lunedì 22 aprile 2024

Lunedì 22 aprile 2024: IL MIO RAPSODICO "SPOON RIVER" CHE MI PORTO NEL CUORE... (continua)

Oggi è la Giornata Mondiale di Madre-Terra, e, prima di riprendere il mio raccontare per raccontarmi e raccontarvi, penso che sia un atto di amore e di appartenenza dedicarLe qualche verso e invito tutti a farlo. Sarebbe bello riempire il nostro blog di poesie dedicate al cuore di chi ci è culla e urna: Madre senza confini e senza cieli divisi/ Madre “d’erbe famiglia e d’animali”/ canta il Poeta che de’ I Sepolcri conobbe/ il pianto disperato e gli “amorosi sensi”/ che “della terra e del ciel traveste il tempo”./ Inno alla vita di terra-cielo-mare in perenne dialogo/ e a grandi imprese/ a renderci immortali/ in sua difesa.// Terra-Madre Madre-Figlia-Madre-Madre-Madre Terra di mia Madre/ piegate/piagate le ginocchia a baciare/ i tuoi occhi di pietra viva/ smeraldi d’alberi/ al primo canto delle allodole in volo/ tra gli ulivi/ al primo refolo di vento/ sui fiori a primavera/ in un tramonto rosso rubino/ che non conosce sera/ ma sa del bisbiglio antico delle stelle/ e la risata d’argento delle follie d’amore/ al plenilunio che intenerisce il cuore / e negli occhi del mio gatto/ si specchia e s’addormenta sognando…Ma è tempo di riprendere a ricordare…E poco dopo ho perso anche Rina, la sorella di Primo.

Rina, che coraggiosamente aveva lottato per alcuni lunghi anni contro il mostro che le stava corrodendo il cervello, sopportando interventi dolorosi e prostranti, ora ci aveva lasciato, dopo aver preparato con amore il matrimonio del suo unico adorato figlio, Domenico, straordinario violinista e concertista, e dopo averlo portato con tanta fierezza e tanto orgoglio all’altare. Missione compiuta. Ora poteva anche andare. In silenzio. Con Michele, suo marito, ad assisterla in silenzio. Poi, solo qualche anno dopo, anche lui l’ha raggiunta per raccontarle di due nipotini meravigliosi, che aveva fatto in tempo a cullare tra le braccia. Ma lei sapeva già e gli sorrise, complice, felice di essere di nuovo in due. 

2008: Primo è andato a fare compagnia a tutti gli altri rimasti solo nel cuore il 4 giugno: due ore dopo la mezzanotte. Furtivamente. Ha lasciato il letto, la casa, le sue tele, i suoi innumerevoli strumenti elettronici, i suoi racconti, le sue poesie sempre più tristi e disperate, i suoi progetti di pubblicare ancora, i suoi sogni. I miei capelli. Le mie mani. I miei tormenti (dormi adesso, ne parliamo domani, ma perché mi devi parlare di notte e non di giorno? Dormi che è meglio…). Ed io ho continuato a non dormire e a scrivere per colmare ormai i vuoti di troppe assenze. Sì. Primo. che non temeva la morte. Che le faceva uno sberleffo ogni volta che entrava nella nostra casa. Ogni volta che la vedeva affacciarsi nella casa degli altri. (Perdemmo saluto e amicizia con alcuni coinquilini quando, alle grida disperate dei nipoti di una vecchina ultranovantenne nel nostro stabile, lui, sornione e irriverente, ci tranquillizzò gridandoci dalla tromba delle scale: “non è successo niente, è solo morta la nonna del primo piano”. E a noi che, pavidi per tanto pianto, eravamo dietro l’uscio socchiuso della nostra casa non sapendo cosa fosse realmente accaduto, si appiccicò addosso e nelle ossa un ulteriore sgomento). Lui era fatto così. Doveva ironizzare su tutto. E non risparmiava neppure la morte, che non lo risparmiò, visto che avrebbe potuto ancora contare calendari e scrivere e dipingere ancora e ancora godere delle albe e dei tramonti. Dei nipoti. Del mare. Primo. In poco più di mezz’ora, in quella notte d’inizio giugno, di pioggia sui tetti e di ciliegie sul tavolo in cucina, e di attesa di rivedere il mare, ho perso il mio compagno di vita con la sua ultima disperata dichiarazione d’amore“Ti ho amato sempre Ti ho amato tanto”. Del prima, durante e dopo quel lunghissimo giorno ho già raccontato tanto. Primo. La corsa contro il tempo. La pioggia del giorno dopo. La pioggia. Mi riporta a mio nonno. Riparto da lui per riprendere a sentirmi viva. E riparto dalla mia insonnia con cui continuo a fare i conti. Anche per questo scrivo così tanto. 

