In questa seconda e ultima parte, vorrei partire dall’inizio di questa mia storia per comprendere meglio il seguito. Tutto è cominciato da un ritrovamento fortuito: mettendo un po’ di ordine tra i miei tanti libri, mi è scivolata una pagina di quaderno scritta a mano, senza data. Un mio racconto scritto alcuni anni fa e probabilmente mai pubblicato. Non ricordo. Ma eccomi qui a trascriverlo. L’ho intitolato “Solitudine e Silenzio” per dargli una identità. O forse per centomila altri motivi:
Del resto, NEL SILENZIO, le cose in silenzio si raccontano: il silenzio della quotidianità, della natura, del paesaggio, della pioggia, del mare, da lasciare intatto nel tempo, dilatandone il senso e il significato.
È come stare al buio e incontrare il silenzio delle stelle. È come avvertire la calma del silenzio dilatato dopo una tempesta, dopo il pianto prolungato di un bambino, dopo la caciara di una sagra paesana, dopo il terrore assordante della guerra. Assaporarlo dopo l’inquinamento acustico dei nostri giorni e scoprire che c’è e che ci salva: invocato, atteso, benefico, molteplice nei suoi significati altri che mille occhi attraversano senza scoprire e che il silenzio rende più visibili e profondi. È come penetrare un mistero. Il linguaggio misterioso delle cose, che tra l’altro, in una società distratta dal chiasso, vuota di senso e ricca di teorizzazioni, ammalata di individualismo e assoggettata a considerazioni astratte che spesso sono solo elucubrazioni virtuosistiche della mente, riporta il nostro sguardo sulla “cosalità” perduta, sulla materica composizione del mondo come soglia di ogni altro pensiero, di ogni altra conoscenza. Fisica e metafisica. Queste ultime partono dal silenzio delle cose, per “vederle” oltre che guardarle e scoprirle e valorizzarle. Per ascoltarle.
Silenzio, perciò, è una parola che mi piace. Se penso al silenzio che fa parlare il cuore. Come diceva mio nonno quando sorprendevo lui e mia nonna seduti vicini nella penombra della sera, dopo aver recitato il rosario, dietro i vetri di casa, in silenzio, a salutare il buio che annullava le cose e i rumori e le voci del loro piccolo mondo: la strada di casa, allora ancora un po’ in periferia o la semplice via di un amore che li teneva indissolubilmente uniti. Sereni, nonostante gli innumerevoli dolori e dispiaceri da entrambi vissuti.
Anche a Primo, il mio tempestoso compagno per circa quarant’anni, piaceva il silenzio del nostro raccontarci con gesti d’amore il giorno, lui che aveva come codice preferito di comunicazione l’urlo, e si meravigliava del mio accoglierlo in silenzio, “senza lo scontro”. Se torna il silenzio: era una aspirazione ed una invocazione. Una necessità di vita per riscoprirci insieme.
Ma silenzio… è anche una parola che mi sgomenta, quando penso al silenzio che crea un vuoto; che separa con fratture e divisioni; che è culla di odio e di rancore; che cova vendetta; che coltiva un equivoco e lo fa ingigantire nella mente; che nasconde un sentimento mai svelato e, quindi, mai conosciuto e riconosciuto, mai vissuto nella pienezza del gesto, oltre che delle parole. Silenzio atteso e temuto, dunque. Silenzio invocato e nutrito. Infranto e chiacchierato. Silenzio raccontato.
Il silenzio è il nulla prima del Big Bang, esplosione del Creato. Che si racconta con le cose. La materia, innanzitutto. Generata dal nulla per un atto di Energia purissima. Come direbbe un mio amico poeta e chimico. È il vuoto tra due rumori, tra due suoni, tra due parole. È attesa e ricordo. Speranza e rimpianto. Il pudore e il timore. L’invocazione muta dell’anima. La preghiera. È la cattedrale gotica che s’innalza con le sue guglie al cielo in una penombra che invita al raccoglimento per ascoltare meglio “le voci di dentro” (Eduardo o Dacia Maraini ne hanno parlato con dovizia di particolari): quelle che ci parlano dell’invisibile che è in noi e fuori di noi. L’arcano, il mistero, il sogno. L’indicibile perché tanto più grande delle parole per esprimerlo. L’immenso. Lo stupore. Il linguaggio dell’Universo. L’incontro insaputo con Dio...
“Il silenzio come momento aurorale dell’ascolto” (Massimo Baldini).
