venerdì 26 aprile 2024

Venerdì 26 aprile 2024: IL MIO RAPSODICO "SPOON RIVER" CHE MI PORTO NEL CUORE... (continua)

L’incontro con Germàn, e la sua tenera nuova compagna da dieci anni, è stato bellissimo, pieno di ricordi e di nostalgia per come eravamo, ma anche con nuovi progetti da realizzare insieme per ritrovarci ancora. E stamattina sono partiti non senza la promessa di rivederci a settembre, lui in Europa per una nuova Missione di Pace che attraversa il mondo intero, io con la gioia di una silloge poetica a quattro mani in versione bilingue (italiano e spagnolo). Da realizzare quanto prima. Ma, intanto, è tempo di riportare quanto scrissi un po’ di anni fa “chiacchierando” amabilmente con mio nonno e non ero ancora inchiodata irreversibilmente sulla mia "provvidenziale" sedia a rotelle, che mi permette ancora la gioia di scrivere: <Sono proprio i nonni e le nonne, che un tempo hanno fatto la rivoluzione illudendosi di cambiare il vecchio mondo, le colonne portanti della nuova società “delocalizzata” e senza punti di riferimento solidi. Con le loro pensioni, mai adeguate alle loro esigenze e ai tanti problemi di salute, ma quantomeno fisse e sicure in tanta precarietà e scarso lavoro per i giovani, aiutano anche economicamente, come possono, figli e nipoti grandicelli e in attesa del primo impiego; sono loro a prendersi cura dei nipotini, portandoli a scuola e sostituendosi ai genitori, sempre più impegnati in lavori che li portano fuori di casa per molte ore al giorno. E sono loro che vanno a riprenderli in paziente attesa dietro i cancelli delle scuole per portarseli a casa per il pranzo e/o la merenda e la cena. E li seguono nei compiti. E guardano insieme la TV. E magari riescono anche a giocarci un po’. Sì, sono loro i misconosciuti eroi del nostro tempo, a provvedere a tutto questo, nonostante abbiano ancora hobby e passioni, e un indomito spirito di libertà. E i più abbienti (sono in molti che vivono con vergognose pensioni da fame) abitano in comode case con termosifoni e rari camini. Case, blindate come fossero casseforti o prigioni. Noi, nella nostra casa al quarto piano nel nostro paese, che poi ho lasciato ma mai abbandonato, avevamo una serratura speciale che il capo famiglia, sempre alla ricerca di novità, che destassero meraviglia in noi e negli altri, si era preoccupato di far installare: una sorta di combinazione da cassaforte con numeri segreti per ogni scatto. Il nome da comporre era: lina. Con una parola d’ordine: girasole, l’appellativo che lui mi dava nei momenti di tenera ironia. Girasole = Lina. Oppure: lucerto-lina. Per il mio crogiolarmi al sole durante le nostre lunghe e imperdibili vacanzeMa anche Lina ormai non è più la stessa nella apparente conformità a sé stessa. Certo, conserva imperterrita i capelli biondi e la matita agli occhi e labbra di rossetto, ma con nuove rughe a segnarle il viso su un corpo che ha perso centimetri (tanti) e ha preso chili (molti). E zoppica ed è lenta e cauta nei movimenti. Come da bambina, non sa più muoversi con la disinvoltura conquistata negli anni delle immaginate corse e dei reali silenzi. Lungo strade solitarie più pensate che vissute. Rare e preziose furono quelle percorse con suo padre a farle da guida e da comando. Lina, allora, finalmente col suo stesso “passo svelto” ad accompagnarlo nei rari momenti di insolite intese. Anche la mia scrittura come vedi è cambiata Difficilmente scrivo ancora riproponendo le voci del passato nella lingua del passato… quasi con forza le trascino le nostre antiche voci, tra un dubbio e un assalto improvviso al cuore. Quasi fossero fazzoletti con nodi di ricordi che VOGLIO sciogliere per riappropriarmi, di volta in volta, delle