Mi scusi, signor Festival, non le pare che
il suo nome “Fiero del Libro” possa risultare un po’ strano, quasi un errore
tipografico? Ha mai pensato che potesse creare confusione?
Sì, e ne
sono Fiero!
Battuta
a parte, si tratta di un gioco di parole.
Tra
fiera e fiero cambia una sola lettera e si stravolge un intero significato.
Otto
anni fa, i festival letterari erano ancora abbastanza circoscritti agli eventi
più famosi sul territorio nazionale, mentre erano frequentissime le varie fiere
di settore, comprese quelle dei libri venduti magari a peso sotto gazebo
itineranti.
Cambiare
una lettera a favore di una diversa dignità letteraria è stato immediato, semplice e
geniale allo stesso tempo, non trova?
Con il
termine “fiero” si sposta il campo semantico e il libro, da essere considerato solo
come prodotto commerciale, diventa soggetto dal valore intrinseco: un bene culturale di
cui sentirsi fieri.
Il libro
si riappropria del suo spazio da protagonista e si pone all’attenzione come
vessillo, bandiera, orgoglio. Volevo che i lettori si sentissero fieri di
appartenere ad una categoria sociale importante, fatta di gente assetata di cultura
e conoscenze, raggiungibili attraverso la lettura.
L’idea
era quella di una sorta di libro o lettura pride. Festival dei lettori fieri di
esserlo, appunto.
Il mio logo,
infatti, ritrae una mano bronzea che stringe un libro con fierezza, racchiusa
in un rombo, una sorta di scudo o di stemma dal valore, comunque, simbolico.
Essere
fieri di leggere libri è un messaggio importante. Che esprime una connotazione
forte di un’identità che si afferma contrapponendosi alle mode.
Il
rischio della retorica o una certa terminologia nostalgica, per molto tempo, ci
hanno tenuti lontani da alcune parole, come se il solo pronunciarle ci potesse rendere
vulnerabili, fragili, perseguibili di ingiurie e sfottò. Tra queste parole
anche l’aggettivo “fiero”.
Eppure
declinare la fierezza delle cose positive, che ci accadono o che ci rendono
migliori, è importante. Fa bene al nostro mondo valoriale, per esempio, dichiarare
la propria fierezza di essere onesti o leali, coraggiosi o solidali.
Sono
fiero di questo nome! Come quando si porta il nome di una persona cara.
Oggi, nelle interviste alla moda, si domanda
spesso: “Qual è la sua mission?” Si è posto degli obiettivi, scopi, finalità.
Cosa vorrebbe raggiungere?
Sì, certo, mi sono posto degli obiettivi: tutti tranne quelli economici.
Credo di
rappresentare una piccola rivoluzione: sono un festival di letteratura (e non
solo, a dir la verità, perché mi sono occupato anche di Arte, Cinema, Teatro, Musica, Cabaret, Danza, Fotografia), pensato per far pensare. In questi anni,
infatti, ho proposto varie tematiche: ambiente, territorio, violenza,
giustizia, appartenenza, bellezza.
Intanto,
è importante sottolineare che sono nato, come lei sa, in una Casa editrice, la
SECOP edizioni, e non sono, per questa ragione, né un’espressione politica né un
vezzo mondano.
Sono il sogno
di un editore.
Peppino Piacente mi ha immaginato come una
porta, un varco, una finestra, un ponte da attraversare per raggiungere gli
altri con i suoi libri.
Lui e il
suo staff di famiglia mi hanno voluto con l’obiettivo di far tornare, a sempre più vasto raggio, la voglia
di leggere.
Di far
ripensare ai libri come opportunità di crescita culturale, etica e spirituale, come possibilità di
incontro e di confronto, come passaporto per la libertà.
I libri SECOP,
del resto, nascono con il desiderio di parlare, di far parlare, di pensare e
far riflettere, e per le stesse ragioni sono nato io.
Così, durante
i tre giorni delle mie attività, si può riscoprire la bellezza di leggere e
confrontarsi con la Poesia, con la Letteratura per l’Infanzia, la Narrativa, la
Saggistica, il Fumetto, i libri d’Arte, attraverso momenti diversi: dai laboratori
per bambini e adulti ai dibattiti, dai momenti di lettura condivisa e
partecipata alle varie forme d’intrattenimento.
