E riprendo a parlarvi del Retino di martedì e di quanto dolore si sia condensato in dieci minuti, attraversando i fendenti di parole e ricordi, che hanno reso più fragile la mia anima mentre le ali di Giovanni Gastel volavano sempre più verso la Luce che non ha confini. Noi confinati nello spazio/tempo di un Retino. Parlare di lui e delle parole a connotarlo ha significato il vano tentativo di trattenerlo ancora con noi. Vano, non perché non sia rimasto, incancellabile, dentro di noi ma perché il divino disegno vince ogni umano bisogno di trattenere le persone care, la loro voce, i pensieri, i sogni… Eppure sono convinta che continuare a parlarne sia salvifico non per chi fa ritorno a Casa, ma per chi è ancora per strada e ha necessità di non perdersi del tutto nel dolore che porta verso la direzione opposta e, dunque, verso il buio. E nel buio è facile perdersi e non riuscire più a ritrovare neppure le vie del Cielo, che pure sono infinite. E allora parliamone ancora. Per ritrovare il filo di luce a cui aggrapparsi per non naufragare anche nel buio del silenzio. Sì, anche il silenzio può cedere al lato oscuro del silenzio, che non ha più il respiro di una preghiera. Ed oggi è giorno di preghiera silenziosa per tutti quelli che fino a un anno fa sono andati via in silenzio, vinti da un nemico oscuro e impietoso senza una carezza ad accompagnarli oltre la soglia di casa per condurli con l’amore tangibile di una mano protesa verso la vera Casa che amorevole ci attende con la sua carezza di Cielo. E quelli che, come Giovanni, sono stati rapiti in questo nuovo anno di lutti atroci più che mai? Hanno la nostra carezza e le nostre parole ad accompagnarli nel volo…
E per te, Giovanni, le nostre mani tese a restituirti l’amore che ci
hai donato e le tue poesie a testimoniarlo. Le nostre parole a riproporlo
ancora e ancora.
Approdato come un naufrago in
una terra
sconosciuta, ho misurato il
territorio e appreso
la lingua dei nativi. Sono
invecchiato raccontando
del mio mondo lontano, ma ancora
la notte nel buio
sogno navi amiche che mi
riportino a casa.
A rileggerla oggi avverto l’amaro sapore di un profetico addio. Già
dal primo verso che parla di approdo “come naufrago in una terra/ sconosciuta”,
una terra, il nostro mondo che non era il tuo mondo. Pure, con grande coraggio,
curiosità intellettuale e umiltà avevi imparato “la lingua dei nativi”, di
quanti non avevano le tue difficoltà a riconoscersi in un mondo sconosciuto e
ostile. E lo hai fatto fino all’ultimo giorno, raccontando, però, del tuo mondo
perso nelle brume della lontananza ormai da te, ma chiuso comunque nel tuo
cuore, come sacra reliquia da venerare, sognando “navi amiche” a riportarti “a
casa”. Certo, sognando, in un mondo così estraneo a te, navi sicure, navi che
non ti avrebbero tradito. Ma è accaduto davvero. A Casa sei giunto, sicuramente
amato e atteso, ma come? Avresti preferito forse fidarti solo delle tue Ali in
un volo, sorretto dalle carezze di tutti i tuoi cari a sostenerti…
Il mondo pandemico ha tradito anche te. Il mondo estraneo al tuo cuore
di sognatore intriso d’amore.
Provo pena per la sorte
degli uomini.
Per noi magri ed educati
signori della terra
analfabeti e rozzi.
Ma nessuno può guardare il mondo
senza provare commozione.
Il giorno del plotone
sia benda sopra gli occhi
questa sconfinata bellezza.
Ecco cosa realmente ti angustiava del genere umano: la pochezza di un
sentire privo di autenticità, anche per rozza ignoranza. Pure la Bellezza che
la natura ti regalava era talmente sconfinata in un mondo così angusto e ignaro
che invocavi per te, nel giorno della fatale esecuzione, perché tale è per ogni
essere umano il giorno della propria morte, a cui tutti vorrebbero impotenti
sottrarsi, come “benda sopra gli occhi” (metafore ardite e superbe) appunto la
immensa BELLEZZA da sempre appresa e per sempre vagheggiata, come il più grande
riscatto di libertà per chi come te, nel nostro mondo si sentiva prigioniero e
in catene.
