sabato 29 marzo 2025

Sabato 29 marzo 2025: MILO DE ANGELIS e il “TEMA DELL’ADDIO” …

Oggi mi piace parlare, sia pure brevemente essendo sabato e, leopardianamente, si sa che è il giorno dell’attesa, non del compimento, del GRANDE poeta Milo De Angelis, che ho avuto l’onore di conoscere meglio attraverso la puntuale Prefazione a uno dei tanti libri di Poesia di Vittorino Curci, di cui ho scritto un “quasi saggio” antologico-corale (appena pubblicato dalla SECOP Edizioni di Corato-Bari, pp. 171, £ 14 i.i.), riguardante la sua Opera poetica di questi ultimi anni: I LUOGHI DEL CUORE - UNA SOLA MUSICAPOESIA O IL SUO CONTRARIO -, in cui mi è piaciuto mettere a fuoco i tanti luoghi del cuore che ciascuno di noi si porta dentro e che non sono esclusivamente riferiti al paese natio, ma a tutto quanto si possa sintetizzare in una emozione che ci comprende nell’attimo in cui la proviamo, sentendo che potrebbe durare nel nostro “per sempre”, che è anche il nostro “mai”. Tutto in queste pagine è, ma anche il suo contrario. Come è giusto che sia quando si tratta di un saggio su VITTORINO CURCI, che non ha bisogno di presentazioni. Queste le fa per me il Direttore di Collana “Scienza e Conoscenza”, cioè Giovanni Romano: “… Vittorino Curci: poeta, musicista, pittore, artista a tutto tondo, come ogni vero artista perennemente in ricerca, forse anche in attesa del momento in cui la poesia si rivelerà in tutta la sua terribile forza catartica…”.

E per connotare in qualche modo la straordinaria scrittura del Prefatore ecco alcune sue meravigliose affermazioni: Il cuore. È intorno al cuore che ruota tutto questo libro. Cuore della poesia, cuore materno, infine luoghi del cuore. Sono i luoghi dove - forse solo per qualche giorno o per qualche ora - siamo stati veramente noi stessi, dove abbiamo vissuto le esperienze più fondamentali della nostra vita, dove abbiamo incontrato persone che ci hanno fatto crescere e cambiare, dove ci è stato dato, per un istante, di sentirci lietamente, definitivamente vivi e completi. È uno splendido e inusuale biglietto da visita: di cultura, sensibilità poetica, generosità, umiltà, come ben si addice a uno studioso della sua statura intellettuale ed etico-sociale. E non è una sviolinata. Inutile e dannosa per tutti. È la pura verità. E il mio modo per dirgli “Grazie”, dato che mi è stato impossibile farlo prima.

Per quanto riguarda, invece, Milo De Angelis, si tratta di un ricordo che risale a vent’anni fa, ma sempre presente nel mio cuore: un articolo bellissimo, scritto nel 2005, sulla pagina de <LA REPUBBLCA>, dal compianto Enzo Siciliano, sul “Tema dell’Addio”, dopo la morte della amata compagna di vita dell’immenso nostro poeta, Giovanna Sicari, anch’essa poetessa di chiara fama.

Poesie complesse, come avvolte nel dolore e nella solitudine che sopravviene e sopravvive al dolore stesso. Inevitabile. Incolmabile. Insaziabile. Eppure così vivo da portare con sé una indescrivibile gioia, mista a una musica interiore “che riesce a illuminare gli angoli più bui dell’angoscia”. E Siciliano riporta alcuni versi a conferma di quanto abbia evidenziato con la sua analisi, accurata e discreta, di alcune poesie come: “Talvolta è stato attendere nel buio/ la felicità degli atleti, la chiara/ fantasia sulla pista, i bei giocolieri,/ talvolta è stato un blocco di partenza/ una melodia invocata tra le note/ più disperse, i cuscini, le scale mobili/ dell’ultima estate/ dell’ultima/ frase che respira in tutte”. E niente è più utile, nei momenti di più acuto dolore per una malattia che non lascia scampo, il riportare alla mente le loro passioni vissute in due, tra “la forza della tenerezza e l’estasi della passione”. In realtà, come in tutta la poesia di De Angelis, si parte sempre da un vissuto di vita personale per dilatare l’esperienza a tutto quanto è altro da sé, in un viluppo che costantemente si dilata in cerchi concentrici fino a  molteplici confini di fuga, che sono i continui “aggiustamenti” per orizzonti più ampi, perché niente rimanga immobile e intatto, ma ogni confine si dilati per farsi centro di un’altra periferia, a comprendere tutto l’altro che, come sostiene il filosofo lagunare Massimo Cacciari, “ha un cum”, che porta altrove oltre la rada. Il confine, in fondo, a mio parere, non è mai punto fermo, ma eterno movimento a portarci lontano dalla nostra casa, dai nostri affanni, persino dai nostri stessi sentimenti, perché non facciano più male. Nel caso di De Angelis, forse diventa il prolungamento di una identità collettiva che potrebbe rimanere inesplorata se non fosse per la volontà del poeta di dilatare l’attimo per renderlo eterno nella sua invisibilità corpuscolare, che si rende visibile non appena un raggio di sole illumina le innumerevoli particelle “tra scontri e ferite” (De rerum natura II, 122). E, del resto,  Il tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il tempo; è una tigre che mi sbrana e io sono la tigre; è un fuoco che mi divora e io sono il fuoco”: sosteneva il grande poeta e visionario Luis Borges. Ritengo che la stessa percezione di identità unitaria e frammezzata e di totalità temporale si avverta nella poetica di Milo De Angelis, che abbraccia tutta una vita: salti temporali s’intrecciano, si sovrappongono. Passato, presente e futuro sono su una stessa linea di continuità/discontinuità. E ci sembra di essere noi stessi immersi in un tempo che nei suoi versi ci ingloba, ma si slarga in innumerevoli direzioni, offrendoci nuove prospettive e possibilità di vite altre. Non a caso, il poeta, che ora vive con la fotografa Viviana Nicodemo, attingendo dalla sua Arte fotografica, che coglie l’attimo per eternarlo, afferma che quest’ultimo “è un istante che bisogna cogliere tra i mille possibili, è l’istante cruciale, il Kairòs”. Tutto quello che è giusto cogliere immediatamente, senza esitazioni di sorta, perché nulla vada perduto. Né l’amore, né il dolore, né la rinascita per sapersi vivi!

                                                                                Angela De Leo

 

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