Ho il biglietto per un viaggio
che promette il Giardino come destino,
l’abitudine di vagare sulle ceneri
per non dimenticare il fuoco
e la voce di mia madre che di sera
mi avvolse con un fruscio di palme.
Ho anche l’obbligo di restare viva,
di preservare l’intoccabile
affinché il mondo continui ad essere
ciò che non sono.
Ma vivere in cerchio come una lancetta
di orologio finisce per stancare.
Quanta ironia: dover invecchiare
per riprendersi alla fine l’infanzia,
dover morire
affinché nessuno possa rubarmela.
(Lauren Mendinueta, “Ho il biglietto per un viaggio”)
È un esergo che sintetizza la vita tra urne e culle
perché tutto muoia e tutto rinasca per perpetuarne nei millenni il canto. E io
riprendo a raccontare per continuare con te, nonno amatissimo, a viaggiare tra
gli impervi dirupo e gli immensi prati della nostra terrena esperienza: La
vita. La morte.
Per questo, dopo un altro lungo silenzio, sto riprendendo a
scriverti? O chi o cosa mi spinge a farlo? Perché? Forse per via
degli anni che m’inseguono senza tregua. E la morte è già un inevitabile
richiamo. Forse perché i figli stanno scoprendo qualche filo argentato nei
loro capelli. Forse perché, ancora una volta, molti scenari sono cambiati nella
nostra costellazione familiare. Alcune stelle si sono spente, altre
accese. E, intanto, a riempire i vuoti lasciati da Primo e Pinuccio e,
ancora prima, da mamma, ecco nuovi bimbi a riaccendere la vita e la speranza
nella casa del gelso e delle rose, ormai di Anna Maria; nuovi
virgulti nella “casa di sopra”, abitata dalla famiglia di Pino,
nonno di altri due meravigliosi nipotini gemelli, Annalù e Vincent,
figli di sua figlia Anna Maria…; Lizia è diventata
nonna di Silvia, una bimbetta tutta moine e sorrisi, grazie a Gianfranco
e Leila. Fabrizio, invece, vive con lei e si prende cura dei
suoi giorni con devozione filiale. Anche Lizia da alcuni anni scrive e
pubblica poesie e interventi critici. Anche lei vive intensamente il mondo
dell’Arte in tutte le sue forme, con impegno, costanza, energia. E si circonda
di tanti amici che l’apprezzano e le vogliono bene. Ha conservato la sua
personalità discreta, schiva e silenziosa che la connotava da bambina. Si
dischiude ad ampie tenerezze con la nipotina, e per lei ha scoperto nuove
ragioni di vita.
Mi piace raccontarti di noi anche se so che di noi conosci
tutto: passato, presente, futuro. Anche le date del nostro raggiungerti dove è
solo Luce. È forse il privilegio di stare dall’altra parte del “muro
d’ombra”. E sai anche, perché tu me lo hai insegnato, che tutto passa e
tutto si ripropone a legare generazioni diverse e stessi sentimenti. Ogni
esperienza umana è individuale e universale. Per questo la tua storia
è la mia e di tanti altri. Storie di luoghi, di strade, di case, di voci. Di
mutamenti. Trasformazioni. Generazioni. Ritorni. Riproposizioni di vite
e di umane vicende ad ogni vita legate.
Ombretta ha chiuso col suo matrimonio naufragato
e ha aperto il cuore a un nuovo amore che le illumina occhi e giorni: sogni e
realtà da vivere in due. E il suo compagno, Riccardo, “cuore di
pane” e sorriso di chitarra, le/mi procura serenità, le/mi offre sicurezza e
protezione. Hanno un nido d’amore che si rischiara di albe e si accende di
tramonti; chiacchierano con le stelle e si appropriano della luna per farla
brillare tra le zampette di Rosco, Lamù e Lilith, i tre micini che
rallegrano la loro quotidianità con mille arguzie e infinite fusa. Stare nella
loro casa è come vivere di nuovo la poesia del nostro antico stare insieme
quotidiano: amarsi e comprendersi e sostenersi… E questo è
bello e mi conforta.
