimo del mio Retino. Certo, il confronto perché poesia generi Poesia. Ma tu mi hai letteralmente travolta con la tua cultura non soltanto letteraria, ma anche pittorica, con la tua sensibilità poetica che ha reso visibile l'invisibile, raccontabile l'ineffabile, andando alla radice di ogni possibile interpretazione di versi, intenzioni, emozioni. Devo riportare tutto questo profluvio di stupefacenti gocce d'acqua dissetanti e coinvolgenti nel mio blog. Sono appagata, felice, ammirata. Ancora GRAZIE. Ti abbraccio forte forte.

 Ho risposto a Francesca, ma desidero rispondere a tutti perché tutti voi mi donate una grande ricchezza, di cui faremo insieme tesoro nel blog e nel Retino. Niente accade invano. Anche gli incontri avvengono perché devono accadere. Io ne sono certa. Ed è una delle pochissime certezze che quotidianamente vado conquistando. Certe corrispondenze sembrano casuali e invece, a distanza, ci accorgiamo che sono causali. C’è un perché in tutte le nostre esperienze terrene. Almeno io ne sono sempre più convinta. Avremo modo di riparlarne. Buona giornata e a domani. Ciao.

 

lunedì 1 marzo 2021

Lunedì 1° marzo 2021: alcune poesie da scoprire o "riscoprire"

Oggi è il 1° marzo e nell’aria c’è già primavera con un tiepido sole e le gemme dischiuse del mandorlo e dell’albicocco nel giardino. Nelle aiuole, narcisi, fresie, tulipani, screziati di rosso e di giallo, e i primi girasoli ancora bambini e le gerbere ridenti di petali moltiplicati. Un tripudio di colori caldi che bevono i raggi dorati e si vestono di calore, di allegria. Pure, nell’aria c’è ancora odore di pioggia che sicuramente verrà…  Marzo è pazzerello, si sa, e già sta divorando l’azzurro per pennellare il cielo, complice il vento, di nuvole sparse e arcipelaghi di piume leggere. Eppoi, io ho voglia di riprendere tra le mani e nel cuore i versi di Raffaella, mia figlia, che parlano di pioggia e di poeti e di amicizia e di parole che contengono nuvole e vita. Mi piace molto. Ne assaporo l’anastrofe (“Della pioggia l’odore”) di ogni verso anaforico che ha cadenza capovolta di pioggia, di ritmo e sentimento. Discreto, della pioggia. Come l’ospite che giunge in anticipo e non osa disturbare quelli di casa, che hanno ancora qualcos’altro da sistemare prima dell’atteso incontro. E, nell’attesa, l’odore ha volute di danza, lievità di sogno ancora avvolto nel silenzio. Anche per questo appartiene ai poeti che ne avvertono il sentore istintivamente (come i cani che braccano la volpe). Preludio alle gocce che potrebbero già sopraggiungere, ma potrebbero anche tardare sulla soglia di ogni attesa o decidere di rimandare la caduta, “avvinghiandosi”, quale divergente e illuminante idea, “alla pelle come alla penna”, e vestendosi di malinconia, che non ha suono, ma è già tumulto di parole che lente precipitano sul foglio e si fanno poesia, in un ossimoro psicologico (“lenta e tumultuosa”) di immensa significazione: quelle singole lettere, a guisa di gocce, si compongono sulla pagina vergine nel tumulto dei sensi e nella lentezza della loro sedimentazione nel nodo del cuore, e prendono vita e suono e armonia e incanto e si fanno immortali per il solo fatto di essere nate (mirabile miracolo della creazione della parola come “divina incarnazione”), mentre l’odore è ormai di casa, nella casa dei poeti, ed è l’ospite d’onore alla mensa della creatività che tutto rigenera perché niente muoia mai del tutto…

Della pioggia l’odore/ nasce prima/ come l’ospite in anticipo/ che bussa senza insistere./ Va danzando spandendosi/ nell’aria in silenzio./ Della pioggia l’odore/ appartiene ai poeti/ che lo sentono arrivare/ alle narici golose/ subito/ come i cani che braccano la volpe./ Della pioggia l’odore/ è la porta d’ingresso/ che già bagna la terra./ Della pioggia l’odore/ è già malinconia./ Poi la pioggia/ potrà passare senza cadere/ ma l’idea di lei si avvinghia/ alla pelle come alla penna/ e sul foglio è già caduta/ lenta o tumultuosa/ versando parole./ Della pioggia l’odore/ nasce prima e rimane/ a pranzo nella casa/ dei poeti. (Raffaella Leone)