<Non dormo. Soffro d’insonnia da sempre. Ricordo che da bambina contavo i battiti del cuore nel buio che mi faceva paura e non sapevo andare oltre le dita delle mie manine e allora ricominciavo perché i battiti erano tanti e le mie mani erano solo due e non riuscivo ad andare oltre il dieci. Tu mi avevi insegnato a contare sulla punta delle dita, dapprima per indicare i miei anni: uno due tre… poi, per sapere il numero dei giocattoli: uno, la bambola; due, il cavalluccio; tre, il ferro da stiro; quattro, la cucina; cinque, il pianoforte… Prendevi le mie manine e aprivi ad ogni numero un ditino perché fosse più semplice contare, perché fosse più chiaro il numero raggiunto. Non mi potevo sbagliare. Il pugnetto chiuso era il numero zero. Poi, ecco tirare fuori il pollice e poi l’indice e poi il medio, l’anulare e il mignolo (…) e mi sfregavi il mignolino tra le tue dita e io imparavo e ti sorridevo appagata e mai stanca di ripetere il gioco per apprendere di più e meglio… Non dormivo e gli occhi in quel buio centuplicavano i fantasmi che si assiepavano sul mio letto e occupavano ogni angolo della mia cameretta, togliendomi il respiro. Per addormentarmi contavo, ma gli occhi non si chiudevano. Avevo bisogno della tua voce perché sapevo che sapeva fare la magia di accendere tutte le luci della mia anima e un canto di gioia mi saliva alle labbra prima di sognarti o di prendere forza e coraggio da te. Sempre presente nelle ore delle ansie e dei tumulti.  Non così quando pioveva. Allora era il suono cadenzato della pioggia a cullare i miei occhi. E la tua voce era un’eco che danzava tra le gocce del cielo, che venivano giù, e i miei pensieri colmi di te. Sempre così la pioggia. Anche oggi che non sono più bambina. Non dormo ma la pioggia mi calma. Mi porta da lassù fili d’acqua cui aggrapparmi per non naufragare e per tentare ogni volta la risalita. Mi porta la tua voce. Che mi offre un ombrello sempre più rabberciato, ma sicuro di rifugio e protezione. La pioggia m’intenerisce e mi rallegra. (…)> (da: A. De Leo, Le piogge e i ciliegi, I vol.).

