Quasi una
Introduzione
Finché
scrivete ciò che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta; e se conta
per un giorno o per l’eternità, nessuno può dirlo. (…) ma sacrificare un capello di quello che
pensate della vostra testa, una sfumatura del suo colore, in ossequio (…) a qualche professore, col suo righello nella
manica, è il tradimento più vile e spregevole…
(Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé)
Dopo
aver letto gli articoli sulla “buona scrittura” di Umberto Eco e Beppe
Severgnini e di molti altri giornalisti e scrittori, alcuni famosi, altri
dell’ultima ora, cara scrittrice, ci tengo a rilevare con grande disappunto che
qui hai trasgredito tutte le regole suggerite dai su citati autori perché
ritieni (erroneamente) che non sempre sia bene seguire alla lettera quanto gli
altri pensano sia giusto. Le regole sono fatte per essere applicate, ma tu sei
del parere che vadano anche ignorate o prese “cum grano salis”, quando si
tratta di salvaguardare la propria identità, la propria creatività, il
personale modo di scrivere e di sentire. Altrimenti, dici, “saremmo tutti omologati
in identici comportamenti dovuti a ferree norme, che neppure quelli che le
dettano alla fine ritengono di poter o di dover rispettare ‘alla
lettera’”.
“Saremmo”,
sostieni, “dei cloni o dei duplicati e scriveremmo tutti allo stesso modo. In
perfetto italiano da fare invidia all’Accademia della Crusca, ma senza una
virgola di originalità”.
Io, del
resto, in questo tuo quasi romanzo (ma sei sicura che puoi definirlo solo
romanzo?), ho inciampato in tante imperdonabili trasgressioni, a cominciare
dalle innumerevoli ripetizioni: molte pagine sono decisamente le stesse. Lo so,
tu mi opporrai che, a ben leggere, non sono identiche. Anzi, mi dirai, “occorre
leggerle di nuovo tutte fino in fondo per trovare realmente il bandolo della
ingarbugliata matassa dei ricordi, che aggiungono, tolgono, ribadiscono,
sostengono atmosfere emozioni riflessioni confronti vissuti…”.
Tutte
scuse, la giustificazione non regge.
Nonostante
ci sia qua e là qualcosa di diverso, di nuovo, di tolto, di aggiunto, come
spesso capita nel riportare alla memoria vecchi ricordi, che di volta in volta
modificano il nostro vissuto pregresso, la reiterazione rimane e non puoi
pretendere che gli altri siano disposti ad accettarla, e magari a condividerla;
non puoi infliggere al lettore la pena di leggere e rileggere sempre le stesse
parole ed emozioni, che sono tue e basta. Rischi di essere tacciata non solo di
masochismo ma anche di sadismo.
E il
tutto può risultare decisamente respingente.
A tua
discolpa, sono pronta ad ammettere che questo libro è un forziere di ricordi, e
che i ricordi vivono di vita propria: emergono dal passato e rivivono nel
presente come e quando capita, senza un filo logico o cronologico. Senza un profilo
di assoluta verità perché “niente è come sembra eppure tutto è come a noi
appare”.
Non ti
si può dare torto ma, nello stesso tempo, penso che non sia giusto, leggendoti,
essere costretti a fare lo slalom tra ciò che potrebbe “essere” e ciò che
potrebbe “sembrare”…
Certo,
le nostre percezioni individuali ci sembrano le più vere, e sono radicate più
di qualsiasi verità universale. Il nostro punto di vista spesso è per noi la
sola verità ma, ribadisco, non è possibile, quantomeno nell’ottica formale, giustificare
pure le tante virgolette e le tante parentesi, i tanti periodi lunghissimi e i
tanti sintagmi di una sola parola; tante forme dialettali e tante trasgressioni
grammaticali; tanta prosa e tanta poesia; tante argomentazioni banali (e forse
anche inutili) e tanti vaneggiamenti irrazionali (e forse anche visionari);
tanti aggettivi superflui e tante ripetizioni evitabili. Tante espressioni
prolisse e tante ridondanze ad effetto. Tante mandate a capo e tanti puntini di
sospensione…
“Tanto
di tutto tanto di niente le parole di tanta gente”, come un tempo cantava
Gabriella Ferri. Altro tuo mito.
