martedì 28 agosto 2018

"Abitare poeticamente il mondo"


ABITARE POETICAMENTE IL MONDO
Il “prendersi cura” contro la “cultura dell’offesa”
Mi piace proporre qualche riflessione sulla possibilità che ha la poesia ancora oggi di essere veicolo di salvezza in un mondo devastato dalla “cultura” della violenza, dell’offesa, della divisione, dell’odio e della disumana indifferenza nei riguardi di chi soffre, di chi è debole, solo, disperato, oppure ha bisogno di asilo perché scappa dall’orrore della guerra, dai morsi della fame, da una terra devastata e senza speranza. In questi giorni di totale confusione e notevoli discordanze nel nostro Paese, e non solo, mi chiedo allarmata e delusa se sia ancora possibile oggi vivere con poesia e di poesia. Prendo quotidianamente atto di essere completamente disancorata, con i miei ideali e le mie utopie, da questo mondo di pochezza e di pressappochismo, di arroganza e mancanza di senso storico, civico e sociale (in termini di unione corale tra gli uomini). Per evitare di ridurre il mio sgomento ai soliti pensieri romantici e poco realistici, ho cercato di farmene una ragione con la inevitabilità del fenomeno a causa di una cultura scientifica e tecnologica, che ha pian piano soppiantato, senza che ce ne accorgessimo, non solo nella scuola ma nella società tutta, quella cultura umanistica che  ci consentiva di essere ancora “umani”, a contatto con la letteratura, la filosofia, l’Arte in tutte le sue innumerevoli forme, e, perché no, a contatto con la natura, principale fonte di ispirazione per poeti, pittori, musicisti. La scienza e la tecnica, ma soprattutto l’elettronica, hanno finito per darci in pasto ad una fittizia realtà “virtuale”, che si è sempre più diffusa grazie ad internet e ai social. Senza volerli demonizzare, ma anche senza esaltarli oltre misura, li ritengo in buona parte responsabili della “non cultura” del nostro tempo, con tutte le accelerazioni linguistiche che essi comportano e sollecitano, e il conseguente depauperamento della ricchezza che ogni lingua e linguaggio porta in sé e con sé, e con tutte le velleità dell’apparire a discapito dell’Essere. Velocizzando ogni operazione, ogni contatto, ogni comunicazione e agevolando un solipsismo che sta diventando dominante e sempre più preoccupante, per non dire devastante. E con questo individualismo esasperato vanno sempre più aumentando le chiusure agli altri, gli egoismi, le divisioni. I social solo in apparenza aggregano, offrono possibilità di conoscenza, scambio, confronto. Basta andare su facebook o su twitter per averne conferma.
Come conciliare tutto questo con il mio sogno di “abitare poeticamente il mondo”?
“Abitare poeticamente la terra” è il titolo di un libro di poche pagine ma di pregnante e ricchissimo contenuto poetico-culturale del noto critico letterario Emerico Giachery che, nel donarmelo, parecchi anni fa, in un incontro nella sua Roma, mi disse che quel titolo, che a me sembrò subito bellissimo, gli era stato suggerito da una espressione attribuita al poeta  tedesco Friedrich Holderlin, ripresa successivamente dal filosofo Martin Heidegger, il quale puntualizzò che l’avverbio “poeticamente” stava a significare “essere alla presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”. Che per me consiste nell’illuminare di tenerezza il quotidiano, anche con la scrittura: le innumerevoli voci nascoste, ma reali, i suoni, i profumi, la musica, il sogno della terra, dei fiori, dei prati, delle acque, le nuvole, le onde, il mare… gli altri miei simili, con i quali desidero comunicare con gli occhi ancora prima che con la voce, col gesto, con un mezzo tecnologico, freddo e distante.
È necessario, mi dico, ritornare ad ascoltare le voci della natura, come facevano gli uomini primitivi, quando la natura non era ancora “desacralizzata” (Carlo Sini).
Prendere, magari, a modello i bambini che, con naturalezza, abitano poeticamente la terra. Si stupiscono. Si meravigliano. Non programmano i loro giorni, ma li vivono solo giocando e nel gioco e con il gioco imparano a scoprire il mondo, giorno dopo giorno, conquista dopo conquista, abbandonandosi senza steccati e senza confini al fluire del tempo e della vita. I programmi che noi adulti siamo soliti fare, frazionando il tempo, segnano dei limiti e delle strade obbligate, che dobbiamo percorrere se vogliamo realizzare i progetti che ci prefiggiamo di raggiungere. Ma così sacrifichiamo libertà e creatività. Forse sarebbe meglio avere solo degli intenti da perseguire e da trasformare pian piano che viviamo, escogitando di volta in volta il “come”, nel rispetto della libertà e delle “modalità” di ciascuno, cercando magari di trovare continuamente “punti d’ incontro” per non sentirci mai soli nella realizzazione di quanto riteniamo utile per ciascuno, ma anche per il bene di tutti. Sarebbe bello formare delle cordate vere, concrete, reali per aiutarci a vicenda e sentirci solidali, forti, felici. Ci riapproprieremmo così della semplicità della vita. E, del resto, lo stesso Heidegger affermava: “Lasciamo essere all’ESSERE”. Abbandoniamoci all’esistenza e tutto potrebbe accadere ne tempo giusto e nel luogo giusto. Non vivono gli uccelli cantando e ricamando i cieli di voli senza l’ansia del cibo o di programmare il nido che a primavera riempiranno di pigolii e fremiti di ali? Ecco, anche gli uccelli come i bimbi vivono poeticamente il mondo. E così la natura tutta quando segue il corso delle stagioni, le albe e i tramonti, lo sfolgorante mormorio delle stelle.