Piove. Il cielo viene giù e, come da bambina, sporgo le mani oltre i vetri, che invece della primavera mi portano l’autunno in casa, per afferrarlo nelle gocce trasparenti e leggere che raccontano forse storie di lacrime o solo pioggia che cade, sussurro di parole lontane. Ripropongono un tentativo di rossoazzurro perpendicolare che è più un desiderio che un colore. Cadono gocce di cielonuvole sulle mie labbra assetate e sul viso proteso al fresco incanto. Cadono sul glicine in fiore del giardino che è un colore vero d'alberi di foglie di siepi. Fanno salire dal basso profumo di terra... ricordo lontano... il cortile... un inno di gelsi rossi e di rose che mi esalta e mi rincuora. La pioggia, a volte, può essere Musica d’arpe con mani d’angeli, Ritmo di marce di bimbi nel gioco del loro andare alla conquista del mondo, Voce antica in un richiamo d’altro tempo oltre il tempo (cielo a pecorelle pioggia a catinelle… rosso di sera bel tempo si spera rosso di mattina la pioggia s’avvicina… ed erano modi di dire… rosso di Sara Beltempo si spara… e diventava un dramma… quando piove e tira vento fra’ martin resta in convento… ed era racconto… marzo pazzerello se c’è il sole prendi l’ombrello… già proverbio con avvertimento… non saltare sotto la pioggia ché ti bagni tutta… ansia e preoccupazione e ammonimento… pio-ve pio-ve acqua di limo-ne… quasi un gioco quasi cantilena quasi voci di strada che entravano in casa e allagavano stanze e contagiavano allegria…e piove piove sul nostro amor… fu canzone e palpito del cuore e fu addio…). Mi piace la pioggia. Mi fa sentire meno sola. Accompagna la mia nostalgia. S’intrufola nella malinconia degli occhi e nei terrapieni del cuore a fatica costruiti. Poi tace e le stillanti foglie brillano di diamanti e rubini che il cielo sparge a piene mani. Splendore di luce rossodorata, che si frantuma nel canto di questo tramonto… e il passato ritorna a legarmi ai giorni andati che mai più saranno e che pure sono... Sempre così la pioggia... sempre così i tramonti pennellati in una follia di venti e di foglie ad avvolgere l’anima... Nella pioggia io ero... sono... rinasco...