Ecco, la
mia “mission” è essere la manifestazione di un dato di fatto incontrovertibile:
i buoni libri possono nascere solo da buoni lettori.
Ogni mio
ospite, infatti, è intervenuto prima di tutto come lettore e ha dialogato con
altri lettori, in una forma di scambio, di reciprocità.
Nessuna
passerella di volti noti, nessuna presentazione standard, nessun momento in
contemporanea con un altro né l’utilizzo di piazze diverse, nessun autore
“divo”, nessun clamore, fuori da ogni sensazionalismo.
Con
semplicità, attraverso i libri e gli autori, italiani o stranieri, di Casa
SECOP. E alcuni ospiti qualificati, intervenuti nei vari dibattiti proposti,
collaborando con le risorse intellettuali e culturali presenti nel Paese: dalle
scuole alle associazioni, dalle testate giornalistiche, alle radio locali.
Sono un momento di scambio di opinioni, pensieri e idee.
Sono un
festival libero. Sono un
festival libro.
Mi sembra di cogliere un certo
compiacimento, è davvero sicuro di avere poi così tante differenze con gli
altri festival?
Un certo
compiacimento? Non si scordi che mi chiamo Fiero del Libro!
E sì, mi
sento diverso.
Non ho
mai voluto assomigliare a qualcuno o a qualcosa.
A casa
mia non amiamo il copia incolla e non lo abbiamo mai fatto.
Siamo come
siamo. Come possiamo e come sappiamo essere.
Per
questo non sono uguale a nessun’altra manifestazione del genere.
Quindi, pensa di piacere alla gente? Che
tipo di pubblico ha?
Sì, penso
di piacere alle persone, non alla gente.
Mi
scusi, dovrebbe sapere che la gente non esiste, esistono le persone, appunto!
Molte
persone, perciò, mi seguono, stando alle attestazioni di stima che mi rivolgono
da otto anni.
Non sono
nato per le folle, amorfe e disattente; sono più tagliato su misura per un
pubblico di fedelissimi, amici di lunga data, lettori che vengono volentieri a
dialogare con me.
Mi frequentano,
anche, scrittori, poeti, giornalisti, artisti, autori, ovviamente, e ora non
dica che sono snob o che ho un pubblico di nicchia!
Lei, mi
conosce bene, sa che mi piace andare incontro agli altri, per condividere l’amore
per la lettura e la scrittura, senza pregiudizi, ostacoli, o attese di sorta.
Sa anche
che mi rammarico ogni volta che scorgo qualche assenza o defezione, non
certamente perché mi senta offeso di non essere stato sufficientemente
osannato, ma perché mi dispiaccio di aver perso l’occasione di incontrare i
sogni di qualcun altro.
Dall’anno
scorso ho scelto di abitare la piazza antistante al Teatro comunale, perché mi
piace quella sua vocazione culturale racchiusa nella conchiglia, che formano
gli edifici intorno, fatta per dare la possibilità di ascoltare e partecipare
in maniera individuale e corale insieme.
Chi
viene a trovarmi non assiste, partecipa. È parte integrante. Si dà appuntamento
da me per esserci. Oserei dire, per testimoniare.
Ritiene di avere l’attenzione che vorrebbe
da parte delle istituzioni e dei media?
Direi di
sì, anche se a volte, con discontinuità e distrazione, ma è comprensibile
perché non faccio numeri da capogiro.
E non
propongo cose di cui già si è sentito parlare.
In
questi otto anni, però, si è parlato tanto di me e, più che di attenzione, io
parlerei d’affetto.
Mi
vogliono bene.
Sono un
po’ come la zia lontana, che vale la pena di andare a trovare, perché nel
cassetto ha sempre un cioccolatino buono da regalarti.
Cosa potrei augurarle? Tanto successo?
Lei è la
poetologa, dunque mi auguri di conservare intatta la meraviglia e di regalare
sempre qualche fogliolina verde di Poesia!
Sì, tanta Poesia, certo, ma anche sempre
tanta determinazione, tanto coraggio, tanto entusiasmo per sé e da trasmettere
a tutti coloro che amano leggere, informarsi, condividere, confrontarsi, cercare
la profondità delle parole che nasce dalla essenza spirituale e materica delle
cose… il coraggio di sognare…
In bocca al lupo!
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