lunedì 17 dicembre 2018

16 dicembre 2018: il "Boss" in Concerto


Ieri sono venuta a Roma per trascorrere le feste natalizie con i miei figli “romani” e per presentare il mio nuovo romanzo. Ieri sera, cena da mio figlio Giuliano, con la sua amorevole compagna Viviana, e la carissima amica Caterina. Dopocena (pretesto godereccio), abbiamo visto il concerto di Bruce Springsteen on Broadway.
Sono ancora emozionata. Di più. Uno spettacolo minimalista, se guardato nella sua composizione scenica, ma immenso quanto a contenuto, musica, poesia, creatività, libertà di parola, personalità gigantesca di questo incommensurabile “animale da palcoscenico”.
Bruce, in uno spettacolare Concerto/Testamento (di parole di pura poesia e canzoni come pietre miliari nel panorama mondiale della musica rock) da lasciare, nel tempo, ai figli dei suoi figli e agli innumerevoli suoi fan, ha parlato a ruota libera e spudoratamente vera, della sua vita, a partire dall’ infanzia vissuta nel “buco merdoso” del suo paesino nel New Jersey, allora odiato a tal punto da spingerlo, appena diciannovenne, ad andare via, e più tardi riscoperto e raggiunto e amato come sua ritrovata “Itaca”, lui, novello Odisseo di mille viaggi, mille esperienze e mille avventure, prodigiosamente vissute all’insegna dell’incoscienza, del coraggio e della liberà. Del cuore.
Bruce evidenzia così una profonda capacità di penetrazione psicologica dei comportamenti umani estremamente contraddittori nelle varie fasi esperienziali della vita.
Poi, via via, ha parlato di suo padre e del loro rapporto conflittuale e quasi inesistente, ma poi sempre più, anche col padre, della riscoperta della sua figura/modello, attraverso alcuni valori dapprima rifiutati, ma ai quali, negli anni, è stato sempre più difficile sfuggire. E si è fermato a raccontare, con tenerezza e ironia, sua madre, una donna forte, allegra, ottimista, amante del ballo, che continua a praticare a novantatrè anni e nonostante l’alzheimer. Ed è talmente bella e viva la descrizione che ne fa che ci sembra di vederla attraversare lo schermo, smemorata e sorridente, con il suo passo di danza.
Poi, ancora, il “Boss” passa in rassegna, sempre con sguardo lontano e ispirato, e con parole di autentica spavalda autoironia, le fughe e le avventure, la scoperta del sesso e dell’amore, i primi concerti e i primi incontri con i grandi “maestri” del rock con i loro vari strumenti musicali, che lo affascinarono. Il loro diventare amici e sodali. E il loro lasciarlo per strada, dopo lunghi anni di concerti vissuti insieme e di tenerissima amicizia, con un dolore che ancora oggi lo commuove e lo lascia senza parole. Fino a parlare di Patti Scialfa, sua moglie e musa ispiratrice, rossa fiamma che ancora lo trattiene e lo “brucia” di desiderio e di immarcescibile amore, cantando con lei in duetto due delle canzoni più belle del loro repertorio.
E i tre figli. La loro nascita, che ha riportato alla ribalta la figura paterna in un confronto a specchio con il bisogno di essere un genitore diverso, più presente e più attento ai loro bisogni. In realtà, tra lacrime irrefrenabili di commozione, Bruce ha innalzato un inno a suo padre per sconfinare, in un ritorno nietzschiano, agli antenati e alla loro sacralità perché vissuta nella percezione di una loro ideale innocenza, dovuta alla mancanza dell’esperienza diretta a contatto con i loro inevitabili errori, che inevitabilmente diventano colpe, quando si scoprono nei padri e nei fantasmi, che ci inseguono sino alla scoperta di una paternità, ora avvertita sulla propria pelle.
La conclusione è stata esplosione di straordinario pathos nella riscoperta di quel Dio, eternamente presente nella sua infanzia e adolescenza e volutamente ignorato nella giovinezza, creduta eterna, e nella età matura, ritenuta incontestabile e sovrana nel diritto di ciascuno a realizzarsi in totale libertà da vincoli, credenze, religioni.
Ma poi giunge l’età del tempo “a tempo”, in cui è necessario fare i conti con “il limite”, con le proprie fragilità, le proprie paure per una vita che ci va abbandonando ed è allora che ci viene incontro nuovamente Dio con la sua mano a sorreggere, confortare, indicare la strada dell’“unico senso” possibile da seguire: il sentiero fiorito dell’amore, che tutto osa e tutto dona e perdona.
E, improvvisamente e sorprendentemente, il lungo canto del “Boss” s’interrompe per trasformarsi in una insolita preghiera, la più bella e vera e palpitante, il Padre Nostro. Chi l’avrebbe mai detto? La Rockstar più famosa del mondo che recita con voce vibrante e commossa la preghiera che Gesù stesso ha rivolto a suo Padre oltre 2000 anni fa.
Il Concerto di Bruce Springsteen si è concluso con un brivido in più che ha coinvolto e sconvolto, ne sono certa, tutti i suoi fan in religioso ascolto, perché in quella sua preghiera ha rivolto un pensiero ai suoi cari, invisibili agli occhi, ma presenti più che mai alla sua vita; un grido di speranza per il New Jersey, l’intera America, il mondo tutto, in un fremito di ribellione a questo tempo così pieno di odio e di desertificato cuore per il desiderio di riscoprire una umanità migliore, che si ridesti alla Luce di un ritorno alla Casa del Padre, quando Dio lo vorrà. Per tutti.
Fremiti sulla pelle per un “incontro di anime” indimenticabile.


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