<Tantissimi anni fa, una sera, seduta sul mio balcone, al quarto piano, respiravo l’autunno che si sbriciolava tra le mani di un bimbo colme di chicchi d’uva. Aveva labbra rosse e zuccherine, il bimbo, quasi un piccolo clown a sua insaputa. Si confondeva con i colori di settembre: l’oro antico dei capelli, il bruno intenso degli occhi, il rosa bruciato del visetto che tratteneva l’ultimo sole e le orlate nuvole leggere che assiepavano il cielo contro il tramonto. Una camiciola verde spento, quasi una foglia sospesa, a scoprire le gambette nude e scure. Il richiamo di sua madre precedette le ombre della sera, la corsa delle macchine lungo la strada, i passi di uno sconosciuto all’angolo di casa. Poi, venne la pioggia. Sottile. Fitta. Saltellante e leggera. Intrisa ancora di sole. La foglia autunnale di carne riccioli incoscienza fece un piccolo volo e scomparve dietro la voce amata. Rimasi sola. A guardare la strada. La faccia anonima di quelle case a più piani a limitarmi il cielo di sangue, trafitto di pioggia e da mille antenne. L’ultimo volo di sparute rondini verso la libertà d’altri orizzonti. E non seppi più se fosse un tramonto cosmico o personale sotto “le lacrime degli angeli” sui miei capelli, sul vestito, tra le mie mani stupite ancora di stupori. Ebbi cent’anni e nostalgia di ritornare bambina, quasi ad esorcizzare il buio che sentivo incombere sui frastagliati terrazzi e tra i miei pensieri, e che da anni aveva ingoiato la tua presenza. Sentii crescermi dentro un’ansia d’altri tempi. Era nostalgia di te. Mi mancavi più della mia infanzia.  Avevo bisogno di riproporti ai miei giorni, presente come l’alba dei miei bimbi, foglie tenere, trattenute nella serra luminosa e pavida della mia casa e, perciò, con meno voli della foglia sparita nel buio portone della sua casa. I miei figli non avrebbero mai ballato come me e te sotto la pioggia. Non sarebbero mai scesi per strada a saltare sulle righe tra le mattonelle. Non avrebbero mai sentito la tua carezza sui loro volti di zucchero e porcellana. Un abisso li separava da te. Sentii l’urgenza di scriverti per riportarti a me. Per chiederti di tornare e cominciai con la penna dei ricordi sul foglio stropicciato del presente: Nei percorsi del cuore ogni volta ricomincio da te, alfa e omega della mia vita. Solo in te è forse possibile ritrovarmi ancora. Riscoprirmi pagina bianca da scrivere. Da raccontare… E, nel raccontare te, racconterò la mia storia e quella di molti altri che ho incontrato guardato conosciuto amato ignorato subìto allontanato dimenticato ricordato. Racconterò… e tu ci sarai in un eterno presente dopo ogni tuo ritorno. Non raccontai. No. Quando rientrai in casa era già un'altra storia. Altro tempo. Persa in quel foglio stropicciato della mia vita di... Donnamogliemadre.insegnanteformatrice.scrittricepoetessasaggista a tempo perso, nei ritagli d’insonnia che facevo miei e mi pressavano con altre urgenze di progetti da realizzare, programmi da rispettare, illusioni ancora da vivere. Granello di polvere in sospensione nell’aria senza posarsi mai. Trascorsero così anni e anni ancora, nel vortice di nuovi impegni, nuove storie, nuovi incontri, nuove chimere, nuovi progetti. Nuove piogge a frantumare i miei cieli di ciliegi e mandorli e ulivi e canti di sirene che mi giungevano dal mare in un abbraccio di acque e di parole. Parole. Le parole da dire, da inventare, da scrivere, da correggere. Quasi la vita fosse un continuo errore da evidenziare da evitare. Da riproporre… Da dimenticare... Anni al massacro quotidiano di ossa mente cuore... Anni e ancora anni con baci e abbracci, più pensati che dati, ai miei figli: spalle bambine misurate dalle mie mani col metro del loro farsi sempre più tracimanti e imprendibili in giorni bambini di giochi e fiabe, in giorni adolescenti di scuola, scoperti tra macchie di rossi mestrui e prime ombre di nero sul mento, nelle camere separate del sonno e dei sogni, delle voci a raccontarmi, in brevi ore, le paure, l'attesa e i primi amori. E ninne nanne per la piccolina a scacciare lupi neri a creare dolci intese (fai la ninna/ fai la nanna/ ninnananna bambina/ fai la ninna/ fai la nanna/ fai la nanna mio tesoor/ sì fai la nanna o mio tesooor… patatà patatì patatina come te…/ bambina piccolina/ patatina/ col naso piccolino/ patatino/ tu come nelle favole/ sei nata sotto un cavolo/ in un mattino limpido/ sei nata tu…/ patatà/ patatì/ patatina come te… chi asciugava i pianti miei / mamma buona era lei,/ chi in cucina cucinava/ mamma cuoca canticchiava,/ io la sera nel lettino,/ mamma nanna a me vicino,/ mamma compagna poi,/non mancava mai… non si va in cielo non si va in cielo/ in pininfarina/ in pininfarina/ perché in cielo perche in cielo/ non c’è la benzina non c’è la