Uno scrigno prezioso
di rara bellezza, il nuovo libro di Enrica Simonetti che attraversa la sua e
nostra amata Puglia in un viaggio ideale tra immagini mozzafiato, mente
incantata e cuore in tumulto. Nei suoi/nostri luoghi dell’anima che ci accolgono
tra i colori del cielo-mare, in cui navigano i suoi/nostri occhi mai sazi di
blu: il colore degli Artisti, dei Poeti e dei Santi in una orizzontalità che li
porta verso affascinanti orizzonti di rive misteriose e lontane per scoprire e “incontrare”
popoli e voci e lingue e linguaggi, conosciuti e sconosciuti; e in una verticalità che li porta forse a
incontrare Dio o quantomeno i sogni, le visioni, i desideri. Basta attendere lo
sconfinare del blu tra le stelle e il buio in cui più vivido è il loro
splendore. Il blu.
“Dura un attimo e
poi scompare. È quel colore blu-violaceo del cielo serale disteso sull’orizzonte
dell’Adriatico: mescola sapientemente la luce del giorno con il buio della
notte in arrivo e non può che lasciare senza fiato…”.
È da questa magia di
cielo-mare che parte il viaggio: dalle isole Tremiti al duplice mare “de finibus
terrae”: Santa Maria di Leuca. Lo Ionio si mescola con l’Adriatico in un
abbraccio contraddittorio e affascinante di andata come addio e di ritorno come
rinnovata promessa d’amore senza fine. Tra gli azzurri che cambiano e si tingono
di verde smeraldo, di rosso fuoco, di bianco lunare nella conchiglia di madreperla
del cielo.
E questo incanto ci
sorprende per oltre ottocento chilometri di costa, dove giustamente, come racconta la nostra Autrice, il blu si smemora in altri colori che sanno la
pietra, la chiesa, la preghiera, per ripresentarsi negli affreschi turchini che
raccontano l’Oriente e altre divinità, altri prodigi.
“Dall’azzurro del
mare che s’insinua tra le rocce del Gargano, fino al blu degli affreschi sulla
volta della basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina: ci appare un
colore che poi, all’improvviso, si annulla perché il mare a un certo punto
diventa sabbia e il cielo di un dipinto finisce sul costone di un arco
trecentesco”.
E, tra mito e leggenda,
anche le parole di Enrica Simonetti si colmano di ali delle Berte marine, abituate
alle trasparenze cilestrine del cielo, che si specchiano nelle liquide distese
azzurre sottostanti, e al vento “che ha disegnato architetture impensabili,
archi di roccia che aprono sul mare…”.
Ma la cosa più
sorprendente, per chi legge tra questi voli dispiegati di parole, è la loro capacità
di disorientare il lettore per fargli provare la meravigliosa percezione degli
improvvisi cambiamenti dei giochi di colore, ma anche delle prospettive dei
paesaggi dauni, visti da una barca o percorsi nei vicoli dei paesi come Vieste,
svettante d’alberi, che s’inoltrano nella Foresta Umbra, e morbida nei suoi
fianchi degradanti su spiagge sabbiose e misteriose grotte marine, oppure Sant’Eufemia,
l’isola del faro, bianca e solare nel suo sguardo verso Oriente a ricamarsi di aurora…
“come se fosse impossibile riconoscerne una ‘coerenza’ paesaggistica e
geografica, come se qualcuno si fosse divertito a cambiare la scenografia dello
stesso luogo, come se viandanti e navigatori fossero costretti a invertirsi
continuamente i ruoli.”
E la maestria di
Simonetta, nel prendere per mano il lettore, in questo disorientamento di
visioni multiple e molteplici, per orientarlo verso la splendida immagine dello
scambio continuo e repentino dei “ruoli” tra “viandanti e navigatori”, è
davvero sorprendente. La giornalista cede il passo al poeta. E, così, via via
che si procede in questo suo magico viaggio, fascinoso e stupefacente.
A volte i colori
sono un pretesto per parlarci di architetture e di sculture ardite, di
cattedrali romaniche e di personaggi storici che si fanno mito e leggenda per
la loro misteriosa identità, mai del tutto rivelata e certa, come nel caso del
Colosso di Barletta.
A volte, sono il
fulcro centrale delle sue descrizioni paesaggistiche, come il tuffo nel verde
argentato degli ulivi o nel rosso infuocato dei tramonti o in quello
accogliente dei Teatri a racchiudere storie, finzioni, maschere, volti, verità.
il rosso mattone dei mosaici e quello mescolato alla terra di Otranto e dei
suoi trecento martiri della fede cristiana. E il bianco dei pinnacoli dei
trulli o quello rutilante e tempestoso della schiuma del mare in burrasca, il
bianco più pacato delle facciate delle case e quello maestoso delle cattedrali;
il bianco leggero e trasparente degli abiti da sposa e dei veli; quello
luminoso dei marmi delle fontane; e quello incantato dei voli dei gabbiani in
sospensione…
E la Puglia si
smargina e diventa il mondo intero, con i colori che vivificano il nostro
pianeta e che s’intrufolano nei vicoli e nei giardini, si slargano nelle
piazze, si spengono nelle chiese gotiche e nei castelli, si annidano nelle
case, s’inorgogliscono sulle tele dei tanti pittori, si feriscono nei tralicci
e nei fili spinati di devastante memoria e di attuale crudeltà.
