Oggi mi piace parlare, sia pure brevemente essendo sabato e, leopardianamente, si sa che è il giorno dell’attesa, non del compimento, del GRANDE poeta Milo De Angelis, che ho avuto l’onore di conoscere meglio attraverso la puntuale Prefazione a uno dei tanti libri di Poesia di Vittorino Curci, di cui ho scritto un “quasi saggio” antologico-corale (appena pubblicato dalla SECOP Edizioni di Corato-Bari, pp. 171, £ 14 i.i.), riguardante la sua Opera poetica di questi ultimi anni: I LUOGHI DEL CUORE - UNA SOLA MUSICAPOESIA O IL SUO CONTRARIO -, in cui mi è piaciuto mettere a fuoco i tanti luoghi del cuore che ciascuno di noi si porta dentro e che non sono esclusivamente riferiti al paese natio, ma a tutto quanto si possa sintetizzare in una emozione che ci comprende nell’attimo in cui la proviamo, sentendo che potrebbe durare nel nostro “per sempre”, che è anche il nostro “mai”. Tutto in queste pagine è, ma anche il suo contrario. Come è giusto che sia quando si tratta di un saggio su VITTORINO CURCI, che non ha bisogno di presentazioni. Queste le fa per me il Direttore di Collana “Scienza e Conoscenza”, cioè Giovanni Romano: “… Vittorino Curci: poeta, musicista, pittore, artista a tutto tondo, come ogni vero artista perennemente in ricerca, forse anche in attesa del momento in cui la poesia si rivelerà in tutta la sua terribile forza catartica…”.
E per connotare in qualche modo
la straordinaria scrittura del Prefatore ecco alcune sue meravigliose
affermazioni: Il cuore. È intorno al
cuore che ruota tutto questo libro. Cuore della poesia, cuore materno, infine
luoghi del cuore. Sono i luoghi dove - forse solo per qualche giorno o per
qualche ora - siamo stati veramente noi stessi, dove abbiamo vissuto le
esperienze più fondamentali della nostra vita, dove abbiamo incontrato persone
che ci hanno fatto crescere e cambiare, dove ci è stato dato, per un istante,
di sentirci lietamente, definitivamente vivi e completi. È uno splendido e
inusuale biglietto da visita: di cultura, sensibilità poetica, generosità,
umiltà, come ben si addice a uno studioso della sua statura intellettuale ed
etico-sociale. E non è una sviolinata. Inutile e dannosa per tutti. È la pura
verità. E il mio modo per dirgli “Grazie”, dato che mi è stato impossibile
farlo prima.
Per quanto riguarda, invece, Milo
De Angelis, si tratta di un ricordo che risale a vent’anni fa, ma sempre
presente nel mio cuore: un articolo bellissimo, scritto nel 2005, sulla pagina
de <LA REPUBBLCA>, dal compianto Enzo
Siciliano, sul “Tema dell’Addio”, dopo la morte della amata compagna di
vita dell’immenso nostro poeta, Giovanna Sicari, anch’essa poetessa di chiara
fama.
Poesie complesse, come avvolte
nel dolore e nella solitudine che sopravviene e sopravvive al dolore stesso.
Inevitabile. Incolmabile. Insaziabile. Eppure così vivo da portare con sé una
indescrivibile gioia, mista a una musica interiore “che riesce a illuminare gli
angoli più bui dell’angoscia”. E Siciliano riporta alcuni versi a conferma di
quanto abbia evidenziato con la sua analisi, accurata e discreta, di alcune
poesie come: “Talvolta è stato attendere
nel buio/ la felicità degli atleti, la chiara/ fantasia sulla pista, i bei
giocolieri,/ talvolta è stato un blocco di partenza/ una melodia invocata tra
le note/ più disperse, i cuscini, le scale mobili/ dell’ultima estate/
dell’ultima/ frase che respira in tutte”. E niente è più utile, nei momenti
di più acuto dolore per una malattia che non lascia scampo, il riportare alla
mente le loro passioni vissute in due, tra “la forza della tenerezza e l’estasi
della passione”. In realtà, come in tutta la poesia di De Angelis, si parte
sempre da un vissuto di vita personale per dilatare l’esperienza a tutto quanto
è altro da sé, in un viluppo che costantemente si dilata in cerchi concentrici
fino a molteplici confini di fuga, che
sono i continui “aggiustamenti” per orizzonti più ampi, perché niente rimanga
immobile e intatto, ma ogni confine si dilati per farsi centro di un’altra
periferia, a comprendere tutto l’altro che, come sostiene il filosofo lagunare Massimo
Cacciari, “ha un cum”, che porta
altrove oltre la rada. Il confine, in fondo, a mio parere, non è mai punto
fermo, ma eterno movimento a portarci lontano dalla nostra casa, dai nostri
affanni, persino dai nostri stessi sentimenti, perché non facciano più male. Nel
caso di De Angelis, forse diventa il prolungamento di una identità collettiva
che potrebbe rimanere inesplorata se non fosse per la volontà del poeta di
dilatare l’attimo per renderlo eterno nella sua invisibilità corpuscolare, che
si rende visibile non appena un raggio di sole illumina le innumerevoli
particelle “tra scontri e ferite” (De rerum natura II, 122). E, del resto, “Il tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il tempo; è una tigre
che mi sbrana e io sono la tigre; è un fuoco che mi divora e io sono il fuoco”:
sosteneva il grande poeta e visionario Luis Borges. Ritengo che la stessa
percezione di identità unitaria e frammezzata e di totalità temporale si avverta
nella poetica di Milo De Angelis, che abbraccia tutta una vita: salti temporali
s’intrecciano, si sovrappongono. Passato, presente e futuro sono su una stessa
linea di continuità/discontinuità. E ci sembra di essere noi stessi immersi in
un tempo che nei suoi versi ci ingloba, ma si slarga in innumerevoli direzioni,
offrendoci nuove prospettive e possibilità di vite altre. Non a caso, il
poeta, che ora vive con la fotografa Viviana Nicodemo, attingendo dalla sua
Arte fotografica, che coglie l’attimo per eternarlo, afferma che quest’ultimo “è
un istante che bisogna cogliere tra i mille possibili, è l’istante cruciale, il
Kairòs”. Tutto quello che è giusto cogliere immediatamente, senza esitazioni di
sorta, perché nulla vada perduto. Né l’amore, né il dolore, né la rinascita per
sapersi vivi!
Angela De Leo
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