lunedì 8 aprile 2024

Lunedì 8 aprile 2024: UNA SERATA DA RICORDARE CON IL GRANDE ANTONIO GIACOMETTI...

 Due sere fa ho avuto la fortuna di incontrare, nel Museo Archeologico - Fondazione De Palo-Ungaro di Bitonto, il bresciano Maestro Antonio Giacometti, Autore del Libro PASSAGGIO A NORD-OVEST – Riflessioni amazzoniche, appena pubblicato dalla SECOP edizioni di Peppino Piacente. Di Antonio Giacometti c’è naturalmente una vasta bio-bibliografia sul Libro, ma anche su Google, per chi volesse approfondire il calibro culturale e umano, di cui si è parlato l’altra sera. Ed io ho avuto la fortuna di leggere in anteprima la bozza del Saggio per poter scrivere la Postfazione, che amo definire “Tracce”. Accanto a lui ho incontrato il carissimo Nicola Pice, in veste di Relatore, e Vincenzo Mastropirro, altro carissimo amico di oltre quarant’anni, che ha emozionato il numeroso pubblico con la sua straordinaria esecuzione di una preziosa quanto complessa partitura musicale per flauto, scritta   parecchi anni fa, completamente a mano, su una poesia della scrittrice e poetessa tedesca Nelly Sachs, Premio Nobel per la Letteratura (1966) dal Maestro Giacometti. Intuibile la difficoltà di Vincenzo, che ha dovuto cimentarsi durante l’esecuzione del brano anche con le parole in tedesco, ma se l’è cavata egregiamente. Il Maestro Giacometti è, come è facile intuire, fraterno amico di Vincenzo, accomunati dalla stessa talentuosa passione per la musica e la sua composizione.

La serata è stata introdotta e coordinata, con grande padronanza del Testo e con ventennale maestria da Raffaella Leone, P. R. della Casa Editrice, insegnante e scrittrice per bambini e adulti col cuore bambino. Io sono stata chiamata dall’editore per concludere la serata con le mie “Tracce”.

Il primo intervento è stato quello magistrale di Nicola Pice, che ha una cultura classica che gli permette sempre di spaziare con disinvoltura dai grandi filosofi, poeti, scrittori greci e latini (Platone, Aristotele, Apuleio ecc.) a quelli contemporanei senza soluzione di continuità. Con padronanza assoluta delle parole e della storia non soltanto letteraria e umana, Nicola ha parlato del Saggio e di Antonio Giacometti con dovizia di particolari e con riferimenti precisi e coinvolgenti sulle sconvolgenti pagine, tutte da leggere per avere la dimensione della sua personalità e abilità come compositore e come scrittore. Peccato che Nicola Pice sia andato a braccio, come tutti noi, perché avrei documentato meglio su questo nostro blog la sua colta e profonda Presentazione. Lo stesso dicasi per le parole di Raffaella Leone. L’unica privilegiata sono io che ho conservato la motivazione delle mie “Tracce” in generale, e quelle tracciate per Antonio Giacometti perché possiamo avere insieme la percezione della grandezza incommensurabile del nostro Autore come uomo, docente, artista.

TRACCE sul Saggio di Antonio Giacometti.

… Nell’unità si ricompone

tutto il visibile, tutto il dicibile.

Restano le differenze ma scompaiono,

e non ci sono distanze di corpi

o rilievi di costruzione,

ma irrisori spostamenti nella creazione.

Niente al di fuori di quello che è.

Niente può uscire dal tutto,

amore semplicemente è essere,

essere parte di questo insieme...

(Cesare Viviani, stralcio della poesia

  “Silenzio dell’universo”, Silenzio dell’universo, Einaudi, Torino 2005).