Giuliano ha da alcuni anni una nuova
compagna, Viviana: bella e allegra conchiglia ad accoglierlo con
complicità, quasi canto di sirena ad incantare il mare. Insieme colorano di
mille avventure e vivaci allegrie gli annuali calendari, anche profumati di
ottimi manicaretti nella cucina della pazza e accogliente casa, che vorrebbero
guscio solido e duraturo per il loro amore. Avevano un cane femmina, Gaia,
compagna da tempo immemorabile di Viviana, e che ora non c’è più per via dei
tanti anni e dei numerosi danni alla sua salute sempre più malandata. Ma loro
le hanno prestato tante cure e le hanno dato tanto amore, come avrebbero fatto
con un bambino o una persona anziana. E anche questo lascia ben sperare ad una
madre che segue da lontano e trepida e non si arrende, pur invecchiando.
Daniela sta attraversando un periodo difficile
tra mille impegni di lavoro e anni di solitudine subìta e cercata, per via di
un amore che le ha lasciato amarezza, diffidenza, disincanto. Ha, però, una
deliziosa casetta tutta sua e varie attività professionali che l’affaticano, ma
le procurano anche notevoli soddisfazioni. Vorrebbe una situazione più stabile
e sicura in tanta precarietà. E io sono fiduciosa. “La vita è una ruota”,
dicevate tu e la nonna per rincuorarvi e rincuorarci nei momenti bui della
vostra e nostra non sempre facile esistenza (non sempre si può stare in alto
non sempre in basso la ruota gira). Sì, girerà anche per lei. Ne sono
certa. La vita distribuisce gioie e dolori. Occorre resistere. Non
mollare mai. Andare avanti. Anche lei ha un gatto tenerissimo e
tremebondo, sempre in ansia per qualche catastrofe che non sa dire e non
saprebbe scongiurare. È Zaghiro (o Zaghi) ora a farle
compagnia e a movimentare le sue notti. Gli animali domestici trovano tra molti
giovani, oggi, braccia d’amore ad accoglierli per ovviare anche ai bambini che
non vogliono o non possono cullare per via di un mondo sempre più precario e
complesso, violento e disumano che fa paura. E, anche se questo non lascia
molti margini alla speranza, può darsi che offra qualche appiglio alla
evoluzione positiva della società. Tra tante brutture e cattiverie
spiragli di luce. E proprio Daniela, proprio lei, che ora ha bisogno
di carezze materne, mi ha fatto ancora una volta un dono dolcissimo: mi ha
dedicato “La cura”, una canzone meravigliosa di Franco Battiato.
Il cuore ha avuto un sussulto. Da tempo non mi
capitava. Che bello il prendersi cura di qualcuno. Ma è bello
anche sentirsi tra le braccia protettive di qualcuno e lasciare che siano gli
altri a prendersi cura di ogni cellula del tuo corpo, pur sapendo che sono
quelle invisibili dell’anima a fare più male. Ho ritrovato la sensazione di
essere al centro di quell’universo d’amore che formavamo io e te. Ma anche la
vibrante/dolente sensazione del dolce naufragio leopardiano che non sempre
viene interpretato nella sua abissale possibile verità. Non di pessimismo, come
si è soliti dire, ma di infinito, deluso amore per la natura il poeta parla. Il
suo immergersi beato in essa fa da contraltare alla nostra finitudine sempre in
agguato, mentre egli avverte tutto l’infinito dentro di sé, quello che va ben
oltre gli orizzonti che “nel pensier si finge”… (ma è solo una interpretazione
personale, che anche tu, ora, potresti smentire o confermare). Forse ho ripreso
a scrivere anche per questo. Forse perché i nipoti sono cresciuti e si prendono
cura di me e sono loro ora i portatori di sogni, i cercatori di stelle contro i
muri della notte. Forse perché è giunto anche per me il tempo del non avere più
tempo: ‘sono io ora in prima linea’. SONO INVECCHIATA COL ROMANZO CHE
PARLA DI TE E DI ME. DI NOI. Come avrei potuto concluderlo
quarant’anni, trenta, venti, dieci anni fa? Era necessario invecchiare perché
me ne prendessi cura come si fa con un figlio. TU MIO NONNO MIO PADRE
MIO FIGLIO. Per circa cinquant’anni ti ho portato dentro. Ora è
tempo di portarti alla luce. Ora, solo ora, è il tempo giusto. Ora che
mi sei tetto di stelle e culla di favole . Dimora di ogni mio giorno che si fa
presto sera. Tra tante perdite e tanto dolore.