innumerevoli espressioni dialettali che, un tempo neppure poi tanto lontano, mi riportavano a te e alle persone con te conosciute…  le loro voci, scolpite a caratteri cubitali nell’anima e ora abrase dal tempo. E quasi non mi riconosco più in quelle voci come non mi sento più immersa nella nostra bella lingua, sostenuta dalle parole che so. Nel nostro Paese, purtroppo, non ha più una sua identità la lingua italiana, mista ormai a tante parole inglesi che servono a universalizzare la comunicazione; non si cantano più le nostre canzoni, ma quelle straniere e i nostri cantanti rabberciano i testi in altre lingue pur di fare concerti e riempire gli stadi in Italia e all’estero; e tantissimi sono i romanzi e i saggi che provengono da altre nazioni, altre culture.  Certo, è un bene enorme per abbattere barriere e distanze, ma è anche un male inevitabile per la forza identitaria della nostra bella lingua. Si dovrebbero conoscere bene altre lingue per evitare anche gli errori interpretativi delle traduzioni, ma non è facile per chi conta anni alle spalle e scarse esperienze di altri popoli e di lunghi viaggi. Per i giovani è diverso: hanno imparato presto a viaggiare, conoscono altre lingue e culture con soggiorni di studio e di lavoro all’estero, ma hanno perso il piacere della lettura. Certo, non si può né si deve mai generalizzare, ma in Italia ci sono ormai più poeti e scrittori che lettori. E nessuno più è veramente Grande, come i “Grandi” di un tempo, ma tanti sono Famosi, come un tempo non accadeva, mio caro papà. Bisognava cercarli nelle letterature e nei libri di scuola i veri Autori di opere immortali. Tu li leggevi su <Grand Hotel>, la rivista a fumetti che era dignitosa e molto diffusa proprio per le commoventi storie d’amore dei “Grandi Autori”. Oggi, basta un “passaggio” televisivo oppure tanti like (anche a richiesta!) ai post pubblicati sui vari social, un buon agente pubblicitario e… molte mistificazioni… e si diventa “importanti”, si diventa “quotati” senza mai essere diventati “Grandi” per davvero. Il mondo si è capovolto, papà. E non si sa più quale sia il diritto e quale il rovescio. Il mondo si è capovolto! E mi ritorna alla mente la bellissima canzone di Roberto Vecchioni che canta la impossibilità degli uomini a vivere da eroi più che da illusi avventurieri senza saper navigare. Si intitola, papà, “L’ultimo canto di Saffo” e ti sussurro solo alcuni versi: gli uomini son come il mare:/ l’azzurro capovolto/ che riflette il cielo;/ sognano di navigare/ ma non è vero…

C’è grande confusione. Bisogno di protagonismo. Si brama una vetrina. Tutto e subito. Anche senza talento. L’apparire prevale sull’essere. L’immagine domina sovrana. Si fa sempre più fatica a leggere. Decodificare la parola scritta è una perdita di tempo in un mondo che insegue il tempo e tenta di fermarlo in un eterno presente. Che sempre di più precipita nel vuoto senza fondo, che non è possibile riempire. Perché, se fosse possibile, sarebbe già una speranza… E invece ecco il passato dimenticato perché cancellato. Il futuro ignorato perché fa paura. Eppure c’è quasi un dopo in un alternarsi di culle e di urne. Niente più, dunque, è come un tempo. Né è possibile e giusto che lo sia. La storia dell’umanità si trasforma e cambia di generazione in generazione. Guai se non fosse così. Dobbiamo preoccuparci, però, che non si tratti di involuzione. D’imbarbarimento. Di corsa al nichilismo che attanaglia il nostro tempo, percorso dai mille tentacoli del nulla. Io stessa non sono più uguale a me stessa. Non ho più occhi bambini con cui guardare questo “nuovo” mondo e descriverlo con la stessa ingenuità, la stessa freschezza. Non ho più un cuore fiorito