*Da qualche tempo non scrivo più prefazioni ai libri che pubblichiamo ma postfazioni che amo definire “tracce”. Ossia non più un prendere per mano, “a priori”, il lettore per accompagnarlo lungo una via interpretativa da me percorsa durante la “mia” lettura, condizionandone magari il pensiero critico, e la libera interpretazione di ogni altro da me. Ma un riflettere “a posteriori” su quello che continua a vivere e a palpitare in me di quanto letto, assaporato, ripensato, rivissuto. In senso empatico, sintonico o anche distonico per un dialogo-confronto di due pareri combacianti o divergenti, ma assolutamente liberi e personali. La lettura di un libro e la sua interpretazione diventano più autentiche e vere. Lasciano tracce di memoria più durature perché più sentite e realmente condivise. Avrei potuto definirle orme, ma forse non avrei reso l’idea della loro persistenza nel tempo. L’orma è leggera e prima o poi svanisce. La traccia incide più profondamente e difficilmente si cancella. Del resto, Franz Kafka, ne Una lettera a Oskar Pollak (novembre 1903), scrive: Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. Ma è bene se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile al morso…  Sarebbe interessante riportare un più ampio stralcio della lettera ma, per quel che ci serve, è questo il punto focale della mia riflessione: un libro deve lasciare tracce profonde, vere e proprie ferite da cui rinascere migliori. Nel nostro caso, queste “tracce”, già da me ultimamente sperimentate, offrono una maggiore serenità di giudizio nei riguardi dell’autore e del lettore. E questo, a mio parere, fa la differenza. Diventa forse una prima recensione che possa sollecitare a scoprire il libro, a cercarlo in libreria, a leggerlo con quella curiosità che è sempre alla base della motivazione a intraprendere la meravigliosa avventura della “lettura”, come della stessa vita. E penso al verso conclusivo di una poesia di Danilo Dolci del 1974: “ciascuno cresce solo se sognato”. Verso, che indica, a mio parere, il potere motivante e trainante esercitato dalle aspettative che qualcuno (un critico letterario, un influencer?) inculca nella mente di un altro, senza però tener conto del retroterra culturale, della influenza ambientale, della personalità (condizione psicologica, sociale, umana), delle fragilità e dei punti di forza che ciascun lettore sente in sé. Verso bellissimo, pertanto, ma alla fine controproducente perché, appunto, come sostiene Antoine de Saint-Exupéry nel suo capolavoro Il piccolo PrincipeSe vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire la nave. Parole che, con varie metafore, invitano i lettori a riflettere sulle modalità giuste per desiderare di realizzare una lettura che sia specchio dei loro sogni e progetti di vita, desunti, in piena consapevolezza, dallo stesso progetto motivante dell’autore e del postfatore. Necessario diventa, allora, evidenziare in “Tracce” cosa rimanga del libro letto, quali le direzioni esperienziali idonee a ricostruire l’identità di lettore e la sua valutazione critica, libera e appassionata, dell’opera letta. A partire dall’interpretazione del libro come offerta di occasioni, di opportunità, che consentano il pieno maturare del lettore come Persona che, anche attraverso i libri e la lettura, sappia scoprire la responsabilità della sua dimensione molteplice: cognitiva, affettiva, spirituale, etica, estetica e politica. Può accadere, infatti, che un libro ben letto e ben interpretato e passato al vaglio del confronto (le recensioni e le presentazioni servono anche a questo) assolva il compito del pieno fiorire del pensiero e della conoscenza sempre più ampia nel lettore.*

TRACCE di ANTONIO GIACOMETTI, di cui ho avuto l’onore di leggere per prima, dopo l’editore naturalmente, il prezioso dattiloscritto. Prezioso perché? Ed ecco le “tracce” che mi ha lasciato dentro questo Saggio particolarissimo che condensa ed esplicita una cultura enciclopedica di rara caratura letteraria e poetico-musicale. Sono solchi profondissimi che andrò ad attraversare per dare un senso più ampio ad uno scopo altamente sociale e civile e a un fine nobile: la messa a fuoco della consapevolezza di sé, da parte di ciascun lettore, sull’ecosistema e il probabile equilibrio della natura, e ancor di più sulla natura umana, con dieci punti di riflessione, positivi e negativi, tutti da scoprire e valutare”; migliorare questo nostro “atomo opaco del male” (Pascoli, “X agosto”) in un “altro mondo possibile”. Impresa non facile, data la vastità dei riferimenti culturali a livello mondiale dell’opera che ha uno spazio-tempo che ci sembra illimitato, nonostante la data di nascita, posta fra parentesi dopo il titolo che è semplicemente una forte affermazione di sé: ANTONIO GIACOMETTI (1957). Ma c’è anche un punto 0 che dà l’avvio:

