venerdì 14 marzo 2025

Venerdì 14 marzo 2025: ricordo imperituro di GIOVANNI GASTEL: Uomo-Poeta-Scrittore-Artista-Fotografo di fama mondiale... (seconda parte)

E oggi mi attardo a fare un necessario confronto tra il suo romanzo, le sue poesie, le sue fotografie, a partire dalla serie mistica ma non troppo degli Angeli caduti che da soli valgono l’intera Mostra: angeli androgeni o decisamente femminili, con ali bianche ancora in volo o nere come la notte. Angeli che precipitano a testa in giù e angeli precipitati con negli occhi la sorpresa, il disorientamento, la dispersione della propria identità in un luogo sconosciuto che fa paura perché nuovo e diverso. Angeli pentiti e angeli senza alcun rimorso o pentimento. Bisognerebbe descriverli uno ad uno. Ci vorrebbe un trattato. Ancora una volta le stratosferiche contraddizioni gasteliane: non angeli che volano, ma angeli che precipitano senza più la speranza di un perdono, di tornare nella azzurra luminosità del Cielo.

Un po’ mi fanno pensare a Giovanni Gastel bambino nel suo Eden dorato e lontano dal mondo degli uomini. La sua desatellizzazione dal nucleo familiare, protettivo e severo nelle sue regole culturali, nel solco di una tradizione etico-religiosa, e tutto in sé conchiuso, è un precipitare nell’abisso di un mondo altro dove il disordine e la violenza regnavano sovrani (non si può non ricordare che l’adolescenza di Giovanni Gastel ha coinciso con gli anni di piombo nel nostro Paese), lasciando il giovane rampollo di una storica casata lombarda in balia di uno sperdimento, che era angoscia, ferita e dolore. Con le uniche risorse che sentiva di possedere: le Immagini, le Parole. Le sue Ali di ricambio per tentare nuovi Voli. Un predestinato? Forse.

Le ultime Ali sono bianche di Salvezza, sono saldamente legate alla fanciulla occhi di sfida sotto un cielo torbido che non promette nulla di buono. Ma le sfide servono a temprare lo spirito, a far superare la paura, a tentare nuovi percorsi, nuove possibilità di rinascita.

“La creatività ci fa rinascere infinite volte”(Erich Fromm).

È quanto affermava Giovanni Gastel, parlando di sé e della sua vocazione all’Arte in tutte le sue molteplici desinenze. Vocazione nata proprio sulle acque del lago di Como, dove aveva incontrato l’Eleganza della natura e lo “splendore delle architetture e dei giardini poggiati sull’acqua”, definendo una Perfezione che si realizzava in una perenne Armonia, rimasta per sempre negli occhi e nel cuore di quel ragazzino irrequieto, ma già tanto attento alla “magia del reale”. Lui era consapevole dell’“immenso” privilegio che gli era toccato in sorte, ma anche dell’“immensa” responsabilità di dover essere sempre all’altezza della situazione, sfruttando al massimo i suoi “immensi” talenti per andare oltre ogni possibilità umana.

Esaltazione e perdizione insieme. Vinte col suo cuore colmo di tanti doni, tra cui il più grande: l’Amore, come dono di sé agli altri.

E l’ironia, con cui aveva imparato a tenere sotto controllo la malinconia, quasi una “saudade” (che i portoghesi o i brasiliani identificano con una sorta di nostalgico rimpianto) per quanto ci accade in un precipitare di giorni che ci danno come un presentimento di quanto non riusciremo più a vivere, ad assaporare nella lentezza di un futuro che ci sembrava eterno e tutto nostro. Ritengo che in Gastel abbiano avuto l’una e l’altra perlopiù lo stesso valore. Non a caso, Maria Corti, scrivendo di Cavalcanti, definì l’ironia la “splendida virtù dei malinconici”.

Con l’ironia e l’autoironia tutto diventa più lieve, sorridente, sopportabile. Persino la propria identità dimidiata. Già l’identità di per sé è un’arma a doppio taglio: dà la certezza della propria unicità, ma anche la responsabilità di sentire gli altri “diversi” da sé. L’identità, dunque, consacra e dissacra. L’ironia tende al compromesso di accettare, con ariostesca o anche manzoniana “bonomia”, sé stessi e gli altri in un processo di salvifica semplificazione della vita. Un banalmente “ridiamoci su”. È quanto si evince sia da alcune situazioni che i protagonisti vivono in “Duetto profano” sia da alcuni versi della raccolta di poesie, sia dalle immagini di alcune fotografie, che non risentono mai delle ingiurie del tempo, e soprattutto da alcune situazioni dialogiche con i propri followers, verso i quali Giovanni Gastel era sempre prodigo di parole affettuose sorridenti e gratificanti, da vero gentiluomo qual era. Ma il tempo stringeva e la malinconia sempre più spesso prendeva il sopravvento, malgrado tutte le buone intenzioni e i buoni propositi, soprattutto onirici.

E così, mentre si andava “facendo sempre più tardi” (Antonio Tabucchi), non era più l’Endimione dell’ultima foto, inserita nella raccolta, in cui aveva gli occhi chiusi per non vedere il mondo e rimanere eternamente giovane (il mito greco e i suoi simboli e i suoi eroi), ma un uomo che aveva avuto migliaia di doni dal cielo ed era fiero delle sue radici per quanto di irripetibile e unico e grandioso gli avevano destinato, e delle sue foglie rampicanti che per istinto ora sapevano le più percorribili vie dell’anima, senza più “gallerie oscure” (Machado), ma luminosi percorsi per afferrare astri di splendore e farsene dono. E farne dono a quanti amava e lo amavano. Ed erano e sono davvero tanti. Potrebbero pareggiare il numero delle stelle?

Oggi solo serenità./ La vita è una struttura fragilissima./ Ma a volte viverla è bellissimo”. 

Ed ecco una delle più profonde poesie di Giovanni Gastel sulla fierezza e incommensurabilità del suo amore paterno, a conferma di quanto detto sin qui:

ma se di questi

sentimenti

incisi nell’anima

potessi fare un canto

finale

quale poesia non

scritta

troverei nel profondo?

Che sia più densa del

tuo bacio figlio

che sia più amara

del tuo allontanarti per

la tua via

che sia più definitiva

del tuo osservare la

vecchiaia

scivolarmi addosso

ogni giorno

Quale voce uscirà da

questa mia solitudine

se non la poesia del

distacco?

La canterò anche per te

figlio

che mi guardi con un

sorriso paterno.

                            Castellaro 2018

Il commento a domani perché è lungo e articolato per cui ci sarebbero altre pagine da leggere e ho verificato che sono state troppe le pagine del 13 marzo. Non so come abbiate fatto a leggerle. Vi sono profondamente grata. A domani, carissimi. Angela/lina

 

 

  

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