E, infatti, giunse anche il tempo di dire addio a Nonna
Francesca. Solo qualche anno fa ho perso anche lei, che io chiamavo
“mamma” perché meritava, incondizionato, il nostro amore di figli, sia pure
acquisiti, perché mai ci aveva fatto mancare il suo amore. Era d’inizio estate.
Eravamo in vacanza. E lei, ormai novantenne, decise che era tempo di lasciarci
e, nell’arco di pochi mesi, prima che l’estate finisse, si spense. E a nulla
valsero le mie parole d’incoraggiamento a resistere perché avevamo ancora
bisogno di lei. Quasi quotidianamente abbandonavo il mare e cercavo con
Ombretta di raggiungerla per restituirle l’amore donato, ma questo non era
bastato a restituirle la voglia di vivere, dopo novant’anni di dono di sé agli
altri. E di inevitabili ferite, delusioni, amarezze, che ci celava.
Perdite e ancora perdite. Senza aver perso per
fortuna il senso magico del mondo e della vita. Ritengo oggi che la mia
esistenza sia stata costellata più di prodigi che di esperienze negative.
Persino queste ultime, alla fine, mi sembrano salutari perché mi hanno
insegnato a crescere e, in qualche modo, a diventare più forte, quasi
coraggiosa. Impavida anche di fronte alla morte. Ancora oggi “leggo”,
nei sogni che si aggrovigliano e si dipanano, segni e simboli della gioia e del
dolore. Occorre ritrovarne ogni volta il bandolo per scongiurare nuove ansie,
nuovi timori. E riscoprire la meraviglia di esserci in ciò che è, muta
e ridiventa uguale. Con la dovuta attenzione a tutti gli orizzonti
possibili da afferrare per continuare a vivere, anche quando si ha voglia di
lasciarsi andare. NON DEVO PERDERE MAI LA CAPACITA’ DI SOGNARE… SOLO COSI’
NON SENTIRO’ L’INUTILITA’ DI CONTINUARE… (ultimo mantra?). E
così ho ripreso a scrivere con l’imperativo categorico di completare il dono
prima che. Prima che nuovi cambiamenti stravolgano quelli in atto.
“Zingara anch’io errante in un universo frantumato”, come l’uomo contemporaneo
descritto da Jacques Monod. Già nell'arco di questi ultimi cinquantasette anni
dopo di te, quasi tutto è cambiato ed io mi ritrovo estranea in un mondo che
non è più il mio e soprattutto non è il tuo. Ma devo pur fermarmi da
qualche parte per ritrovarmi… E, come vedi, non conto neppure più i
calendari. Non ne sento più la necessità. Oggi confondo ormai i vivi con i
morti e viceversa. Non vale più la pena contare le assenze. Basta fare
attenzione, per quanto possibile, alle presenze. (Ora che sono
invecchiata anch’io… il mondo cambia oltre il mondo che resta. (…). Certo,
il mondo cambia inavvertitamente, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi e noi
ne ignoriamo il cambiamento fino a quando, improvvisamente, abbiamo la
percezione che nulla è come prima o forse ne è rimasto ben poco. Anche dove
credi di avere le tue radici. Nel nostro paese dei molti ritorni non ci sono
più le stesse persone conosciute o amate o soltanto incontrate per caso. Non ci
sono più gli stessi campi, le stesse strade, la stessa periferia o gli stessi
negozi, le stesse case, gli stessi palazzi, lo stesso viavai, le stesse gonne e
scarpe, gli stessi cappelli, le stesse canzoni, le stesse voci e gli odori e i
rumori e persino l’atmosfera, che tutto racchiude in lontane nostalgie e
vivifica con improvvisi ricordi. Non ci sono più i panni gonfi d’aria e di
pulito ai balconi dell’infanzia né i cortili aperti alle strade amiche né gli
schiamazzi dei bambini sui marciapiedi alla controra. Ora assordati da macchine
e assaliti dal nero di marmitte fumanti. (…). Oggi, in tutti i
paesi che attraverso, sono pochissimi gli usci
dischiusi d’estate con i vecchi a raccontarsi seduti sui marciapiedi
ad un passo da casa. Non ci sono più i vecchi per strada. Anche se i vecchi
sono tanti e i bambini sono pochi. Ma non si vive più per strada come un tempo.