0.      Antefatti.

Anche gli “Antefatti”, però, sono solo un insolito modo, originale e sorprendente di presentarsi da parte dell’Autore con una litote astuta e coinvolgente che afferma e conferma ciò che nega: Non sono uno scrittore. E non sono neppure un filosofo, un antropologo, un ecologo. Appartengo invece a quella categoria di artisti che i teorici medievali accolsero tra le mura del quadrivio (le arti “liberali” contrapposte a quelle “meccaniche”), ma ai quali, ancora oggi, si fa molta fatica a riconoscere lo status d’intellettuali capaci di riflessioni trascendenti il campo d’elezione della loro attività. Un’attività che comporta comunque un aspetto pratico-artigianale. (…). Io sono un musicista, più esattamente un compositore, dedito da oltre quarant’anni alla ricerca di piani pedagogici, e relative traduzioni didattiche, capaci di realizzare percorsi educativi attraverso la musica e, in generale, attraverso le arti e le loro interazioni.

Come non parlare di “tracce” anche in questo caso? Giacometti mi dà una lezione acutissima di come si possa ovviare a una biografia dell’Autore da mettere magari sulretrocopertina, anticipandone il contenuto. Idea geniale che rompe schemi e tradizione. Altro elemento che ai più potrebbe sfuggire e che a me, che sono anche correttrice di bozze dalla nostra Casa editrice, salta agli occhi, sorprendendomi parecchio: le note a fine pagina rispettano le regole editoriali in ogni loro parte. Non è scontato. Anzi! E poi il rifarsi a Baricco per affermare la volontà che il suo Saggio (definito da Giacometti con un magistrale “colpo di cosa”: “libretto”) si faccia “storia” e non semplice narrazione, racconto. (Alla fine, questo libretto sarà la storia di un’inquietudine esistenziale profonda, ma proiettata verso l’esterno più che rivolta all’interno, perché innescata dalla consapevolezza di vivere in un mondo sbilanciato e sperequato, governato da un modello di organizzazione univoco, al quale ci si è adeguati nel tempo solo per comodità o necessità contingente, ben sapendo che, sotto le coltri calde e accoglienti di un benessere epidermicamente vissuto, si nascondeva (e continua a nascondersi) lo sfruttamento e lo sterminio dei popoli, la distruzione degli ecosistemi, l’alterazione sistematica del clima). È solo un esempio della scrittura e del pensiero di Antonio Giacometti. Dietro un profluvio di parole si condensano concetti che connotano la sua personalità estremamente composita e ricca di “inquietudine esistenziale profonda”, rivolta all’esterno per incontrare comunque sé stesso incontrando Ailton Krenak e il suo pensiero divergente dell’Amazzonia brasiliana, totalmente adottata dal nostro Autore. Quanto c’è da apprendere da questo “libretto”! Esso si dipana lungo tutto il percorso dell’Amazzonia brasiliana, “luogo del cuore” divenuto tale dopo l’incontro con il settantenne giornalista e scrittore Krenak e dopo oltre quarant’anni di frequentazione, anche virtuale, con il grande antropologo italiano Roberto Malighetti. (Krenak, l’intellettuale indigeno impegnato e in prima linea, che cosa può innescare nel musicista occidentale curioso di questo mondo complesso, ma anche poco incline a rinunciare a quel benessere antropocentrico che crea danni a catena e a spirale? Questa storia (…) vive un movimento interiore continuo, ma, come dice anche Baricco, <non inteso come rettilineo passaggio da un punto A a un punto B, bensì come organizzazione dinamica di un’intensità proveniente da uno choc di partenza. È il campo magnetico che si forma intorno a un’illuminazione. La storia non è mai una linea, ma sempre uno spazio).

A questo punto ho necessità di scolpire un altro solco nelle “tracce” che di Giacometti vado evidenziando: la coralità. Ogni sua pagina è “intrisa” di altre figure, altre personalità, altre professionalità, che hanno lasciato, a loro volta, nelle strutture mentali del nostro Autore “tracce” che producono nuove conoscenze, decisamente arricchenti nel loro quadro d’insieme. Ma anche la stessa struttura del Libro evidenzia una sua inconfondibile originalità e coralità: la “PRIMA PARTE” riguarda “10 concetti-chiave: 1. Sensi di colpa, 2. Allarmi, 3. Le vite degli “altri”, 4. Indifferenza, 5. Profitti, 6. Migrazioni, 7. Bellezza, 8. Natura e cultura, 9. Gli inganni della Fede, 10. Omologazione, equilibrio e sviluppo. La “SECONDA PARTE” riguarda: le idee per rimandare la fine del mondo: 1. L’umanità che siamo. 2. Diversità. 3. Madre Terra. 4. Punti di vista: a proposito della fine del mondo. 5. Un altro mondo possibile. CONCLUSIONI: Che c’entra la musica? Ringraziamenti.

