ABITARE
POETICAMENTE IL MONDO
Il “prendersi
cura” contro la “cultura dell’offesa”
Mi piace proporre qualche riflessione sulla
possibilità che ha la poesia ancora oggi di essere veicolo di salvezza in un
mondo devastato dalla “cultura” della violenza, dell’offesa, della divisione,
dell’odio e della disumana indifferenza nei riguardi di chi soffre, di chi è
debole, solo, disperato, oppure ha bisogno di asilo perché scappa dall’orrore della
guerra, dai morsi della fame, da una terra devastata e senza speranza. In questi
giorni di totale confusione e notevoli discordanze nel nostro Paese, e non
solo, mi chiedo allarmata e delusa se sia ancora possibile oggi vivere con
poesia e di poesia. Prendo quotidianamente atto di essere completamente disancorata,
con i miei ideali e le mie utopie, da questo mondo di pochezza e di pressappochismo,
di arroganza e mancanza di senso storico, civico e sociale (in termini di
unione corale tra gli uomini). Per evitare di ridurre il mio sgomento ai soliti
pensieri romantici e poco realistici, ho cercato di farmene una ragione con la
inevitabilità del fenomeno a causa di una cultura scientifica e tecnologica,
che ha pian piano soppiantato, senza che ce ne accorgessimo, non solo nella
scuola ma nella società tutta, quella cultura umanistica che ci consentiva di essere ancora “umani”, a
contatto con la letteratura, la filosofia, l’Arte in tutte le sue innumerevoli
forme, e, perché no, a contatto con la natura, principale fonte di ispirazione
per poeti, pittori, musicisti. La scienza e la tecnica, ma soprattutto l’elettronica,
hanno finito per darci in pasto ad una fittizia realtà “virtuale”, che si è
sempre più diffusa grazie ad internet e ai social. Senza volerli demonizzare,
ma anche senza esaltarli oltre misura, li ritengo in buona parte responsabili
della “non cultura” del nostro tempo, con tutte le accelerazioni linguistiche che
essi comportano e sollecitano, e il conseguente depauperamento della ricchezza
che ogni lingua e linguaggio porta in sé e con sé, e con tutte le velleità dell’apparire
a discapito dell’Essere. Velocizzando ogni operazione, ogni contatto, ogni comunicazione
e agevolando un solipsismo che sta diventando dominante e sempre più preoccupante,
per non dire devastante. E con questo individualismo esasperato vanno sempre
più aumentando le chiusure agli altri, gli egoismi, le divisioni. I social solo
in apparenza aggregano, offrono possibilità di conoscenza, scambio, confronto. Basta
andare su facebook o su twitter per averne conferma.
Come conciliare tutto questo con il mio sogno di “abitare
poeticamente il mondo”?
“Abitare poeticamente la terra” è il titolo di un
libro di poche pagine ma di pregnante e ricchissimo contenuto poetico-culturale
del noto critico letterario Emerico Giachery che, nel donarmelo, parecchi anni
fa, in un incontro nella sua Roma, mi disse che quel titolo, che a me sembrò
subito bellissimo, gli era stato suggerito da una espressione attribuita al
poeta tedesco Friedrich Holderlin,
ripresa successivamente dal filosofo Martin Heidegger, il quale puntualizzò che
l’avverbio “poeticamente” stava a significare “essere alla presenza degli Dei
ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”. Che per me consiste
nell’illuminare di tenerezza il quotidiano, anche con la scrittura: le
innumerevoli voci nascoste, ma reali, i suoni, i profumi, la musica, il sogno
della terra, dei fiori, dei prati, delle acque, le nuvole, le onde, il mare…
gli altri miei simili, con i quali desidero comunicare con gli occhi ancora
prima che con la voce, col gesto, con un mezzo tecnologico, freddo e distante.
È necessario, mi dico, ritornare ad ascoltare le
voci della natura, come facevano gli uomini primitivi, quando la natura non era
ancora “desacralizzata” (Carlo Sini).
Prendere, magari, a modello i bambini che, con
naturalezza, abitano poeticamente la terra. Si stupiscono. Si meravigliano. Non
programmano i loro giorni, ma li vivono solo giocando e nel gioco e con il
gioco imparano a scoprire il mondo, giorno dopo giorno, conquista dopo
conquista, abbandonandosi senza steccati e senza confini al fluire del tempo e
della vita. I programmi che noi adulti siamo soliti fare, frazionando il tempo,
segnano dei limiti e delle strade obbligate, che dobbiamo percorrere se
vogliamo realizzare i progetti che ci prefiggiamo di raggiungere. Ma così
sacrifichiamo libertà e creatività. Forse sarebbe meglio avere solo degli
intenti da perseguire e da trasformare pian piano che viviamo, escogitando di
volta in volta il “come”, nel rispetto della libertà e delle “modalità” di
ciascuno, cercando magari di trovare continuamente “punti d’ incontro” per non
sentirci mai soli nella realizzazione di quanto riteniamo utile per ciascuno,
ma anche per il bene di tutti. Sarebbe bello formare delle cordate vere,
concrete, reali per aiutarci a vicenda e sentirci solidali, forti, felici. Ci
riapproprieremmo così della semplicità della vita. E, del resto, lo stesso
Heidegger affermava: “Lasciamo essere all’ESSERE”. Abbandoniamoci all’esistenza
e tutto potrebbe accadere ne tempo giusto e nel luogo giusto. Non vivono gli
uccelli cantando e ricamando i cieli di voli senza l’ansia del cibo o di
programmare il nido che a primavera riempiranno di pigolii e fremiti di ali?
Ecco, anche gli uccelli come i bimbi vivono poeticamente il mondo. E così la
natura tutta quando segue il corso delle stagioni, le albe e i tramonti, lo
sfolgorante mormorio delle stelle.
