Ieri sono
venuta a Roma per trascorrere le feste natalizie con i miei figli “romani” e
per presentare il mio nuovo romanzo. Ieri sera, cena da mio figlio Giuliano,
con la sua amorevole compagna Viviana, e la carissima amica Caterina. Dopocena (pretesto
godereccio), abbiamo visto il concerto di Bruce Springsteen on Broadway.
Sono ancora
emozionata. Di più. Uno spettacolo minimalista, se guardato nella sua
composizione scenica, ma immenso quanto a contenuto, musica, poesia, creatività,
libertà di parola, personalità gigantesca di questo incommensurabile “animale
da palcoscenico”.
Bruce, in
uno spettacolare Concerto/Testamento (di parole di pura poesia e canzoni come
pietre miliari nel panorama mondiale della musica rock) da lasciare, nel tempo,
ai figli dei suoi figli e agli innumerevoli suoi fan, ha parlato a ruota libera
e spudoratamente vera, della sua vita, a partire dall’ infanzia vissuta nel “buco
merdoso” del suo paesino nel New Jersey, allora odiato a tal punto da
spingerlo, appena diciannovenne, ad andare via, e più tardi riscoperto e
raggiunto e amato come sua ritrovata “Itaca”, lui, novello Odisseo di mille viaggi,
mille esperienze e mille avventure, prodigiosamente vissute all’insegna dell’incoscienza,
del coraggio e della liberà. Del cuore.
Bruce evidenzia
così una profonda capacità di penetrazione psicologica dei comportamenti umani
estremamente contraddittori nelle varie fasi esperienziali della vita.
Poi, via
via, ha parlato di suo padre e del loro rapporto conflittuale e quasi inesistente,
ma poi sempre più, anche col padre, della riscoperta della sua figura/modello,
attraverso alcuni valori dapprima rifiutati, ma ai quali, negli anni, è stato
sempre più difficile sfuggire. E si è fermato a raccontare, con tenerezza e
ironia, sua madre, una donna forte, allegra, ottimista, amante del ballo, che
continua a praticare a novantatrè anni e nonostante l’alzheimer. Ed è talmente
bella e viva la descrizione che ne fa che ci sembra di vederla attraversare lo
schermo, smemorata e sorridente, con il suo passo di danza.
Poi,
ancora, il “Boss” passa in rassegna, sempre con sguardo lontano e ispirato, e
con parole di autentica spavalda autoironia, le fughe e le avventure, la
scoperta del sesso e dell’amore, i primi concerti e i primi incontri con i
grandi “maestri” del rock con i loro vari strumenti musicali, che lo affascinarono.
Il loro diventare amici e sodali. E il loro lasciarlo per strada, dopo lunghi
anni di concerti vissuti insieme e di tenerissima amicizia, con un dolore che
ancora oggi lo commuove e lo lascia senza parole. Fino a parlare di Patti
Scialfa, sua moglie e musa ispiratrice, rossa fiamma che ancora lo trattiene e
lo “brucia” di desiderio e di immarcescibile amore, cantando con lei in duetto due
delle canzoni più belle del loro repertorio.
E i tre figli.
La loro nascita, che ha riportato alla ribalta la figura paterna in un confronto
a specchio con il bisogno di essere un genitore diverso, più presente e più
attento ai loro bisogni. In realtà, tra lacrime irrefrenabili di commozione, Bruce
ha innalzato un inno a suo padre per sconfinare, in un ritorno nietzschiano, agli
antenati e alla loro sacralità perché vissuta nella percezione di una loro
ideale innocenza, dovuta alla mancanza dell’esperienza diretta a contatto con i
loro inevitabili errori, che inevitabilmente diventano colpe, quando si scoprono
nei padri e nei fantasmi, che ci inseguono sino alla scoperta di una paternità,
ora avvertita sulla propria pelle.
La conclusione
è stata esplosione di straordinario pathos nella riscoperta di quel Dio,
eternamente presente nella sua infanzia e adolescenza e volutamente ignorato
nella giovinezza, creduta eterna, e nella età matura, ritenuta incontestabile e
sovrana nel diritto di ciascuno a realizzarsi in totale libertà da vincoli,
credenze, religioni.
Ma poi
giunge l’età del tempo “a tempo”, in cui è necessario fare i conti con “il
limite”, con le proprie fragilità, le proprie paure per una vita che ci va abbandonando
ed è allora che ci viene incontro nuovamente Dio con la sua mano a sorreggere,
confortare, indicare la strada dell’“unico senso” possibile da seguire: il
sentiero fiorito dell’amore, che tutto osa e tutto dona e perdona.
E,
improvvisamente e sorprendentemente, il lungo canto del “Boss” s’interrompe per
trasformarsi in una insolita preghiera, la più bella e vera e palpitante, il
Padre Nostro. Chi l’avrebbe mai detto? La Rockstar più famosa del mondo che
recita con voce vibrante e commossa la preghiera che Gesù stesso ha rivolto a
suo Padre oltre 2000 anni fa.
Il Concerto
di Bruce Springsteen si è concluso con un brivido in più che ha coinvolto e
sconvolto, ne sono certa, tutti i suoi fan in religioso ascolto, perché in
quella sua preghiera ha rivolto un pensiero ai suoi cari, invisibili agli
occhi, ma presenti più che mai alla sua vita; un grido di speranza per il New
Jersey, l’intera America, il mondo tutto, in un fremito di ribellione a questo
tempo così pieno di odio e di desertificato cuore per il desiderio di riscoprire
una umanità migliore, che si ridesti alla Luce di un ritorno alla Casa del
Padre, quando Dio lo vorrà. Per tutti.
Fremiti sulla
pelle per un “incontro di anime” indimenticabile.
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