giovedì 18 marzo 2021

Giovedì 18 marzo 2021: alcune poesie di Giovanni Gastel...

E riprendo a parlarvi del Retino di martedì e di quanto dolore si sia condensato in dieci minuti, attraversando i fendenti di parole e ricordi, che hanno reso più fragile la mia anima mentre le ali di Giovanni Gastel volavano sempre più verso la Luce che non ha confini. Noi confinati nello spazio/tempo di un Retino. Parlare di lui e delle parole a connotarlo ha significato il vano tentativo di trattenerlo ancora con noi. Vano, non perché non sia rimasto, incancellabile, dentro di noi ma perché il divino disegno vince ogni umano bisogno di trattenere le persone care, la loro voce, i pensieri, i sogni…  Eppure sono convinta che continuare a parlarne sia salvifico non per chi fa ritorno a Casa, ma per chi è ancora per strada e ha necessità di non perdersi del tutto nel dolore che porta verso la direzione opposta e, dunque, verso il buio. E nel buio è facile perdersi e non riuscire più a ritrovare neppure le vie del Cielo, che pure sono infinite. E allora parliamone ancora. Per ritrovare il filo di luce a cui aggrapparsi per non naufragare anche nel buio del silenzio. Sì, anche il silenzio può cedere al lato oscuro del silenzio, che non ha più il respiro di una preghiera. Ed oggi è giorno di preghiera silenziosa per tutti quelli che fino a un anno fa sono andati via in silenzio, vinti da un nemico oscuro e impietoso senza una carezza ad accompagnarli oltre la soglia di casa per condurli con l’amore tangibile di una mano protesa verso la vera Casa che amorevole ci attende con la sua carezza di Cielo. E quelli che, come Giovanni, sono stati rapiti in questo nuovo anno di lutti atroci più che mai? Hanno la nostra carezza e le nostre parole ad accompagnarli nel volo…

E per te, Giovanni, le nostre mani tese a restituirti l’amore che ci hai donato e le tue poesie a testimoniarlo. Le nostre parole a riproporlo ancora e ancora.

Approdato come un naufrago in una terra

sconosciuta, ho misurato il territorio e appreso

la lingua dei nativi. Sono invecchiato raccontando

del mio mondo lontano, ma ancora la notte nel buio

sogno navi amiche che mi riportino a casa.

A rileggerla oggi avverto l’amaro sapore di un profetico addio. Già dal primo verso che parla di approdo “come naufrago in una terra/ sconosciuta”, una terra, il nostro mondo che non era il tuo mondo. Pure, con grande coraggio, curiosità intellettuale e umiltà avevi imparato “la lingua dei nativi”, di quanti non avevano le tue difficoltà a riconoscersi in un mondo sconosciuto e ostile. E lo hai fatto fino all’ultimo giorno, raccontando, però, del tuo mondo perso nelle brume della lontananza ormai da te, ma chiuso comunque nel tuo cuore, come sacra reliquia da venerare, sognando “navi amiche” a riportarti “a casa”. Certo, sognando, in un mondo così estraneo a te, navi sicure, navi che non ti avrebbero tradito. Ma è accaduto davvero. A Casa sei giunto, sicuramente amato e atteso, ma come? Avresti preferito forse fidarti solo delle tue Ali in un volo, sorretto dalle carezze di tutti i tuoi cari a sostenerti…

Il mondo pandemico ha tradito anche te. Il mondo estraneo al tuo cuore di sognatore intriso d’amore.

Provo pena per la sorte

degli uomini.

 

Per noi magri ed educati

 

signori della terra

analfabeti e rozzi.

 

Ma nessuno può guardare il mondo

senza provare commozione.

 

Il giorno del plotone

sia benda sopra gli occhi

questa sconfinata bellezza.

Ecco cosa realmente ti angustiava del genere umano: la pochezza di un sentire privo di autenticità, anche per rozza ignoranza. Pure la Bellezza che la natura ti regalava era talmente sconfinata in un mondo così angusto e ignaro che invocavi per te, nel giorno della fatale esecuzione, perché tale è per ogni essere umano il giorno della propria morte, a cui tutti vorrebbero impotenti sottrarsi, come “benda sopra gli occhi” (metafore ardite e superbe) appunto la immensa BELLEZZA da sempre appresa e per sempre vagheggiata, come il più grande riscatto di libertà per chi come te, nel nostro mondo si sentiva prigioniero e in catene.