d’innocenza. Un colore verde-prato su cui adagiare le mie speranze. Un sogno d’amore da rincorrere a perdifiato. Non ho più fiato. Non cammino più a piedi nudi tra l’erba e il mare. Non cammino più nella libertà di andare. Anch’io come te, negli ultimi anni del nostro stare insieme, mi appoggio non al bastone, che rifiuto, ma ad una stampella o, in alcuni casi, a due. E rifiuto il bastone perché lo percepisco come un “sostegno finché morte non ci separi”, mentre la stampella mi offre l’illusione dell’“appoggio momentaneo” (il tempo di una qualche riabilitazione, che in realtà mai più mi darebbe la funzionalità perduta). Tutto anche in me è cambiato. E oggi più che mai il mondo continua a cambiare, perlopiù in peggio. Purtroppo. Oggi, papà, c'è una corsa a diffondere rapidamente a distanze vertiginose maldicenze, volgarità, parole vuote di senso e di sentimento.  Si va ben oltre la televisione in bianco e nero che ti piaceva guardare negli ultimi anni del tuo mondo di “Carosello” e “Lascia e raddoppia” e di sceneggiati che ti appassionavano tanto. Tutto è vero e tutto è virtuale. Tutto accade e tutto ci sfugge nei meandri di una coscienza impoverita come l'uranio: guerre sotterranee e guerre evidenti. Fra conoscenti, amici e parenti, che ripropongono in piccolo quanto avviene nell’intero pianeta. Non esistono più i cortili, piccolo mondo antico di brevi passi e tante voci, del lento raccontare dei vecchi e i piccoli in cerchio ad ascoltare; esiste un’unica “città globale”, in cui è sempre più difficile riconoscersi e in cui non abbiamo più alcun potere decisionale, neppure per salvaguardare noi stessi. Nell’arco di cinquant’anni abbiamo costruito un mondo di pochezza e di miseria interiore senza accorgercene e con altrettanta incoscienza lo stiamo lasciando così alle nuove generazioni. E non bastano solitarie levate di scudi, soffocate dall’indifferenza dei tanti, per migliorarlo. Ecco perché sto invecchiando male. Oggi mi coinvolgo e piango per tutti i mali del mondo. Ma piango ormai molto meno per i miei. Cerco di tenerli a debita distanza. Di guardarli con occhi estranei. Quanto disincanto in tanta disarmante filosofia del “mal-essere”. E per questo ho smesso anche di cantare. Non riesco più a cantare per sconfiggere il dolore. E la terra è una polveriera a cielo aperto. Gronda sangue e lacrime e terrore. Stiamo vivendo una terza guerra mondiale più devastante e inquietante delle prime due. E l’unico ad avere il coraggio di gridare l’allarmato sdegno e l’accorata preghiera al mondo intero perché si abbandonino le armi per evitare la catastrofe per l’intero genere umano è un Papa che cerca in tutti i modi, con l’esempio, la parola e rivoluzionari provvedimenti, di riportare la Chiesa al Cristianesimo dei primi martiri, alla povertà e alla purezza delle prime comunità cristiane. Bisogna almeno preservare i giovani da tante brutture e violenze. “Come frecce in mano ad un eroe sono i figli della giovinezza”. Tu il nostro eroe, noi le tue frecce negli anni della nostra giovinezza e ancora prima. Ma come dirlo ai nostri giovani che, in un mondo così difficile, alcuni adulti e vecchi credono nella “pienezza” e nella esuberanza della loro giovinezza? Che c’è ancora chi li ritiene volàno di ogni possibile realizzazione? Come incoraggiarli a trovare le giuste coordinate della mente e del cuore? Cosa raccontare ai giovani, papà? Quale pensiero positivo trasmettere? Quali pensieri di salvezza perché si trasformino in progetti di vita e non in ossessioni di morte? Tremo per il loro inascoltato cuore in questo tempo misero e infeliceIo stessa sono un altrove di me… e ciò mi spaventa e mi rende anche più forte perché sono io stessa il mondo che