Ogni voce è un “pozzo senza fondo” di citazioni, riferimenti ad altri studiosi, riflessioni in proprio o desunte da altri “maestri”, tracce di film, memorie, miti e leggende d’altri tempi, pescati nei campi più disparati dell’umana esperienza, riportati alla luce, riattualizzati, resi vivi e palpitanti di vita propria nel mosaico perfetto di altre vite, dissonanti, combacianti, convergenti, divergenti in un puzzle paziente che rivendica la connotazione più vera e più ardita dell’intera umanità. Con i suoi valori e disvalori, con i suoi “punti di forza” e con le sue debolezze.

Infine, l’utopistica pretesa di costruire un mondo migliore.

Della “prima parte”, per esempio, sono rimasta profondamente colpita, nel primo concetto-chiave: “Sensi di colpa” dall’esergo Tutti pensano che sia ciò che dici a definirti, le tue opinioni, le tue risposte intelligenti o la conoscenza ostentata. Ma quel che davvero ti definisce è ciò che non dici, le lotte che eviti, le posizioni che non prendi, gli occhi che chiudi. Ogni persona è ciò che tace.

Una illuminazione anche per me. L’esergo non è del nostro Autore ma di Nicolò Govoni (N. Govoni, Se fosse tuo figlio, Rizzoli, Milano 2021, p. 207)

Anche Paul Èluard, parlando di poesia, fa riferimento ai silenzi più che alle parole, ai margini del foglio più che ai versi. Praticamente al “non detto”. Al “taciuto”, che alimenta il mistero e nuovi orizzonti da visitare per scoprire altro e altro ancora. Ma, a ben leggere, ogni parola-chiave, comincia con un esergo molto suggestivo ed esplicativo con riferimento ad un altro autore. Tutto ciò crea “flash emotivi” che illuminano ulteriori riflessioni sul mondo contemporaneo, nelle sue luci e nelle sue ombre. (Che sia questa una possibile chiave di lettura dell’umanità attuale, attraverso la quale modificarne il corso e le tendenze autodistruttive? Svincolare l’atto dalla finalizzazione, ritrovare la dimensione del piacere nella relazione con gli altri e con la natura che ci contiene, esercitare un’empatia universale che ci metta in contatto vero con la sofferenza del mondo. magari credendo fermamente, come Govoni, che <se non puoi cambiare il mondo, almeno cambialo per una persona>, almeno nel momento in cui ti si presenta l’occasione, senza girare la testa dall’altra parte, senza che il senso di colpa ti faccia vergognare, derubricando così un atto d’amore al livello di isolata (e in fondo inutile) manifestazione di pietà).

Basterebbe questo stralcio dell’immane fatica di Giacometti a renderci consapevoli del nostro vero compito su questa terra per alleviare le sofferenze di Madre Natura e di noi Umani, privi quasi del tutto della nostra umanità. Di qui il mio GRAZIE (e il grazie di ogni lettore) a quest’uomo, un eletto sicuramente, che ha fatto della CORALITA’ una fascinosa avventura, destinata a durare nel tempo e nello spazio. GRAZIE alla sua particolarissima scrittura, in un crescendo continuo di sintesi e analisi, in un andare controvento sempre, per toccare il mistero della vita con le corde del cuore (musica, armonia, bellezza, solidarietà) a comprendere TUTTO e TUTTI. In questa “rappresentazione” del mondo che a noi tutti appartiene. Senza il nostro sguardo a guardare, indagare, scoprire, il mondo non esisterebbe. Verità aperte a nuovi orizzonti o le “tracce” si disperderebbero. Ritengo, pertanto, giusto chiudere queste mie riflessioni “a posteriori” con un ultimo stralcio connotativo di tutta la complessa filosofia di VITA di Antonio Giacometti.

E per oggi mi fermo qui per completare domani il mosaico d’insieme di una PERSONA che merita di essere conosciuta, apprezzata, seguita a trecentosessantagradi. Grazieeeeeeee. A domani. Angela/Lina  

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