E, invece, avresti voluto le minime “invisibili cose” ad esaltare l’emozione di scoprire l’importanza di un linguaggio altro che la sensibilità poetica ogni giorno ti riservava in una solitudine “inarrestabile come marea”.

E, infatti:

non la filosofia

o l’esempio

o i lunghi discorsi.

Sono le quasi invisibili cose.

Il leggero tremore delle mani

la linea discendente delle labbra

la curva pura del dorso

la ciocca dei capelli che ricade sulla fronte.

Questo mi manca

e taglia l’anima come una lama

in questa solitudine che sale

inarrestabile come marea…

Tu come l’albatro baudelairiano ad avvertire tutta la solitudine che il mondo riserva ai geni perché i più non riescono a uguagliarne il volo, fermandosi ciascuno ad altezze diverse secondo i diversi mezzi creativi che ha a disposizione o riesce ad affinare per non precipitare. Ma per quelli come te, protesi verso gli altri, in un impeto continuo d’amore, è una solitudine che sanguina e procura intenso dolore, avvertita più come sconfitta della propria umanità che non come privilegio e monopolio di unicità.

Di qui il tuo rifugiarti in Dio, tuo tormento e tua forza, nall’agognata Sua carezza a renderti finalmente appagato e in pace con te stesso:

Signore dimmi

Cosa ancora

 Devo cercare

In questo deserto di anime

Per essere infine sereno… 

E, infatti:

Come se stanotte

Dio avesse premuto un tasto

nella mia mente

La gioia è tornata.

La luce si è riaccesa

e anche il ricordo

di tutti voi partiti si è fatto dolce

e non più straziante.

Sembrate sorridermi

dagli infiniti fotogrammi

della mia vita passata

indicandomi di continuare il cammino.

L’aria è luminosa di una gioia nuova

nata nel profondo della notte

quando Dio mi ha toccato l’anima.

Dunque, mio carissimo Giovanni, la Grazia divina è scesa sul tuo capo, quando più buia era la notte. E Dio ti ha concesso di partecipare alla Sua Bellezza, accendendo per te una LUCE particolare che Egli irradia nell’anima dei Suoi figli, che sanno vederla in vigile ascolto della Sua chiamata. Tanto che persino l’assenza dei tuoi cari, che profondo tormento e strazio ti aveva procurato nei passati giorni, ora è un gioioso canto di impalpabile tramonto dorato. Dio, punto centrale della tua vita e dell’universo intero.

Ma ci sono ancora tante altre tue poesie che parlano di come Lui ti abbia preso per mano per condurti alla Sua presenza che è LUCE senza fine.

Le riprenderò, te lo prometto, perché tutti sappiano di te oltre la tua stessa fama e il tuo luminoso ESSERE nel tuo “eterno presente”.  

E vorrei concludere, almeno per oggi, con una poesia che Angela Strippoli, straziata come me, come tutti noi, ti ha dedicato.

È morto Gastel?!

 

Il maestro

Il poeta

Il sognatore

La Fotografia

 

La notizia è scioccante

Paralizza

Disarma

Ha il rumore struggente del vuoto

Nella città immensa

 

Ci ritroviamoorfani increduli

Angeli persi nella notte che ci silenzia

 

Sono le cinque del pomeriggio

Ed è buio pesto

 

Gastel è in volo

 

Il poeta di animo nobile

Attraversa la luce

 

Il sognatore

Deposto il macabro lenzuolo

Ascende

Con i suoi Angeli Caduti

In Cieli nuovi e Terre nuove

 

Il volo è gentile

Impercettibile

Quasi ne fosse esperto

 

Forse sorride

Forse canta

Forse è malinconico

Per quel perfetto imperfetto

Che è l’umano

 

Icaro è con lui abbracciato

Così mi piace pensare

 

Gastel è armonia

 Nel suo obbiettivo si fa strada il cielo

 Che a noi si estende

 

“Un eterno istante” la sua vita

Già un istante eterno tra noi, con noi, per noi.

A domani col nostro Retino. Grazie e vi abbraccio tutti.

 

 

1 commento:

  1. Straziante ma necessario. Doloroso ma salvifico. Questo è per noi poveri che restiamo, parlare di chi la varcato la soglia. Parlare di Loro è parlare con Loro. Il ricordo è un luogo d'incontro! Grazie Angela per queste lacrime di commozione. Un abbraccio.

    RispondiElimina