cambia in un mondo che resta. Una quasi forza d’animo mi accompagna. Conquista non facile per una come me, sempre in bilico tra nuvole e stelle. Tra mare e scogli. Io stessa rischio continuamente il naufragio. Poi, però, sento che in tanta trasformazione molto, a ben guardare, è rimasto immutato: resta la luce dell’alba dopo ogni più fitto buio della notte. Il cielo azzurro torna dopo ogni temporale. Il mare, dopo ogni naufragio di uomini disperati e di bambini lasciati alla pietà di spiagge deserte e senza sole, canta ancora la sua nenia per fare addormentare barche stanche alla riva di ogni esausto approdo. Resta il filo d’erba testardo a vincere la pietra delle strade e l’indifferenza degli uomini. Resta il volo degli uccelli nella libertà del cielo a contrastare ali d’acciaio con rotte stabilite e mai disuguali. Resta nascosto nell’anima, perché ci manca persino il tempo per scoprirlo, un bisogno di bontà e solidarietà, tra tanta violenza, tanta indifferenza, tanto rifiuto dell’altro, che “vogliamo” nemico ed ha il nostro stesso cuore… Ma, prima che nuovi danni irreparabili si prendano gioco del mio corpo e della mia mente, prima che i passi dei miei figli e dei figli dei miei figli mi lascino indietro sulla riva, devo completare per loro questo dono perché abbiano un sogno cui aggrapparsi sempre. Una scia luminosa da seguire nei momenti bui che sicuramente verranno. Una scia di tutto il bello e il buono e il giusto che rimane sempre e per sempre nella storia degli uomini semplici come te, senza che si faccia mai Storia. Eterna e silenziosa (quando non rivoluzionaria!) àncora di salvezza per l’intera umanità. Ricami di luce sulla tela grezza del telaio di ogni giorno… TU: MIA E LORO LUCE, MIA E LORO FORZA, MIO E LORO CORAGGIO… (e non è più un mantra, è un bisogno dell’anima). Non puoi dileguarti anche tu con il mio addio al mondo. Oggi mi si dice con malcelato rimprovero: “Stai invecchiando male, mai un sorriso un bacio una parola di speranza d’incoraggiamento. Eppure hai avuto tanto dalla vita e ancora ricevi tanto…”. Chi ha ragione, secondo te, papà? I miei figli che si rammaricano dei miei silenzi o i miei silenzi che non si fanno parole e sorrisi e incoraggiamenti perché non trovano più consonanze e verità fuori e dentro di me? Corrispondenze leali, attente, come quelle che un tempo lontano erano il nostro pane quotidiano? Sono cambiata, certo, sono cambiata e la prima a subirne il danno è: quella bambina tutta parole e sorrisi e moine che ti afferrava il cuore e da te prendeva linfa vitale (papà sei sveglio? papà mi porti con te in campagna? papà mi racconti la fiaba delle serpi che erano due fate? papà vieni a mangiare con me le acciughe e le olive alla calce? papà mi vieni ad aiutare a salire sul cavallo? papàaaa è scappato il canarino corri corri vieni a prenderlo sta volando sul gelso… papà sei sveglio? non ti addormentare prima di me… papà… giurin giurello non lo faccio più…); quella ragazzina con la testa arruffata di sogni e di illusioni, che viveva di storie da inventare per essere felice (tranquillo non lo faccio più… adesso m’invento un altro cielo dove essere libera senza farti inquietare… m’invento un'altra storia per poter dormire e un altro amore per poter sognare…); quella giovinetta con tanti progetti da lanciare alle stelle e corse d’amore e doni a piene mani(“come te non c’è nessuno/ tu sei l’unico al mondo”, cantava al suo ragazzo con la voce di Rita Pavone… e c’entravi sempre tu…); quella donna annichilita di fronte ad ogni tipo d’incomprensione o di esplosione di rabbia rancorosa su inesistenti appigli (“… Pensa tu al tempo che c’è sfuggito;/ Al canto che poteva essere nostro,/ Alla solennità di tanta