Poi, magicamente i
colori tornano ad occupare la scena della nostra penisola nella penisola. Il lungo
tacco del lungo stivale. La Puglia. L’Italia. E tutto ricomincia a parlare
della nostra Terra del Mezzogiorno, esaltato e piegato/piagato. Il nostro Sud,
che è uguale a tutti i Sud del mondo, ma è il “nostro” ed è il più bello per
via dei “nostri” colori che cantano lo splendore di una natura pennellata dal
suo Creatore, Pittore per eccellenza.
“La grande bellezza
pugliese”, pertanto, è una “sorta di ‘antropologia del colore’” perché s’intreccia
con la storia delle nostre terre, ora rosse e ferrose, ora brune di humus, ora
verdi e cangianti di mille tonalità nei prati sfolgoranti di erbe e dei nostri secolari ulivi, contorti di fatica, ma con i rami che il vento agita e accarezza: la pianura
del Tavoliere e i pascoli del Promontorio del Gargano o della Murgia che, come
dorso a sostenerne il peso, ne percorre tutta la lunghezza fino al bianco delle
sue case “a calce”, le cui mura si fanno
storia di uomini e di rapporti umani con la terra, gli animali e gli altri
uomini.
Narrazione di vite, di
relazioni e di legami forti: a volte, forieri di morte e, a volte, celebranti
amori più forti della stessa morte.
“Eccoci all’‘arco Meraviglia’
(…), il toponimo deriva forse dal nome della famiglia milanese Maraveglia,
trasferitasi a Bari nel XV secolo (…) E però la parola ‘meraviglia’ deriva
dalla credenza, assolutamente non documentata, molto diffusa tra gli abitanti
di Bari vecchia, che l’arco fosse stato costruito - s’ignora quando - nel breve spazio di una nottata, per dare
modo a due amanti, abitanti nelle due case contrapposte, di incontrarsi
furtivamente...”.
Aneddoti non sempre
attendibili, ma anche storie di chiese e di santi, di famiglie note e documentate; leggende di grotte
misteriose, di castelli e torri di avvistamento; credenze religiose con riti e
processioni e fuochi di artificio ad accendere il cielo e a spegnersi nelle
acque dei mari, che circondano la nostra Puglia incantata, e misteri pagani e
laici; e tradizioni cristiane, mai messe in discussione e mai abbandonate.
È questo il lunghissimo
e straordinario repertorio della scrittura catturante, poetica, suggestiva e
intensa di Enrica Simonetti, che ci dà, con PUGLIA
viaggio nel colore, un’ulteriore prova della sua sensibilità culturale e
del suo amore per la nostra Terra.
Motivi di
ispirazione, oltre i tanti viaggi reali in Puglia (come deduciamo anche dalle
precedenti pubblicazioni della giornalista pugliese), sono stati indubbiamente tutti
gli incanti suscitati dalle fotografie del bravissimo ed eccezionale Nicola
Amato, che ha eternato in scatti superbi le bellezze naturali pittoriche e
architettoniche del nostro territorio; bellezze, che Enrica Simonetti ha
celebrato in tutta la loro magnificenza e il loro splendore.
Un libro stupendo e
prezioso. Da tenere in evidenza per la gioia di quanti potranno guardarlo,
sfogliarlo, leggerlo e rileggerlo.
Grazie, Enrica, per
questo meraviglioso dono che, con la tua scrittura policroma, colta, sapiente,
appassionata, hai mutato in esplosione di luce, calore, purezza, speranza: i colori
che fanno più viva e palpitante e straordinaria la nostra Puglia, gioiello
incastonato in questo pianeta che ci ospita e che dobbiamo imparare a difendere
dall’indifferenza, dall’incuria, dal degrado, di cui noi stessi siamo perlopiù
responsabili, e dalle devastanti rapine di mani incoscienti ed avide che lo stanno
uccidendo.
Contro il nostro “grido
di dolore” il tuo inno di speranza e di appartenenza. E, se la speranza è un
viaggio nel futuro che ci prende per mano e ci conforta, l’appartenenza è stabilità,
amore, difesa ad oltranza. Perché dà appagamento e gioia di essere dove si è e
di riconoscersi in quello che si è. Nelle proprie radici.
“Il nostro viaggio
tra i colori si ferma qui, nella metafora di un paesaggio semplice che ad ogni
passo dona l’illusione di cambiare il suo volto, mentre poi ti accorgi che sei
qui, dov’eri. E sei felice”.
Angela De Leo
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