Lo so, adesso mi taccerete di retorica, di romanticismo, di utopia, di scarsissima aderenza alla realtà, perché quest’ultima ha le sue leggi, le sue priorità, la sua arcigna faccia quotidiana. I suoi problemi. La sua sofferenza insita nelle nostre fragilità e nella nostra stessa umanità. No. Non ho dimenticato tutto questo. Anzi! Mi preoccupa, mi spaventa, mi fa “tremare le vene e i polsi”. Ma non per questo devo rinunciare ai miei sogni. Alla mia utopia, che non è “ciò che non si può raggiungere, ma ciò che non si è avuto ancora il coraggio di affrontare e realizzare”. Alla mia Poesia. Che non è fatta solo di nuvole, ma di esperienze di vita, come ferite o esaltazioni quotidiane.
Il poetare di Holderlin veniva definito: “illuminazione, veggenza, stato di grazia”.
I poeti sono allora dei privilegiati per un dono assolutamente gratuito che li salva e li salverà sempre.
Nei “Quaderni di Malte” Rilke afferma che i versi sono esperienze che si vestono di stupore. E le esperienze diventano così l’atto più alto del vivere. Prima di scrivere un solo verso, egli afferma, bisogna aver visto molte città, aver conosciuto gli animali e le piante; sentito il volo degli uccelli e ascoltato il linguaggio dei fiori; ripensato ai sentieri percorsi e a quelli mai attraversati; ritornare all’infanzia, alle ferite inferte ai nostri genitori per le inevitabili ribellioni; trascorrere i mattini davanti al mare e sognare tutti gli oceani. Più o meno così. Ho citato sul filo della memoria. Non ho tempo per documentarmi. Questo tempo parcellizzato che distrugge il tempo, la libertà, la creatività. La nostra stessa umanità. Ma in un tempo così buio si fa urgente trovare un fiammifero, un lumicino, una lampada per dissipare le tenebre e fare ancora spazio alla Speranza.  Riscoprire l’’Armonia che non ammette vuoti e si sostanzia di pienezza e di unità. Riproporre la Poesia.
E la poesia per William Blake è “vedere il mondo in un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ e l’eternità in un attimo”.
Se la poesia, dunque, è tutto questo e molto molto altro ancora, allora è possibile abitare poeticamente il mondo. Oggi più che mai. Non possiamo andare al fondo del fondo. Inevitabilmente si torna a galla. Non ricordo più chi abbia detto che “l’ora più buia prelude alla luce” e non può essere altrimenti. I primi segnali di rinascita ci sono. L’amore per la lettura che lentamente rinasce. E la lettura è il volano della conoscenza mediata dai libri: ampia e suggestiva. Profonda. Umana. Perché ogni pagina può essere riletta, meditata, rielaborata. Assaporando lentamente ogni parola, rileggendola se necessario. E, poi, ci sono i giovani che stanno riscoprendo l’impegno senza dimenticare i sogni. Sono i nostri giovani che amano tornare sulle barricate, sporcarsi di fango e di sangue per salvare vite in pericolo, per accogliere chi non ha più nulla. Non esistono solo i ladri i violenti gli assassini che la cronaca quotidiana, i telegiornali, le “dirette” (con i nostri politicanti), sui social appunto, ci sbattono sul viso per fare audience. Ci sono anche i poeti, i nostri poeti rivoluzionari che cominciano a ribellarsi contro un mondo che vorrebbero diverso, migliore, più giusto, più corale e solidale, più vero. Ci sono. Esistono. Solo che non fanno notizia. Il bene è silenzioso come la foresta che cresce contro il rumore dell’albero che si schianta.
“Quando la gioia accade/ fatecelo sapere…”, ammoniva la grande poetessa serba Desanka Maximovic con il cuore pregno d’amore anche dopo i novant’anni. Ed io voglio concludere gridando che i miracoli accadono basta riconoscerli e gridarlo ai mille venti perché anche gli altri e gli altri e gli altri ancora ne abbiano contezza. E voglio cominciare dal miracolo dei giovani.
I giovani sono il nostro futuro, la nostra speranza. Guai se non sentissimo più germogliare nel nostro cuore questa tenera fogliolina, di cui prenderci cura perché continui a verdeggiare.
Non è solo importante partorire un figlio o un’idea. È fondamentale “prendersene cura” e continuare a farlo fino a quando non ci abbandonano le forze. Certo, ci vuole coraggio e determinazione, ma abbiamo ricevuto in dono mente, mani e cuore. E con questi meravigliosi doni, gli uomini di “buona volontà” sono sopravvissuti ad un mondo ostile e pieno d’insidie e di cattiveria, e di violenza e di guerra e di catastrofi naturali e non. E sono sempre rinati. Perché ogni volta hanno scoperto dentro di sé quella Luce che ha rischiarato le tenebre ed ha annunciato una nuova alba. Delitto sarebbe ignorarla. Come lo sarebbe ignorare la memoria storica che ci riporta al passato e ci fa scoprire che il mondo non è nato con noi. Per evitare errori (e sono innumerevoli) e per far tesoro di chi anche in passato è riuscito ad abitare poeticamente il mondo. E i luminosi esempi non mancano.
Mio nonno ce lo ha insegnato con i nostri giorni nutriti di fiabe, con le sue mani colme di fiori e di frutti, con il suo amore per noi, per gli altri, per la vita.
                                                                                                Angela De Leo

3 commenti:

  1. Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!

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  2. Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!

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  3. Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!

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