luce/ Sprecata sui nostri volti./ Pensa tu, dall’alto,/ Al sangue che si ammala/ Per poche parole buie”… Marino Piazzolla la consolava e il suo pensiero volava a te nell’incontaminato tuo cielo di piogge come lavacri e perdoni… mentre Alda Merini, non ancora così nota, le suggeriva: “… tocca sempre inventare il cielo per essere felici”; quella donna, ormai già in là con gli anni e moglie e madre e nonna, dolorosamente sorpresa dalla inconsistenza di rapporti che credeva indissolubili come tu le avevi insegnato (quànnə sə dèjə la paròulə chèrə ava jéssə nàngə so’ sàndə crìstə e madónnə la paròulə jè ióna scəchìttə l’ómənə ca jè jómənə tèinə ‘na faccia scəchìttə… scəchìttə ‘nu səndəméndə…) (quando si dà la parola bisogna rispettarla e non ci sono santi cristi e madonne la parola è una sola e l’uomo che è uomo ha una sola faccia… un solo sentimento…). Affetti, amicizie, fiduciosi abbandoni a confidenze del cuore e porti sicuri dove attraccare l’anima e farla riposare. Tutti dissolti o quasi? In parte, sì! Quella bambina-adolescente-donna è costretta ora a fare i conti con rapporti naufragati nel pantano di finta amicizia e cauta indifferenza, di illazioni a buon mercato, di voci e maldicenze alle spalle, di sospetti senza confronti schietti e sinceri, di pregiudizi, o di deduzioni sbagliate perché di parte (senza il minimo discernimento critico tra semplici inadempienze, forse non volute ma imposte da circostanze che non si sanno e che tenacemente, con la protervia di chi si ritiene al di sopra delle parti, non si vogliono sapere per non essere in debito), di intrusioni di falsi amici, pronti a sparare a zero pur di rimanere sul carro di chi ha sparato per primo e vanta le sue ragioni per non essere travolto dal mare agitato delle sue stesse paure, delle sue stesse inadempienze, e queste ultime forse più gravi e forse più colpevoli… “chi è senza peccato…”. Con sgomento quella donna, fiduciosa e inerme, di tanto in tanto ha subito linciaggi improvvisi da pseudo amici o colleghi, cui prestava sempre il fianco per troppa ingenuità: lei, ansia di volo sulle miserie umane tanto da non vederle per poterle combattere. (niente è come appare… tutto è come a noi sembra… anche per questo tutto muta e ci destabilizza ci disperde…). Quella donna sa che chi si realizza per quello che è, e sa di essere… per quello che può, e sa di possedere, è sereno e appagato, perché non ha bisogno di nulla di più di quello che è, che sa e sa fare; e si basta. E non accusa nessuno dei suoi errori, né si vanta delle sue conquiste. Siamo tutti unici sotto il cielo. Niente e nessuno ci può dare di più di quello che siamo o ci può togliere qualcosa di quello che sappiamo fare. Con le nostre forze, il nostro talento. Poco o tanto che sia. Tu glielo hai insegnato col tuo esempio. Quella donna sa che fondamentale è il rispetto per ogni altro da sé, amico   o nemico che sia. Tu glielo hai insegnato in ogni attimo della tua vita. Ma quella donna tace per non ferire come è stata ferita. La vita è anche generoso silenzio. Anche questo tu le hai insegnato. Di qui, l’assenza di rancore, ma anche l’impossibilità di passi di ritorno. (“E poi ti trovi che un giorno sei tu ad avere l’arma ma non spari, perché di colpire chi ti ha ferito non te ne importa più nulla”… è ancora Alda Merini ad offrirle un appiglio di incontaminata fierezza…). Succede anche questo nella vita degli uomini ed io, che mi ritraggo sempre con profondo dolore, sto imparando a tenerne conto (niente è come appare eppure tutti siamo pronti a giurare di essere gli unici a conoscere la verità). 

A risentirci! Un abbraccio a tutti. E sempre grazie. Angela/Lina

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