E, invece, avresti voluto le minime “invisibili cose” ad esaltare
l’emozione di scoprire l’importanza di un linguaggio altro che la sensibilità
poetica ogni giorno ti riservava in una solitudine “inarrestabile come marea”.
E, infatti:
non la filosofia
o l’esempio
o i lunghi discorsi.
Sono le quasi invisibili cose.
Il leggero tremore delle mani
la linea discendente delle
labbra
la curva pura del dorso
la ciocca dei capelli che ricade
sulla fronte.
Questo mi manca
e taglia l’anima come una lama
in questa solitudine che sale
inarrestabile come marea…
Tu come l’albatro baudelairiano ad avvertire tutta la solitudine che
il mondo riserva ai geni perché i più non riescono a uguagliarne il volo,
fermandosi ciascuno ad altezze diverse secondo i diversi mezzi creativi che ha
a disposizione o riesce ad affinare per non precipitare. Ma per quelli come te,
protesi verso gli altri, in un impeto continuo d’amore, è una solitudine che
sanguina e procura intenso dolore, avvertita più come sconfitta della propria
umanità che non come privilegio e monopolio di unicità.
Di qui il tuo rifugiarti in Dio, tuo tormento e tua forza,
nall’agognata Sua carezza a renderti finalmente appagato e in pace con te
stesso:
Signore dimmi
Cosa ancora
Devo cercare
In questo deserto di anime
Per essere infine sereno…
E, infatti:
Come se stanotte
Dio avesse premuto un tasto
nella mia mente
La gioia è tornata.
La luce si è riaccesa
e anche il ricordo
di tutti voi partiti si è fatto
dolce
e non più straziante.
Sembrate sorridermi
dagli infiniti fotogrammi
della mia vita passata
indicandomi di continuare il
cammino.
L’aria è luminosa di una gioia
nuova
nata nel profondo della notte
quando Dio mi ha toccato l’anima.
Dunque, mio carissimo Giovanni, la Grazia divina è scesa sul tuo capo,
quando più buia era la notte. E Dio ti ha concesso di partecipare alla Sua Bellezza,
accendendo per te una LUCE particolare che Egli irradia nell’anima dei Suoi
figli, che sanno vederla in vigile ascolto della Sua chiamata. Tanto che
persino l’assenza dei tuoi cari, che profondo tormento e strazio ti aveva
procurato nei passati giorni, ora è un gioioso canto di impalpabile tramonto
dorato. Dio, punto centrale della tua vita e dell’universo intero.
Ma ci sono ancora tante altre tue poesie che parlano di come Lui ti
abbia preso per mano per condurti alla Sua presenza che è LUCE senza fine.
Le riprenderò, te lo prometto, perché tutti sappiano di te oltre la
tua stessa fama e il tuo luminoso ESSERE nel tuo “eterno presente”.
E vorrei concludere, almeno per oggi, con una poesia che Angela
Strippoli, straziata come me, come tutti noi, ti ha dedicato.
È morto Gastel?!
Il maestro
Il poeta
Il sognatore
La Fotografia
La notizia è scioccante
Paralizza
Disarma
Ha il rumore struggente del
vuoto
Nella città immensa
Ci ritroviamoorfani increduli
Angeli persi nella notte che ci
silenzia
Sono le cinque del pomeriggio
Ed è buio pesto
Gastel è in volo
Il poeta di animo nobile
Attraversa la luce
Il sognatore
Deposto il macabro lenzuolo
Ascende
Con i suoi Angeli Caduti
In Cieli nuovi e Terre nuove
Il volo è gentile
Impercettibile
Quasi ne fosse esperto
Forse sorride
Forse canta
Forse è malinconico
Per quel perfetto imperfetto
Che è l’umano
Icaro è con lui abbracciato
Così mi piace pensare
Gastel è armonia
Nel suo obbiettivo si fa strada il cielo
Che a noi si estende
“Un eterno istante” la sua vita
Già un istante eterno tra noi, con noi, per noi.
A domani col nostro Retino. Grazie e vi abbraccio tutti.
Straziante ma necessario. Doloroso ma salvifico. Questo è per noi poveri che restiamo, parlare di chi la varcato la soglia. Parlare di Loro è parlare con Loro. Il ricordo è un luogo d'incontro! Grazie Angela per queste lacrime di commozione. Un abbraccio.
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