Ancora
una volta, un nuovo 13 dicembre a riportarci la festa di una santa molto amata
e venerata: la protettrice degli occhi che a lei, martire cristiana, furono
cavati perché si oppose alle nozze con un pretendente pagano, sotto l’impero di
Diocleziano, nel 304 d. C., e poi mandata al rogo.
Gli
aneddoti, tra storia e leggenda, su Santa Lucia sono davvero tanti.
È,
comunque, la Santa della Luce nella notte più lunga dell’anno.
Qui,
a Corato, fanno i falò di Santa Lucia (definiti stranamente la yò yò, credo).
Nel
leccese c’è un detto, che mia suocera ripeteva ad ogni Natale vissuto insieme:
“A santa Lucia la sciurnata éte lenga còmu
l’écchi de la jaddhìna mia”.
E chiedo
scusa in primis a mia suocera che, se mi sente dall’Aldilà, sicuramente mi sta
prendendo per babbea, non riportando io fedelmente le sue parole; e mi scuso
con gli altri miei parenti e tutti i leccesi per questo ricordo che potrebbe
avere molto probabilmente una voce diversa, ma che in me è rimasta dentro così.
“A
Santa Lucia la giornata è lunga quanto gli occhi della gallina mia”, cioè
brevissima.
Ma i
miei ricordi su questo giorno hanno origini ben più lontane. E vado a
riproporli attingendo, ancora una volta, dal mio nuovo romanzo “Le piogge e i
ciliegi”:
Ma il
Natale con te era anche bello da vivere perché occupava di sé tutto il mese di
dicembre.
Il presepe
da far fiorire come un libro dell’Arte Pop-up
nei primi otto giorni del mese e, poi, l’Immacolata, Patrona del nostro paese,
e il digiuno interrotto la sera della Vigilia “chə rə fəcazzéddə də la Madónnə” (con le focaccine della Madonna), formate da
pani schiacciati e tagliuzzati in superficie in tanti quadratini e con dentro i
semi di anice o di finocchio;
ed ecco
santa Lucia
(eh sànda ləcìa bənədèttə tìnə dd’ócchiərə quàntə a ‘na chiesjə e nàn vétə mànghə la
sagrəstè!...)
(eh santa
lucia benedetta hai gli occhi grandi quanto una chiesa e non vedi neppure la
sacrestia!...),
la voce
della nonna sorpresa e indispettita quando si accorgeva che io, un po’ più
grandicella, avevo problemi a leggere da lontano: le sembrava “‘nu scəcàffə a crìstə”, (uno schiaffo al
buon Dio), visto che lei non poteva leggere perché non sapeva leggere…
Santa
Lucia, molto amata e venerata per la sua incrollabile fede
(che porta luce a chi fede non ha).
Dal 16
dicembre, infine, la novena che precedeva il Santo Natale:
Tempo di
Attesa e di Preghiera. Tempo di rinnovata Speranza.
(…)
1977
E l’anno dopo, il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, ci raggiunse
la notizia che il tuo amato fratello era venuto a raggiungervi. L’ultimo di
voi, così come era stato l’ultimo a venire al mondo. Mi giunsero dal convento
alcune lettere e alcune foto. Piansi. E sentii che un altro capitolo della mia
vita si era chiuso per sempre. Che anche a quel mio idolo in carne ed ossa
dovevo dire addio, addio al suo sogno d’amore e alle sue parole d’arpe e
violini di vetrate policrome e misteriose cattedrali…
La mente in deviazione mi riportò il ricordo di
quel suo disappunto, ospite da noi, a causa della piccola truffa che tu avevi
subìto dal tuo salumaio di fiducia per via di una “carta” di prosciutto crudo
che si rivelò ben presto, a casa, poco fresco. Quel “presciutto” più scuro del
suo solito colore rosso vivo lo turbò a tal punto che ne parlò in chiesa
durante l’omelia, creando un certo scompiglio tra gli ignari parrocchiani. Tu,
di ritorno a casa, sminuisti l’accaduto con una facezia sui preti che qualche
volta si prestavano a farsi complici di qualche ladruncolo di galline. Non
ricordo più il tuo divertito racconto, ma mi torna alla mente solo una breve
raccomandazione del sagrestano al celebrante che, sull’altare, stava
nascondendo un pollo sotto la sua veste sacramentale:
“abbàscə la cóta, dòminə, ca sə vètənə rə
ciàmbolìnə!”
(abbassa la
veste dietro, signore, perché si intravedono le zampette!),
ma le sequenze della storia erano molto più
lunghe e complesse e ridanciane e mi avrebbero ricordato, più tardi, alcune
novelle del Boccaccio. Zio rise di cuore con te e con tutti noi. E la faccenda
del prosciutto stantìo fu ben presto dimenticata.
(Peccato,
però, che non riesca più a ricordare quella tua storiella così simpatica e
divertente! E nessuno degli altri tuoi nipoti la ricorda. Solo io, purtroppo,
ho conservato in buona parte, grazie a te, la memoria storica di quegli anni…).
E,
ritornando a zio Padre Leonardo, quanta luce nella nostra casa con la sua
straordinaria presenza! Quanto vuoto, dopo!
E, questa
volta, è uno scoramento di parole meravigliose perdute non alla memoria del
cuore, ma ai giorni che ci sorpresero, più tardi, di muto silenzio senza te,
senza lui: i due più grandi affabulatori della tua famiglia.
Zio Padre Leonardo era stato per tutta la vita viandante solitario, che
solo da qualche anno non viaggiava più. Eravamo stati suoi ospiti a Perugia,
dieci anni prima, in viaggio di nozze e allora ci fece da guida per tutta
l’Umbria: Assisi, Todi, Gubbio, Cascia, Spello. Ancora agile, ancora di passo
svelto e risoluto. Ancora ricco di battute, aneddoti, riferimenti colti. Ancora
il mio mito e il mio ascolto. Poi, tornò a stare con noi nella tua casa quando
nacque Ombretta. Sì. Fu proprio quella l’ultima volta che venne da noi. E,
infine, solo due anni prima, come già detto. E, nonostante l’età, era ancora un
faro luminoso prima di spegnersi tra le stelle accese”.
Bellissimo! Grazie! Rita
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