Solo dopo è possibile cogliere l’armonia e la dissonanza: di rumori, suoni, musica, parole. “Il nostro è un tempo senza silenzio, senza armonie, è un tempo colmo di convulso fragore… La chiacchiera è la sola parola possibile in tempi in cui il silenzio è morto e regna sovrano il rumore… A ben guardare, la chiacchiera è la parola di tutti coloro che vogliono solo parlare e mai ascoltare, è la parola superflua, inefficace” (ancora Baldini). Il filosofo e scrittore Michele Federico Sciacca scrive: “Chi chiacchiera non si preoccupa di comunicare, ma solo d’infilar parole che non dicono niente. Non persuade, né convince; stanca e infastidisce. Non lo ascoltiamo, né, in fondo, a lui interessa l’essere ascoltato”. Ascolto e silenzio, dunque, devono procedere insieme. Entrambi si fanno inavvertitamente silenzio e ascolto interiori. Ignazio Silone afferma che: “Il silenzio interno significa che ogni cosa è al suo posto, ogni cosa è in ascolto”. E Alfred De Musset sostiene che: “La bocca custodisce il silenzio per ascoltare il cuore che parla”.
Ma occorre fare attenzione perché a volte il silenzio può essere la morte dell’ascolto. Si tratta del silenzio cupo, ostile, desertico, offensivo, di isolamento e rifiuto, di cui ho già parlato. Ma esiste il silenzio agognato e amato in tanto frastuono che ci sovrasta.
QUANDO TORNA IL SILENZIO
È un silenzio nuovo del nuovo giorno
- penombra di canto e silenzio di sorrisi -
i bambini lasciano parlare il cuore
coltivando un amore grande
che sa di luce anche quando la sera ci sfiora
e accarezza la vita appena nata.
Prodigio del sogno accarezzato e preghiera
sussurro del giorno che comincia
e racconta il mistero della nascita
al canto della natura
(che non teme la solitudine
dei balconi senza bimbi ad imbrigliare il cielo).
Penombra e Silenzio, dunque, lasciano parlare il cuore, coltivando un amore grande per le ombre che sanno di luce e per la luce che si fa ombra quanto più è presente il sole. Penombra e Silenzio si fanno compagnia. Accarezzano le stesse cose. Intuiscono le verità in esse nascoste in attesa di scoprire la Verità che tutte le comprenda e le inglobi. Si sostengono e si completano. Si arricchiscono di senso e danno un significato più profondo alla vita.
Annah Arendt afferma che solo nel silenzio e nella penombra è possibile conoscerci e riconoscerci. E la conoscenza di sé e il proprio riconoscimento danno all’essere umano la giusta dimensione di quello che è nel mondo e gli evita errori di valutazione e di autovalutazione. Di sovraesposizione. Come accade ai figli dei grandi, dei potenti, degli uomini di spettacolo, sempre sotto i riflettori, sempre immersi nel clamore della folla col rischio di perdersi, lacerati in tanti minuscoli sé di cui la cronaca famelica s’impadronisce. Divorati dall’ansia di apparire o dalla paura di non essere visibili. Di non farcela. Di non essere all’altezza della fama dei loro genitori. Bruciati da soli artificiali che tolgono respiro e abbagliano e accecano e disorientano e sfiniscono, distruggendo l’intima essenza della loro umanità. Della spiritualità. Il clamore è spesso il fallimento della nostra autenticità, perché il più delle volte ciò che appare non è.
Ci occorre e ci soccorre il silenzio. Quello che ci riporta alle parole mute delle cose, alla loro storia nascosta e forse dimenticata. Al canto della natura. Al sussurro del giorno che comincia e si racconta in un segreto d’intenti, e di passi per realizzarli e di gesti per costruirli, perché ogni giorno sia un giorno nuovo e aggiunga qualcosa di diverso alla nostra vita. Alla consapevolezza di quello che siamo realmente, indipendentemente da chi ci ha generati. Si tratta di libertà di essere per quello che siamo e possiamo essere. Niente di più. Niente di meno. In tutta la nostra pienezza e autodeterminazione. Diamo agli altri quello che possiamo e penso sia il solo modo per dare quello che siamo. Autenticamente noi. E di questo dobbiamo essere fieri e appagati. È questo tutto l’Amore possibile. Forse mai misurabile. Ma è Amore. E, se è, non necessita di alcuna differenza, alcuna misurazione. Ci aiuta nel faticoso, gioioso, tormentato, chiaro, complesso, semplice nostro andare per le strade della vita. Da soli. Con gli altri. Viandanti in uno spazio e un tempo che ci appartiene e che pure non è nostro. Di cui forse dobbiamo dare di conto, per ascoltare il respiro intimo di una strada silenziosa, il sogno segreto di una molletta innamorata del sole, l’ardimento dei cavi elettrici ad imbrigliare il cielo, la solitudine di un balcone senza bimbi.