Il tuo tempo è irrimediabilmente perduto. Ci sono macchine e ancora macchine. E
un andirivieni frettoloso. Senza neppure un saluto. Nessuno ha più tempo né per
sé né per gli altri. Persino i ragazzi s’ignorano tuffati nei loro smartphone anche
quando camminano. Le braccia tatuate come solo i carcerati, un tempo. Anche
Giuliano, lo sai, non ha saputo resistere. Fa parte della generazione allevata
a merendine e Nutella, con i cartoni animati e le guerre stellari e gli ufo nel
giardino e la paura dimenticata (heidi heidi ti sorridono i
monti… dolce remì… anna dai capelli rossi… jeeg robot d’acciaio… goldrake e
l’alabarda spaziale e mazinga e…). Teneri cartoni animati di
prima generazione, in cui c’erano quasi sempre bambini orfani o abbandonati con
un nonno come te oppure con tante persone di cuore che se ne prendevano cura,
in una natura incontaminata e felice… bella da guardare. Da vivere. Poi,
arrivarono dall’America tutti i meravigliosi cartoni animati della Walt Disney
a colmarci di bellezza, musica, fantasia gli occhi e il cuore… E più tardi
i videogiochi (pong… tetris… nintendo… spizzico… commodore 1 e 2 e
3 e 4 e la play station 1 e 2 e 3 e 4…
e via via fino ai nostri giorni…) per trattenere in casa i bambini e i ragazzi
ed evitare così i pericoli della strada, senza dare fastidio ai genitori sempre
più alle prese con il loro lavoro e la loro realizzazione nel sociale. I
sottani e le case a pianterreno furono divorati dai “grattacieli” di sei-sette
piani con gli ascensori e le porte di casa chiuse e ostili ad aprirsi agli
altri per fare amicizia o andare lontano. Non più i giochi sui marciapiedi; non
più i campi in cui scoprire gli ulivi e i mandorli e i ciliegi e “rə viòulə e
rə cəcàlə e rə gəsìppə də fòurə” (le cetonie e le
cicale e i grilli); non più i nonni come te a raccontare favole e altre storie;
non più le nonne come nonna Angelina con “il tuppo” e i capelli bianchi e il
grembiale mille-usi. Erano ancora molti i nonni e le
nonne raccontafavole come te. Oggi non più. I nonni di oggi
hanno fatto il Sessantotto e portano ancora i radi capelli con lunghi astenici
e malinconici codini, l’orecchino al globo sinistro e parlano, come i lontani
figli dei fiori, di rivoluzione e d’avventura. Sono colti, supponenti, spesso
arroganti. Hanno fumato lo spinello e occupato le università, probabilmente
hanno anche sniffato altre droghe, che nel frattempo sono diventate la piaga
dei nostri giorni per ragazzini, giovani e adulti. Gli anziani sono impegnati
nei tornei di burraco e scarsamente propensi a giocare con i bambini o a
raccontare storie. A raccontarsi. Vestono come i giovani e hanno capelli neri e
biondi e un abbaglio di denti nuovi e di bocche senza sorrisi. Pure,
guai se non ci fossero. (…)
E domani viene dal Cile a trovarmi il mio meraviglioso amico di oltre quarant’anni Germàn Rojas! Una giornata intera fino a dopodomani tutta per noi. Per raccontarci. L’amicizia, quella autentica, è come un’eterna primavera. Sai che rinasce sempre e ti regala sempre il sorriso dei fiori… Ma intanto oggi è un giorno particolare: 4 - 4 - 2024. E il 4 indica la stabilità della famiglia, la protezione della casa, la solidità degli affetti veri. Sono cose che amo profondamente. Ma Buon 25 aprile!!! Bella Libertà a tutti! A presto. Angela/Lina
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