Avevo dedicato questa poesia a Francesca Pice, che della pioggia sente l’odore e il battito vitale in ogni piega della sua anima, sperando che ne traesse motivo per un commento. So che Francesca ha una vita professionale, familiare e socio-culturale intensissima e molto probabilmente non ha avuto, purtroppo, neppure il tempo di leggere il mio blog. Assente giustificata. Ma il mio Retino ha catturato proprio in questi giorni sulla sua pagina una stupenda poesia dedicata alla pioggia della grandissima quanto sfortunata Amelia Rosselli, quasi in risposta ai versi precedenti ed eccola qui: Soffiati nuvola, come se nello stelo/ arricciato nelle mia bocca/ fosse quell’esaltazione d’una primavera/ in pioggia,/ che è il grigio che ora è/ era appeso nell’aria…/ … E se paesani zoppicanti sono questi versi/ è perché siamo pronti per un’altra storia/ di cui sappiamo benissimo faremo/ al dunque a meno,/ perso l’istinto per l’istantanea rima/ perché il ritmo t’aveva al dunque/già occhieggiata da prima (Amalia Rosselli, da Impromptu, 1981).  

La nuvola è un fiore che sboccia dal soffio che la poetessa imprime allo stelo “arricciato” nella sua bocca, quasi “esaltazione d’una primavera in pioggia”, il cui grigio presente era già prima nell’aria (il suo odore?). Umilmente, Amelia definisce i suoi versi “paesani zoppicanti” perché incompiuti, anticipando, a metà del loro cammino, altre storie che probabilmente mai più saranno, ma che nell’aria ritmavano una musica che aveva già sentore di primavera. E non mi sembra più un caso, ma il segno di quella misteriosa corrispondenza che porta i poeti ad un sentire comune, ad abitare insieme la casa delle parole, cibo di cui si nutrono per riconoscersi e viaggiare insieme, a volte senza saperlo, e giungere alle stelle e andare oltre…  

Ed è così che mi vengono incontro i versi di Maria Pia Latorre tra lo “stridore di stelle cadenti”, che riportano gli astri in caduta libera verso la terra per accendere un sogno negli occhi di chi sa ancora guardare il cielo e si scopre un tutto nel  Tutto che ci abita e ci contiene, trasformando il sogno di uno sguardo nel sogno di un faggio che viene guardato: “SOGNO DI UN FAGGIO” è la poesia che contiene questo prodigio che è un inno panico e misterico alla natura nella sua imperfetta perfezione: Stridore di stelle cadenti/ t’acquieti silente/ nell’ostro d’oriente/ il buio mannaro/ ti sfiora all’addiaccio/non piange la foglia/ aerea si posa/ e il muschio di seta/ t’abbraccia la scorza/ Così anch’io/ abbraccio il tuo viaggio/ Che sogni, amico mio faggio?/ Un nido di bachi danzanti/ o tarli dorati ubriachi?/ La giostra notturna di assioli?/ Che sogni? Puoi dirlo?/ Intanto bulbose/ le braccia nel suolo/ catturano rocce/ fermentano vita perenne/ nel sonno del bosco silente/ T’abbraccio di slancio/ mi lancio nel verde/ ti stringo più forte/ la scorza mi è pelle/ stridore di stelle.

E sorprendente è anche il fondersi e il confondersi nella loro stessa reiterazione delle parole classiche come “silente”, “ostro”, “addiaccio”, “acquieti”, “giostra” in un avvilupparsi di sensazioni corporee e di emozioni della mente e del cuore (continui e voluttuosi enjembement) che s’inarcano, senza soluzione di continuità, ad abbracciare “il buio mannaro” e la luce del plenilunio, il gelo della stagione invernale e la foglia leggera che sa di primavera, “il muschio di seta” che sfiora di tenerezza le mani e la ruvida “scorza” dell’albero che ferisce la pelle, il “nido di bachi danzanti” e “i tarli dorati ubriachi”, in un concerto armonioso e dissonante di rime baciate, alternate, ad incastro, che si fanno giostra da capogiro di fusione totale e smemorante con la natura, e sinfonia di suoni melodiosi e stridenti, a rendere omaggio alla imperfezione di ogni realtà che il bosco materializza e nasconde tra le radici che s’incuneano nel suolo e le rocce che le proteggono. Nell’essere tutti in un insieme che è, ancora una volta, abbraccio di pelle e “stridore di stelle”…