E oggi sono ancora qui a scrivere di tutto questo per lasciare ai giovani e giovanissimi un messaggio di Amore e di Speranza, in un mondo sempre più difficile e alla deriva. E non si può più sperare nel silenzio a soccorrerci. Occorre superare il silenzio e parlare per vincere anche la solitudine.
Leggo molti loro testi di poesie e di canzoni che sono pieni di sconforto, di rifiuto di vivere, di parole violente e blasfeme che sicuramente i ragazzi scrivono sotto l’effetto di droghe sempre più devastanti. Ho pena per loro anche perché molti sono giovanissimi e già sono violenti, aggressivi, spietati nelle loro “esecuzioni” aberranti contro i più inermi (vecchi, donne, ragazzine, bambini). Occorre fare qualcosa.
E forse la prima cosa da fare sarebbe ascoltarli. Ne hanno bisogno come non mai. Tutti li colpevolizzano, ma nessuno li ascolta: non i nonni non sempre frequentati o ascoltati, non i genitori spesso assenti per tanti motivi, non ultimi i diversi modelli di genitorialità che offrono, favorendo il più delle volte la dispersione dell’identità, già normalmente presente negli adolescenti. Gli insegnanti sono portati più a completare i programmi annuali che a dialogare dei reali bisogni dei loro alunni e studenti in “posizione di ascolto”, e i social contribuiscono alla solitudine reale velata da pseudo amicizie virtuali. E si perdono e li perdiamo. Nella nebbia fitta che non ci permette di “vedere”. Nel rumore assordante dei nostri giorni in cui non riusciamo a “sentire”, e in questa società “liquida” (ancora Zygmunt Bauman, da poco venuto ad abitare le stelle) che ci scivola tra le dita senza permetterci di afferrare la loro anima e uncinarla al nostro cuore in “posizione di ascolto”, tutto si perde e niente più si raccoglie. Ma anche per tutto questo dobbiamo ascoltare innanzitutto il silenzio perché, poi ecco vibrare nel silenzio i colori delle cose. Morbidi, luminosi, mai accecanti. Sereni e rasserenanti. Nella contemplazione di quanto ci circonda e ci ricorda la vita: un petalo rosso di rosa stupito tra tanto azzurro… una strada d’estate oltre il volo alto dei gabbiani… grovigli di rami e di tubi nell’artificio di ciò che è umano e di ciò che ignora l’uomo… L’apparente assenza dell’uomo/donna è presenza costante della mente e del cuore, che non hanno bisogno di un corpo messo in mostra o esibito per esserci. L’uomo o la donna sono là dove lo sguardo dà vita alle cose, annota una realtà che emoziona; dove un oggetto è frutto del loro ingegno e delle loro mani; dove una goccia di pioggia rende il proprio cielo liquido nel mistero della inquieta somiglianza con le lacrime.
E c’è ancora un silenzio a creare atmosfere in sospensione tra la realtà e la magia di ciò che va oltre la realtà… Il silenzio cantato dalla natura. Nenia triste del mare. Allegria di bianchi spruzzi a riva. Sfinimento di languide onde alla battigia. Paziente attesa di pescatori con canna e lenza e amo sotto il sole. Hemingway ritorna ad affascinarci con una barchetta che ricorda il suo vecchio Santiago nella estenuante lotta con il mare e con un pesce enorme che dopo ben ottantaquattro giorni gli si consegna vinto, in un allucinato silenzio che urla tutti i suoi ricordi, oltre le parole che non serve più dire…
Ma, in tutto ciò che si narra, si ascolta, si scrive, si legge, si vive insieme, in una coralità che vince la solitudine e il silenzio, fioriscono versi di autentica amicizia, autentico amore, autentica Poesia…
Vi abbraccio in silenzio, ma col cuore che parla in un sussurro di conchiglia da portare all’orecchio e ascoltare... Alla prossima. Angela/lina
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