Sono
trasgressioni intollerabili in una scrittura che deve far leva soprattutto
sulla comunicazione di stati d’animo e di sentimenti nella maniera più chiara,
essenziale e scorrevole possibile.
Lo so,
qui non si corre il rischio di inoltrarsi in labirinti linguistici oscuri e
criptici perché hai sempre ribadito che non ti piacciono gli sperimentalismi di
vario genere o le strutture linguistiche estremamente innovative. Anche in
questo caso, non ti posso dare torto perché ogni scrittore fa delle scelte
formali e stilistiche individuali, ma vorrei ricordarti, “con amicizia”, che
nessuno griderà “oh!” di fronte al miracolo di un nuovo capolavoro della
letteratura italiana.
E non
dirmi che tu non scrivi “per il Nobel o per il Premio Internazionale di
Vattelapesca, frazione infinitesimale del comune di…” ma scrivi soprattutto per
te stessa, tanto non ti crede nessuno…
E qui
ritorna la tua arringa: “Sarà tutta un disastro la mia scrittura, ma è mia e
soltanto mia. Come mia è la storia che vado a narrare, in cui racchiudo tante
altre storie che faranno sorridere, pensare, indignare, commuovere… Come io amo
e so scrivere. Come è nelle mie corde”.
Pura
presa di posizione non sempre condivisibile perché si scrive anche per gli
altri e, quindi, pura illusione. O irriverente provocazione?
Poi,
ritengo giusto che tu faccia una puntualizzazione per agevolare gli eventuali
lettori nella decodificazione/interpretazione di questo libro, che per alcuni
potrebbe risultare “senza capo né coda”, dato che scrivi sull’onda dei ricordi
e delle voci ascoltate e dei flussi di coscienza che da essi partono, per altri
estremamente descrittivo e analitico, con infiniti rimandi che servono ad ingarbugliare
ancora di più la matassa.
Dunque,
la puntualizzazione: tutte le parentesi racchiudono parole, così come le hai
recepite o ascoltate e, perciò, non hanno punteggiatura, maiuscole, grafie
particolari (“Lourdes”, per esempio, si risolve in “lurds” e non deve
scandalizzare o sorprendere l’ignaro lettore, meglio avvisarlo prima), ma anche
i flussi di coscienza vivono fra le parentesi nel loro scorrere imprevedibile e
imprendibile. Non tutti sono disposti a seguirti nei tuoi voli pindarici o nei
tuoi capitomboli. Meglio prevenire, con una bella dichiarazione di intenti, che
curare con un “errata corrige” a posteriori che non si usa più e non serve al
“latte versato”.
Realisticamente,
io ti consiglio di procedere con cautela e senza presunzione di sorta. Nutro,
pertanto, la sola speranza che agli incauti lettori questa storia non venga
così presto a noia da non provare la curiosità di leggere almeno fino alla
seconda pagina.
Questo
sarebbe molto grave. Per te. Che hai impiegato così tanto tempo a scrivere
questa storia a modo tuo, mentre avresti potuto dedicarti a cose ben più
proficue e divertenti. Anche se so benissimo (purtoppo!), e in questo tuo quasi
romanzo lo hai ribadito fino alla nausea, che per te non c’è niente di più
proficuo e divertente che scrivere.
E,
allora, data la “testa di zucca” (testardaggine e basta?) dell’autrice, sempre
“con amicizia”, non mi resta altro da dire se non che, parafrasando un noto
detto:
Lettore
avvisato, mezzo salvato!
Angela De
Leo
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