carissimi amici,
mi sono giunti alcuni testi molto significativi su argomenti
vari che però hanno un sentore di primavera anche se quest’ultima tarda a
rallegrarci col suo sorriso e il suo tepore. Hanno soprattutto sapore di
mistero, di qualcosa di irrisolto, di sospeso nell’aria, quasi d’attesa,
una speranza. con gratitudine. il primo è della mia carissima amica Caterina De Fusco, che veleggia tra Venezia e Napoli da una vita. Ve li propongo:
Cosa lega due città come Napoli e Venezia?
Innanzitutto il mare, immediatamente dopo l'essere centri
di scambi commerciali con il Mediterraneo. Quest'ultimo fu la culla delle più
importanti civiltà antiche, a partire dall'Egitto per poi proseguire con il
mondo greco e romano.
Apparentemente può sembrare che Venezia, tessendo
importanti relazioni commerciali con l'Oriente, sia dissimile da Napoli ma, per
conoscere l'invisibile, bisogna saper “scrostare muri”.
Entrambe le città presentano molteplici angoli dalle mura
scrostate pur se Venezia, sorgendo sull'acqua, presenta tali ferite causa
erosione da parte di quest’ultima.
Tutte e due le città hanno come elemento d'elezione
l'acqua e la Luce.
Forse è questo il motivo che, inconsapevolmente, guidò
una giovane donna a tessere fila per entrare nel mistero di cosa veramente
coniugasse le due città.
Napoli, con Filangieri e Galiani, Venezia, con Ludovico
Antonio Muratori, gettarono le basi per la libertà dell'uomo. Non meno
l'esoterismo che lega e accomuna entrambe le città.
Fu quest'ultimo, l'esoterismo, a guidare la giovane donna
a intraprendere la via del mare che la portò, nell'esperire conoscenza, alla
consapevolezza.
Rendersi consapevoli: questo chiede la via esoterica per
lasciare andare quelle inutili zavorre che resero la navigazione incerta ed
instabile.
Incertezza e, dunque, cagionevole equilibrio
caratterizzarono la via della donna che mai si arrese di fronte ad alcuno
ostacolo.
Il leitmotiv che la spingeva a cercare era il desiderio
di svelare, di strappare via il velo dell'illusione per giungere alla Verità.
Ma qual era questa Verità che guidava l'incedere del
cammino della donna?
Togliere ambiguità di significato al vivere e al morire
per giungere a quella realtà aspaziale e atemporale che porta all'Unità che non
teme Luce ed Ombra.
La dualità in cui l'essere umano è immerso fa perdere,
talvolta, segno e significato al percorso, ma non per coloro che hanno compreso
che l'ombra è semplicemente l'altra faccia della Luce.
L'alternanza di questi due elementi è fondamentale per
approdare… e ciò accade soltanto quando la “conoscenza” si è servita del
dolore.
Solo svelando sé stessi si può lasciare andare
l'illusione.
Fu così che la giovane donna si inoltrò nello studio
della vita di Antonio Corradini, scultore che già lega le due città, essendo
nato a Venezia nel 1668 e morto a Napoli nel 1752.
Quell'artista fu il senso che fece trovare senso alla
ricerca del significato intrinseco del vivere e morire.
Corradini utilizzava il velo come leitmotiv in molteplici
suoi pezzi scultorei. La giovane donna lavorò con costanza e determinazione per
carpire la motivazione del reiterato scolpire veli da parte dello scultore.
Nel frattempo la vita della giovane donna scorreva
portando con sé esperienze nutrite di delusioni e improvvisi risvegli.
Ad ogni risveglio la donna avanzava di un passo che,
unito a quelli successivi, costituirono tasselli, tasselli di un puzzle che
solo al quarantunesimo anno giunse a farla approdare al senso di quella
ricerca.
La domanda iniziale era cosa mai può congiungere due
città come Napoli e Venezia oltre al mare e alla Luce.
Avevamo detto che entrambe le città diedero i natali a
figure storiche che parlavano di uguaglianza, libertà e fratellanza, parole che
tutti hanno creduto essere di marca francese.
Furono invece Napoli e Venezia le terre che diedero vita
agli ideali rivoluzionari attraverso gli storici sunnominati, Filangieri,
Galiani e Muratori, che, strenuamente, lottarono per giungere al senso
esistenziale del vivere.
L'essere umano non può vivere senza sentirsi libero
eguale e fratello.
Fratelli siamo perché tutti discendenti dall'Uno e liberi
diventiamo solo se intraprendiamo la strada dello scavo nella “conoscenza” per
giungere a comprendere che la realtà in cui viviamo è solo una grande illusione.
Quella giovane donna costruì molteplici collegamenti
all'interno della vita del Corradini e furono quelli a guidarla,
inconsapevolmente, a togliere lentamente il soverchio; tirando via quei pesi
che avevano ostacolato il suo cammino e l’avevano resa, solo apparentemente,
fragile ed in disequilibrio.
Giunta alla meta attraverso “una strenua ricerca”, la
giovane donna raggiunse la consapevolezza che l'essere umano nasce libero,
libero di scegliere e di navigare serenamente se intuisce che quell'orizzonte,
che si sposta ad ogni passo un po' più in là, è la meta.
La meta dell'essere umano è l'infinito, quella Volta
Celeste che ci ricopre e alla quale tutto il Creato ritornerà.