“Insieme” è una parola che mi piace, è un avverbio che ha in sé il senso della compagnia, del fare gruppo, di essere amici. Ed è anche per questo che ho catturato su FB una insolita poesia (che è anche prosa poetica) di Rita Vecchi, sempre molto cara al mio cuore: “VIGILIA DI COMPLEANNO”: Renditi dono per gli altri/ e non avrai bisogno di orpelli/ Vivi il rinnovamento costante/ e non sarà necessario/ ricordare la data del tuo compleanno/ Apprezza ogni giorno le tue mancanze/ per ricercare invece quello che già possiedi,/ non considerandolo mai scontato.// Ritieniti straniera nei tuoi vestiti/ ma accogli nelle tue scarpe/ anche i passi degli altri./ Conserva quel tuo sorriso a volte dimesso,/ tra il malinconico e lo scanzonato./ Permettigli di celebrarsi nell’ironia/ degli occhi/ e non farlo affogare mai nel disincanto./ Accoglilo, purificato e arguto,/ e lascialo volare, di leggerazza amica./ Domani l’anagrafe segnerà una nuova età./ Abbracciala e ospitala nel cuore:/ c’è ancora spazio/ per altre stagioni/ e misericordia per i futuri errori,/ che certamente ci saranno.

È una esortazione a sé stessa e alla sua anima di poesia. Già l’esordio, infatti, rivela una sensibilità sociale e poetica non comune. “Renditi dono per gli altri”: è il dono rafforza già il significato del “darsi” del verbo “rendere” che è già di per sé un restituire, quasi un essere in debito con gli altri, accentuato oltre ogni dire dal riflessivo “rendersi”. E la reiterata esortazione investe la necessità di farsi “agente di cambiamento” per poter rinnovare il mondo migliorandolo. La necessità di non spaventarsi di fronte alle “mancanze” che contengono in sé il senso di ciò che manca e che crea inevitabilmente un “vuoto”, ma di “apprezzare” quello che “possiedi” che quel vuoto colma ed è esso stesso un dono per sé stessa e per gli altri. Ma il verso che lascia uno stupore di meraviglia e di inimitabile poesia è: “accogli nelle tue scarpe anche i passi degli altri”. E ci potremmo fermare qui tanto è umile e grandioso il senso “degli altri” nel suo e nel loro andare insieme, ma Rita non finisce mai di sorprenderci, tra la malinconia del suo dimesso sorriso e l’arguta, ironica sua personalità sempre alla ricerca di sé per mettersi in ombra più che in vetrina, nella esasperata consapevolezza della immancabile umana imperfezione che ogni possibile errore sottolinea ed evidenzia, confidando nella misericordia divina… In Rita tutto questo è segno di umiltà e coraggio che le fa onore, ma non le rende il dovuto merito che i tanti suoi lettori, per fortuna, le riconoscono. Sarebbe questo rivendicarsi come Donna nobile e fiera e delicata nonchè forte scrittrice e poetessa l’esortazione più giusta che Rita dovrebbe imparare a fare a sé stessa e alla sua poesia…

Per quanto mi riguarda, mi sento confortata dai vostri messaggi che mi confermano il nostro cominciare a sentirci e ad essere veramente “insieme” nel riconoscerci e nel riconoscere gli altri nelle nostre peculiarità e nelle nostre salutari e arricchenti “diversità”. Ecco un significativo messaggio di Mariateresa Bari in riferimento al mio blog di due giorni fa: La chiusa con l'amato Luzi toglie il fiato, Angela. Ma anche le tue riflessioni sul valore incommensurabile dell'amicizia. Che condivido. Anch'io continuo, nonostante le clamorose smentite (per usare le Tue parole) a sostenere la mia funzione ostativa. Da sempre e per sempre. Ecco alcuni miei versi di qualche giorno fa... “Se il cielo rovina”: Se il cielo rovina e non consola/ supina ai piedi del muro,/ di questo muro taciturno che è l'attesa, io guardo./ Minuscole particelle d'estasi/ frizzante assaporo nell'orizzontale. Sono prato che prega/ sentiero che conduce/ onda che pia sfiora/ e sommessa piange. Guardo e non mi do per vinta. (M. Bari)