Lo so, adesso mi taccerete di retorica, di
romanticismo, di utopia, di scarsissima aderenza alla realtà, perché
quest’ultima ha le sue leggi, le sue priorità, la sua arcigna faccia
quotidiana. I suoi problemi. La sua sofferenza insita nelle nostre fragilità e
nella nostra stessa umanità. No. Non ho dimenticato tutto questo. Anzi! Mi
preoccupa, mi spaventa, mi fa “tremare le vene e i polsi”. Ma non per questo
devo rinunciare ai miei sogni. Alla mia utopia, che non è “ciò che non si può
raggiungere, ma ciò che non si è avuto ancora il coraggio di affrontare e
realizzare”. Alla mia Poesia. Che non è fatta solo di nuvole, ma di esperienze
di vita, come ferite o esaltazioni quotidiane.
Il poetare di Holderlin veniva definito:
“illuminazione, veggenza, stato di grazia”.
I poeti sono allora dei privilegiati per un dono
assolutamente gratuito che li salva e li salverà sempre.
Nei “Quaderni di Malte” Rilke afferma che i versi
sono esperienze che si vestono di stupore. E le esperienze diventano così
l’atto più alto del vivere. Prima di scrivere un solo verso, egli afferma,
bisogna aver visto molte città, aver conosciuto gli animali e le piante;
sentito il volo degli uccelli e ascoltato il linguaggio dei fiori; ripensato ai
sentieri percorsi e a quelli mai attraversati; ritornare all’infanzia, alle
ferite inferte ai nostri genitori per le inevitabili ribellioni; trascorrere i
mattini davanti al mare e sognare tutti gli oceani. Più o meno così. Ho citato
sul filo della memoria. Non ho tempo per documentarmi. Questo tempo
parcellizzato che distrugge il tempo, la libertà, la creatività. La nostra
stessa umanità. Ma in un tempo così buio si fa urgente trovare un fiammifero,
un lumicino, una lampada per dissipare le tenebre e fare ancora spazio alla
Speranza. Riscoprire l’’Armonia che non
ammette vuoti e si sostanzia di pienezza e di unità. Riproporre la Poesia.
E la poesia per William Blake è “vedere il mondo in
un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ e l’eternità in un
attimo”.
Se la poesia, dunque, è tutto questo e molto molto
altro ancora, allora è possibile abitare poeticamente il mondo. Oggi più che
mai. Non possiamo andare al fondo del fondo. Inevitabilmente si torna a galla.
Non ricordo più chi abbia detto che “l’ora più buia prelude alla luce” e non
può essere altrimenti. I primi segnali di rinascita ci sono. L’amore per la
lettura che lentamente rinasce. E la lettura è il volano della conoscenza mediata
dai libri: ampia e suggestiva. Profonda. Umana. Perché ogni pagina può essere
riletta, meditata, rielaborata. Assaporando lentamente ogni parola,
rileggendola se necessario. E, poi, ci sono i giovani che stanno riscoprendo
l’impegno senza dimenticare i sogni. Sono i nostri giovani che amano tornare
sulle barricate, sporcarsi di fango e di sangue per salvare vite in pericolo,
per accogliere chi non ha più nulla. Non esistono solo i ladri i violenti gli
assassini che la cronaca quotidiana, i telegiornali, le “dirette” (con i nostri
politicanti), sui social appunto, ci sbattono sul viso per fare audience. Ci
sono anche i poeti, i nostri poeti rivoluzionari che cominciano a ribellarsi
contro un mondo che vorrebbero diverso, migliore, più giusto, più corale e
solidale, più vero. Ci sono. Esistono. Solo che non fanno notizia. Il bene è
silenzioso come la foresta che cresce contro il rumore dell’albero che si
schianta.
“Quando la gioia accade/ fatecelo sapere…”, ammoniva
la grande poetessa serba Desanka Maximovic con il cuore pregno d’amore anche
dopo i novant’anni. Ed io voglio concludere gridando che i miracoli accadono
basta riconoscerli e gridarlo ai mille venti perché anche gli altri e gli altri
e gli altri ancora ne abbiano contezza. E voglio cominciare dal miracolo dei
giovani.
I giovani sono il nostro futuro, la nostra speranza.
Guai se non sentissimo più germogliare nel nostro cuore questa tenera
fogliolina, di cui prenderci cura perché continui a verdeggiare.
Non è solo importante partorire un figlio o un’idea.
È fondamentale “prendersene cura” e continuare a farlo fino a quando non ci
abbandonano le forze. Certo, ci vuole coraggio e determinazione, ma abbiamo
ricevuto in dono mente, mani e cuore. E con questi meravigliosi doni, gli
uomini di “buona volontà” sono sopravvissuti ad un mondo ostile e pieno
d’insidie e di cattiveria, e di violenza e di guerra e di catastrofi naturali e
non. E sono sempre rinati. Perché ogni volta hanno scoperto dentro di sé quella
Luce che ha rischiarato le tenebre ed ha annunciato una nuova alba. Delitto
sarebbe ignorarla. Come lo sarebbe ignorare la memoria storica che ci riporta
al passato e ci fa scoprire che il mondo non è nato con noi. Per evitare errori
(e sono innumerevoli) e per far tesoro di chi anche in passato è riuscito ad
abitare poeticamente il mondo. E i luminosi esempi non mancano.
Mio nonno ce lo ha insegnato con i nostri giorni
nutriti di fiabe, con le sue mani colme di fiori e di frutti, con il suo amore
per noi, per gli altri, per la vita.
Angela De Leo
Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!
RispondiEliminaAngela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!
RispondiEliminaAngela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato ... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perchè tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!
RispondiElimina