venerdì 24 agosto 2018

Quasi un romanzo



Quasi una Introduzione

Finché scrivete ciò che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta; e se conta per un giorno o per l’eternità, nessuno può dirlo. (…) ma sacrificare un capello di quello che pensate della vostra testa, una sfumatura del suo colore, in ossequio (…) a qualche professore, col suo righello nella manica, è il tradimento più vile e spregevole…
(Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé)

Dopo aver letto gli articoli sulla “buona scrittura” di Umberto Eco e Beppe Severgnini e di molti altri giornalisti e scrittori, alcuni famosi, altri dell’ultima ora, cara scrittrice, ci tengo a rilevare con grande disappunto che qui hai trasgredito tutte le regole suggerite dai su citati autori perché ritieni (erroneamente) che non sempre sia bene seguire alla lettera quanto gli altri pensano sia giusto. Le regole sono fatte per essere applicate, ma tu sei del parere che vadano anche ignorate o prese “cum grano salis”, quando si tratta di salvaguardare la propria identità, la propria creatività, il personale modo di scrivere e di sentire. Altrimenti, dici, “saremmo tutti omologati in identici comportamenti dovuti a ferree norme, che neppure quelli che le dettano alla fine ritengono di poter o di dover rispettare ‘alla lettera’”.                                                                
“Saremmo”, sostieni, “dei cloni o dei duplicati e scriveremmo tutti allo stesso modo. In perfetto italiano da fare invidia all’Accademia della Crusca, ma senza una virgola di originalità”.
Io, del resto, in questo tuo quasi romanzo (ma sei sicura che puoi definirlo solo romanzo?), ho inciampato in tante imperdonabili trasgressioni, a cominciare dalle innumerevoli ripetizioni: molte pagine sono decisamente le stesse. Lo so, tu mi opporrai che, a ben leggere, non sono identiche. Anzi, mi dirai, “occorre leggerle di nuovo tutte fino in fondo per trovare realmente il bandolo della ingarbugliata matassa dei ricordi, che aggiungono, tolgono, ribadiscono, sostengono atmosfere emozioni riflessioni confronti vissuti…”.
Tutte scuse, la giustificazione non regge.
Nonostante ci sia qua e là qualcosa di diverso, di nuovo, di tolto, di aggiunto, come spesso capita nel riportare alla memoria vecchi ricordi, che di volta in volta modificano il nostro vissuto pregresso, la reiterazione rimane e non puoi pretendere che gli altri siano disposti ad accettarla, e magari a condividerla; non puoi infliggere al lettore la pena di leggere e rileggere sempre le stesse parole ed emozioni, che sono tue e basta. Rischi di essere tacciata non solo di masochismo ma anche di sadismo.
E il tutto può risultare decisamente respingente.
A tua discolpa, sono pronta ad ammettere che questo libro è un forziere di ricordi, e che i ricordi vivono di vita propria: emergono dal passato e rivivono nel presente come e quando capita, senza un filo logico o cronologico. Senza un profilo di assoluta verità perché “niente è come sembra eppure tutto è come a noi appare”.
Non ti si può dare torto ma, nello stesso tempo, penso che non sia giusto, leggendoti, essere costretti a fare lo slalom tra ciò che potrebbe “essere” e ciò che potrebbe “sembrare”…
Certo, le nostre percezioni individuali ci sembrano le più vere, e sono radicate più di qualsiasi verità universale. Il nostro punto di vista spesso è per noi la sola verità ma, ribadisco, non è possibile, quantomeno nell’ottica formale, giustificare pure le tante virgolette e le tante parentesi, i tanti periodi lunghissimi e i tanti sintagmi di una sola parola; tante forme dialettali e tante trasgressioni grammaticali; tanta prosa e tanta poesia; tante argomentazioni banali (e forse anche inutili) e tanti vaneggiamenti irrazionali (e forse anche visionari); tanti aggettivi superflui e tante ripetizioni evitabili. Tante espressioni prolisse e tante ridondanze ad effetto. Tante mandate a capo e tanti puntini di sospensione…
“Tanto di tutto tanto di niente le parole di tanta gente”, come un tempo cantava Gabriella Ferri. Altro tuo mito.
Sono trasgressioni intollerabili in una scrittura che deve far leva soprattutto sulla comunicazione di stati d’animo e di sentimenti nella maniera più chiara, essenziale e scorrevole possibile.
Lo so, qui non si corre il rischio di inoltrarsi in labirinti linguistici oscuri e criptici perché hai sempre ribadito che non ti piacciono gli sperimentalismi di vario genere o le strutture linguistiche estremamente innovative. Anche in questo caso, non ti posso dare torto perché ogni scrittore fa delle scelte formali e stilistiche individuali, ma vorrei ricordarti, “con amicizia”, che nessuno griderà “oh!” di fronte al miracolo di un nuovo capolavoro della letteratura italiana.
E non dirmi che tu non scrivi “per il Nobel o per il Premio Internazionale di Vattelapesca, frazione infinitesimale del comune di…” ma scrivi soprattutto per te stessa, tanto non ti crede nessuno…
E qui ritorna la tua arringa: “Sarà tutta un disastro la mia scrittura, ma è mia e soltanto mia. Come mia è la storia che vado a narrare, in cui racchiudo tante altre storie che faranno sorridere, pensare, indignare, commuovere… Come io amo e so scrivere. Come è nelle mie corde”.
Pura presa di posizione non sempre condivisibile perché si scrive anche per gli altri e, quindi, pura illusione. O irriverente provocazione?
Poi, ritengo giusto che tu faccia una puntualizzazione per agevolare gli eventuali lettori nella decodificazione/interpretazione di questo libro, che per alcuni potrebbe risultare “senza capo né coda”, dato che scrivi sull’onda dei ricordi e delle voci ascoltate e dei flussi di coscienza che da essi partono, per altri estremamente descrittivo e analitico, con infiniti rimandi che servono ad ingarbugliare ancora di più la matassa.
Dunque, la puntualizzazione: tutte le parentesi racchiudono parole, così come le hai recepite o ascoltate e, perciò, non hanno punteggiatura, maiuscole, grafie particolari (“Lourdes”, per esempio, si risolve in “lurds” e non deve scandalizzare o sorprendere l’ignaro lettore, meglio avvisarlo prima), ma anche i flussi di coscienza vivono fra le parentesi nel loro scorrere imprevedibile e imprendibile. Non tutti sono disposti a seguirti nei tuoi voli pindarici o nei tuoi capitomboli. Meglio prevenire, con una bella dichiarazione di intenti, che curare con un “errata corrige” a posteriori che non si usa più e non serve al “latte versato”.
Realisticamente, io ti consiglio di procedere con cautela e senza presunzione di sorta. Nutro, pertanto, la sola speranza che agli incauti lettori questa storia non venga così presto a noia da non provare la curiosità di leggere almeno fino alla seconda pagina.
Questo sarebbe molto grave. Per te. Che hai impiegato così tanto tempo a scrivere questa storia a modo tuo, mentre avresti potuto dedicarti a cose ben più proficue e divertenti. Anche se so benissimo (purtoppo!), e in questo tuo quasi romanzo lo hai ribadito fino alla nausea, che per te non c’è niente di più proficuo e divertente che scrivere.   
E, allora, data la “testa di zucca” (testardaggine e basta?) dell’autrice, sempre “con amicizia”, non mi resta altro da dire se non che, parafrasando un noto detto:
Lettore avvisato, mezzo salvato!


Angela De Leo

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