Furono la semplicità, l'umiltà e la fede, un quantitativo
grande di fede a permettere alla donna di toccare quel Cielo e illuminarsi di
Grazia e Benedizioni. Caterina De Fusco
Mia carissima Caterina, questo tuo bellissimo percorso di
autorealizzazione, che parte dalla conoscenza per giungere alla consapevolezza
di sé e del nostro fine ultimo, è la perfetta sintesi di quanto io abbia detto
e scritto nel mio blog sulla parola “gratitudine” e su come si possa operare,
attraverso i libri e alcune figure di mentori a darci una mano, una guida
amorevole e sicura, per giungere ciascuno alla propria meta, che alla fine
diventa la meta di tutti, perché tutti ci accomuna e ci rende fratelli. Grazie
per le azzurre acque veneziane e napoletane su cui hai fatto volare il tuo
sofferto ma appagante percorso di libertà e di fede. Percorso, che ti ha permesso di illuminarti
di Cielo. Luminoso esempio per tutti noi.
E Mariateresa Bari mi ha inviato tre messaggi, il primo
risalente al 12 marzo e che si riferisce alle poesie riguardanti la donna, di
cui prendersi cura ogni giorno per la sua forza, la sua dignità, il suo
coraggio. Quella donna siamo tutte noi nella rivendicazione della nostra
femminilità, che va ben oltre il femminismo degli anni Sessanta del secolo
scorso. Mariateresa scrive: Angela cara, quante belle voci, altre da
me, da noi... non posso che farmene attraversare per saziare i sensi assetati.
Un abbraccio!
Bellissima testimonianza della nostra coralità. E il 19
mar 2021 scrive: Straziante ma necessario. Doloroso ma salvifico.
Questo è per noi poveri che restiamo, parlare di chi la varcato la soglia. Parlare
di Loro è parlare con Loro. Il ricordo è un luogo d'incontro! Grazie Angela per
queste lacrime di commozione. Un abbraccio.
E si parlava di Giovanni Gastel e del suo affascinante
“istante eterno”, reso luminoso fino alla fine dalla carezza di Dio. E non ci
sono più parole oltre le lacrime. Poi ieri, in riferimento alla
parola “gratitudine”: Cara Angela, come non esserti grata? Ecco i versi
scaturiti stanotte dalle tue riflessioni! “Nel debito di un credito”: S'annoia
il sé,/ spossato depone la sua corona/ smilzo di cuore e si prepara all'esodo./
L'alito assassino non più appaga./ Il lampeggiare di finestre nel buio/ delle
sue frequenze troppo acute,/ stride e si fa strada./ Lo guardiamo trapassare lo
specchio/ e lambire solitarie rive/ col suo foulard di tedio al collo. M.
Bari
Mia cara Mariateresa, ancora una volta mi offri una sintesi
preziosa della volontà/necessità di fare spazio alla gratitudine contro ogni
male di vivere, e persino contro la noia quotidiana che strangola di solitudine
chi non si dona agli altri gratuitamente…
Ed ecco il messaggio di Vito Di Chio ad apportare nuova
linfa a quanto da me detto nel Retino e scritto sul blog: Grazie Angela
per le tue riflessioni sulla “GRATITUDINE”. Ti sono molto grato. Anche i miei
pensieri vanno in questa direzione. Ecco alcuni spunti “germanici” sulla
relazione tra “pensare” e “ringraziare”. Pensare e ringraziare sono due parole
affini; diciamo grazie alla vita, ripensandola. È una citazione attribuita a
Thomas Mann (1875 – 1955), scrittore tedesco, premio Nobel per la letteratura,
da cui prendono lo spunto i più disparati siti della rete, per le loro
riflessioni sul tema della Dankbarkeit (riconoscenza). In realtà è stato Paul
Celan, nella sua “Allocuzione in occasione del conferimento del Premio letterario
della Libera Città Anseatica di Brema”, a introdurre così la sua concezione
poetica: “Denken (pensare) e Danken (ringraziare) hanno nella nostra lingua la
stessa identica origine. Chi ricerca il loro significato si porta nel campo
semantico di: gedenken (richiamare alla memoria) eingedenk sein (essere
memori), Andenken (pio ricordo), Andacht (devozione). Mi permettano di prendere
le mosse da qui, per ringraziare”. È una riflessione profonda che caratterizza
tutta l’opera di Celan. In realtà nella lingua tedesca pensare (Denken) e
ringraziare (Danken) scaturiscono dalla stessa matrice linguistica: il
ponderare, il dare peso, il percepire la cosa che conta. D’altronde anche
l’italiano pensare deriva da pensum (peso, compito): pensare in latino vuol dire
appunto ponderare, ricambiare …È bene approfondire questa correlazione
sorprendente che c’è tra il pensare e il ringraziare, ogni tanto fermarsi e
dire grazie, imparare a dirlo, farne un esercizio, uno stile di vita. Perché, è
proprio vero: la riconoscenza non sgorga automaticamente dal patrimonio e dalle
capacità del cuore umano, - bisogna lentamente impararla ed esercitarsi, in
qualche modo, nell’atteggiamento di gratitudine, scoprire soprattutto l’armonia
interiore che c’è tra il pensare e il ringraziare. (cfr. Bisogno di Maestri…).
Un saluto carissimo. Vito dc
È proprio questo confronto che mi/ci arricchisce di nuovi
sensi e significati da dare alle parole, soprattutto quando la profonda
conoscenza della letteratura mondiale e delle lingue straniere ci offrono
l’opportunità di scoprire nuovi abbinamenti, nuove risorse linguistiche
per scoprite nuovi orizzonti da attraversare e nuove motivazioni per esercitarci
“nell’atteggiamento di gratitudine”, per “scoprire soprattutto l’armonia
interiore che c’è tra il pensare e il ringraziare”. E vale davvero la pena di
leggere o rileggere quello scrigno di saggezza, bellezza, verità, poesia che è
il saggio di Vito Di Chio Bisogno di maestri (Armando Editore
2010)
E così anche oggi ci salutiamo con gratitudine reciproca e
grande gioia per questa comunione d’intenti e di anime. Grazie. E il Retino ci
attende. Ciao.
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