Tutta da leggere e rileggere per riflettere su questo nostro tempo avaro di sguardi, di sorrisi, di abbracci, ma ricco di germogli e gemme, che annunciano con squilli di tromba di un mattino che è promessa di luce, la primavera tanto attesa. Preceduta ieri da rami fioriti di mimose che una giovane amica ha portato nella nostra casa a illuminare il giorno. Buon 1° marzo. Con tanto profumo di delicata femminilità nell’aria…

 

 

 

sabato 27 febbraio 2021

Sabato 27 febbraio 2021: l'AMICIZIA in POESIA...

dal Retino: venerdì 26 febbraio 2021

AMICIZIA

L’amicizia è, in linea di massima, come si è soliti leggere, un rapporto tra due (o più) persone che nel tempo hanno scoperto una carica emotiva particolare, fondata sull’affetto, la sincerità, la disponibilità reciproca ad essere comunque presenti per qualsiasi evenienza della vita (le “affinità elettive” goethiane?). I valori fondanti, dunque, sono: fiducia, lealtà, reciprocità. Per potersi fidare e affidare… per potersi esprimere e poter comunicare in assoluta libertà, anche litigando magari, e criticandosi a vicenda, ben sapendo che si tratta solo e sempre di una critica costruttiva per aiutarci a crescere e a maturare nuovi e più giusti comportamenti, soprattutto quando le sfide della vita si intensificano col passare degli anni e si ha bisogno di una mano di aiuto, di conforto, di speranza.

Tutto vero e condivisibile penso, ma l’amicizia, in cui io credo e confido, nonostante clamorose e dolorose smentite, proprio sulla mia pelle e di cui porto cicatrici indelebili, è forse anche di più. È più disinteressata, più forte e più tenace dell’amore perché nasce e cresce e si consolida lentamente nel tempo e perdura oltre il tempo stesso. Oltre lo spazio non condiviso. Non esplode d’improvviso come l’amore, soprattutto nella fase iniziale dell’innamoramento e non si nutre di forti emozioni che mettono il cuore in subbuglio con un totale stordimento della mente, e conseguente perdita del lume della ragione. E, anche quando diventa sentimento profondo, quest’ultimo rimane fragile come cristallo perché è sempre fonte altalenante di dubbi, di attese, di sofferenza per le mancate risposte in ugual misura alla propria intensità, che non è quasi mai reciproca o non rispetta quasi mai i tempi dell’essere effettivamente in due. Naturalmente, non si deve mai generalizzare. Ci sono fortunate eccezioni (che confermano la regola?). L’amore, tra l’altro, è necessariamente fatto di desiderio, di corporeità, di passione. Ed è tutto questo a renderlo ricattatorio e debole. L’amicizia, invece, quella autentica, è pura. Non chiede nulla oltre quello che dà. È silenzio e parola. È intesa e soccorso nel momento dell’urgenza di una mano, sia nella gioia che nel dolore. Anzi, secondo me (ma sono in buona anche se rara compagnia!), è più vera quando si gioisce insieme della fortuna dell’altro, della sua felicità, che potrebbe anche escluderci ma mai ferirci nella comprensione che l’amore ha bisogno di esclusività e di intimità. L’amicizia, invece, è un ESSERCI senza esserci. E ha risposte senza che ci siano domande. Utopia? Forse. Se per utopia intendiamo tutto ciò che potrebbe ancora verificarsi. Ma anche andando indietro nel tempo ci confortano i trattati sull’amicizia da Aristotele a Cicerone, dagli esempi tratti dal Vangelo a Dante fino ad alcuni saggi di studiosi contemporanei (Paolo Crepet, per esempio, e i suoi illuminanti saggi, vedi Solitudini, che è il contrario dello stare insieme con amicizia…). E che dire dei romanzi per adulti e bambini? Da L’Amica geniale di Elena Ferrante a Mille splendidi soli di Khaled Osseini, alla Gabbianella… di Luis Sepùlveda. Sono tutte voci autorevoli a conferma di quanto detto o ipotizzato sino qui, anche se oggi viviamo davvero sotto un cielo capovolto, in cui quelli della mia generazione non si ritrovano più. I social hanno imprigionato la vera amicizia per sdoganare quella senza fondamento e senza spessore affettivo ed etico. A questo proposito, Mariateresa Bari mi ha mandato sul blog una sua poesia molto amara. Una vera denuncia, urlata col cuore. Si intitola “Monologhi”: Girano voci caramellate attorno./ Ascolto./ Nessuna traccia di dialogo/ nella deflagrazione degli sguardi,/ nel tessuto armonico intossicato,/ da chiacchiere e veleno,/ nel silenzioso fragore del verbo dare./ Siamo monologhi che si urtano.