benzina… (…)In silenzio, la sera, prima del chiudersi di occhi ansiosi sul buio della veranda, e un vago senso di paura allo sfinirsi delle nostre voci rapide e fugaci per il mio giorno stanco e senza incontro... (cosa ci raccontiamo stasera? del tuo cuore che batte per il ragazzino occhi di sole?... dei tuoi sogni di colori e segni sul foglio e parole da inventare? ne hai disegnati ancora con matita e fantasia?... c’era una volta e c’era… c’era una bambolina di cera che faceva compagnia ad una bimba che dorme con le sorelle sempre nuove e sempre quelle… oh quante belle figlie madama dorè o quante belle figlie… e io ne voglio una madama dorè e io ne voglio una… che cosa ne vuoi fare madama dorè che cosa ne vuoi fare? la voglio maritare madama dorè la voglio maritare… e ora cercate di addormentarvi cercate di pensare alle cose belle che vi piacciono al mare alle stelle ai fiori alle coccinelle e le farfalle alle persone che vi vogliono bene alle cose che vi fanno ridere e a quelle che vi fanno sognare agli angioletti…). Solo la pioggia a farmi compagnia. Di tanto in tanto. La pioggia (tac tac tac… tactactac… tctctctctctctctctc… tactactactac… tac tac tac…tac tac…tac…tctttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttctctctctctctctctctctatc…t…) Tu, sempre. Ma, prima della pioggia a irrorarmi pensieri e cuore, più che il suo scrosciare sull’asfalto, ho ancora un bimbo da salutare con occhi di sonno nella sua foresta tropicale di alberi e liane e un improbabile fiume e un sottobosco di leoni e tigri e giraffe a fargli compagnia (e il mio bimbo solo soletto nel rossoarancione del suo letto attende la sua mamma fai la ninna fai la nanna e ha occhi grandi di coraggio per inseguire scoiattoli e pantere in un fantastico viaggio tutte le impaurite sere e tarzan che viene e che va su liane o sugli autobus di città in un bosco di gnomi e maghetti che dormono tutti nei loro letti e tanti indiani fatti prigionieri che corrono corrono su veloci destrieri ad afferrare il dolce sonno dopo ogni mio ritorno dormi bimbo mio bello fai la nanna dormi che è tanto stanca la tua mamma… questo è l’occhio bello questo è suo fratello questa è la chiesina questo è il campanello… drin drin drin drin drin… drin drin drin drin drin… Qualcuno male informato/ o più bugiardo del diavolo/ dice che tu sei nato/ sotto la foglia di un cavolo…// Queste notizie sono prive di fondamento/ ti ha fatto la tua mamma e devi essere contento!... la macchina del capo ha un buco nella gomma,/ la macchina del capo ha un buco nella gomma/ la macchina del capo ha un buco nella gomma/ripariamo ripariamo con la ciùingomma…).  E intanto la pioggia… (tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt) e sentirmi protetta da quel cielo che precipitava giù a creare una cortina di fili trasparenti e di suoni slargati e di voci attutite e di umori di asfalto bagnato senza profumo di terra sui miei giorni veloci, stanchi, vuoti di me, dei miei figli, del mio uomo, di mia madre, di te. (…). Pioggia di parole a coprire la pioggia d’acqua. E il cielo in cascata liquida a coprire il ricordo delle ciliege. Le ciliege neppure più un ricordo. Quasi. E, oggi, ricomincio. Riprendo a raccontare. E, come sempre, mi trovi qui tra le mie carte e le mie nuvole. In una nuova casa che ha finestre d’aria e sandali che affondano nel verde di un giardino d’alberi e di rose, lantane e gelsomini e grappoli d’azzurro-pervinca in caduta libera sotto un arco di glicini in fiore. Mi trovi qui, rannicchiata tra braccia invisibili che vorrei forti sui miei vuoti da colmare... vuoti da colmare... anche con un tempo che non può tornare, ma non può essere dimenticato... Raccontare per non dimenticare… Perché i miei nipoti e pronipoti sappiano che la loro storia non è cominciata con i giorni conosciuti, ma con tutti quelli ignorati e da altri vissuti prima che loro si affacciassero al mondo. Perché i giovani conoscano la Storia non dai libri, ma da chi ha lasciato orme di sogni e di dolore lungo le strade che oggi percorrono. Orme che hanno segnato lunghe scie traslucide, come bava di lumaca, sui muri della dimenticanza e dell'indifferenza. Lunghe scie negli occhi di chi ha ancora uno sguardo diviso tra ieri e domani. E il passato attraversa il presente per farsi futuro. E nel presente affondano/affiorano i ricordi> (idem).

Ma i ricordi mi porterebbero lontano e non sarebbe giusto approfittare della vostra già illimitata pazienza nel leggermi. A domani, dunque, a domani: la Giornata Mondiale del Libro ci attende con nuove parole, nuove storie da raccontare… mie, vostre, di quanti vivono sotto questo cielo che è uno e infinito per tutti gli abitanti di questo nostro “pianeta azzurro”. Angela/Lina

 

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