Ma io preferisco l’utopia e la voce dei poeti… anche quella dei cantautori, che sull’amicizia hanno scritto splendide canzoni… Sono possibilista più che ottimista.

Ed ecco alcuni Versi, che dedico a Nico, ma anche a tutti noi. Nella speranza che anche tra noi questo sentimento rarissimo ma possibile come la neve a primavera ci faccia notare i germogli dei ciliegi già in fiore, perché la primavera sorride sempre nei campi e nel cuore e ci… rincuora.

“Amicizia” di Khalil Gibran:

E un giovane chiese: “Parlaci dell’amicizia”

Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.

È il campo che seminate con amore

E mietete con riconoscenza.

È la vostra mensa e il vostro focolare.

Poiché, affamati, vi rifugiate in lui

E lo cercate per la vostra pace.

“AMICIZIA”

(erroneamente attribuita a Jorge Luis Borges, ma più probabilmente è stata scritta da un Anonimo o anche a più mani, ma vale la pena conoscerla tanto è bella e significativa…)

Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita,

Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori

però posso ascoltarli e dividerli con te.

Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro,

però quando serve starò vicino a te.

Non posso evitarti di precipitare, solamente posso offrirti la mia mano perché ti sostenga

e non cada.

La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono i miei,

però gioisco sinceramente quando ti vedo felice.

Non giudico le decisioni che prendi nella vita,

mi limito ad appoggiarti, a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi.

Non posso tracciare limiti dentro i quali devi muoverti,

però posso offrirti lo spazio necessario per crescere.

Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore,

però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo.

Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere,

solamente posso volerti come sei ed essere tuo amico.

In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amico,

in quel momento sei apparso tu…

Non sei né sopra né sotto né in mezzo, non sei né in testa né alla fine della lista.

Non sei né il numero uno né il numero finale e tanto meno ho la pretesa

di essere io il primo, il secondo o il terzo della tua lista.

Basta che tu mi voglia come amico.

Poi ho capito che siamo veramente amici.

Ho fatto quello che farebbe qualsiasi amico:

ho pregato e ho ringraziato Dio per te.

Grazie per essermi amico.

(non sono gran cosa, ma sono tutto quello che posso essere)

Ma sicuramente è di Borges “Contano i legami”

Non sai bene se la vita è viaggio,

se è sogno, se è attesa, se è un piano che si svolge giorno

dopo giorno e non te ne accorgi

se non guardando all’indietro. Non sai se ha senso.

In certi momenti il senso non conta.

Contano i legami.

Infine, ritengo di fare dono gradito pubblicare una poesia di Mario Luzi, di cui domani, 28 febbraio, ricorre il sedicesimo anniversario della morte. La poesia è dedicata alla vita e dell’amicizia. Riguarda, infatti, la vita con tutte le sue gioie e i suoi dolori, affrontata meglio, nel corso degli anni, in compagnia degli amici più cari…

Alla vita

Amici ci aspetta una barca

e dondola nella luce

ove il cielo s’inarca

e tocca il mare, volano

creature pazze ad amare

il viso di Iddio caldo di speranza

in alto in basso cercando

affetto in ogni occulta distanza

e piangono: noi siamo in terra

ma ci potremo un giorno librare

esilmente piegare sul seno divino

come rose dai muri

nelle strade odorose

sul bimbo che chiede senza voce.

 

Amici dalla barca si vede il mondo

e in lui verità che precede

intrepida, un sospiro profondo

dalle foci alle sorgenti;

la madonna dagli occhi trasparenti

scende adagio incontro ai morenti,

raccoglie il cumulo della vita, i dolori

le voglie segrete da anni

sulla faccia inumidita.

Le ragazze alla finestra annerita

con lo sguardo verso i monti

non sanno finire

d’aspettare l’avvenire.

 

Nelle stanze la voce materna

senza origine, senza profondità s’alterna

col silenzio della terra

È bella

e tutto par nato da quella.

Mi piacerebbe avere da voi commenti, giudizi, riflessioni. Spero davvero tanto in un sereno e utile confronto. Vi abbraccio. Buona domenica.