giovedì 30 agosto 2018

Intervista a modo mio al Festival letterario "Fiero del Libro"

Mi scusi, signor Festival, non le pare che il suo nome “Fiero del Libro” possa risultare un po’ strano, quasi un errore tipografico? Ha mai pensato che potesse creare confusione?

Sì, e ne sono Fiero!
Battuta a parte, si tratta di un gioco di parole.
Tra fiera e fiero cambia una sola lettera e si stravolge un intero significato.
Otto anni fa, i festival letterari erano ancora abbastanza circoscritti agli eventi più famosi sul territorio nazionale, mentre erano frequentissime le varie fiere di settore, comprese quelle dei libri venduti magari a peso sotto gazebo itineranti.
Cambiare una lettera a favore di una diversa dignità letteraria è stato immediato, semplice e geniale allo stesso tempo, non trova?
Con il termine “fiero” si sposta il campo semantico e il libro, da essere considerato solo come prodotto commerciale, diventa soggetto dal valore intrinseco: un bene culturale di cui sentirsi fieri.
Il libro si riappropria del suo spazio da protagonista e si pone all’attenzione come vessillo, bandiera, orgoglio. Volevo che i lettori si sentissero fieri di appartenere ad una categoria sociale importante, fatta di gente assetata di cultura e conoscenze, raggiungibili attraverso la lettura.
L’idea era quella di una sorta di libro o lettura pride. Festival dei lettori fieri di esserlo, appunto.
Il mio logo, infatti, ritrae una mano bronzea che stringe un libro con fierezza, racchiusa in un rombo, una sorta di scudo o di stemma dal valore, comunque, simbolico.  
Essere fieri di leggere libri è un messaggio importante. Che esprime una connotazione forte di un’identità che si afferma contrapponendosi alle mode.
Il rischio della retorica o una certa terminologia nostalgica, per molto tempo, ci hanno tenuti lontani da alcune parole, come se il solo pronunciarle ci potesse rendere vulnerabili, fragili, perseguibili di ingiurie e sfottò. Tra queste parole anche l’aggettivo “fiero”.
Eppure declinare la fierezza delle cose positive, che ci accadono o che ci rendono migliori, è importante. Fa bene al nostro mondo valoriale, per esempio, dichiarare la propria fierezza di essere onesti o leali, coraggiosi o solidali.
Sono fiero di questo nome! Come quando si porta il nome di una persona cara.  

Oggi, nelle interviste alla moda, si domanda spesso: “Qual è la sua mission?” Si è posto degli obiettivi, scopi, finalità. Cosa vorrebbe raggiungere?

Sì, certo, mi sono posto degli obiettivi: tutti tranne quelli economici.
Credo di rappresentare una piccola rivoluzione: sono un festival di letteratura (e non solo, a dir la verità, perché mi sono occupato anche di Arte, Cinema, Teatro, Musica, Cabaret, Danza, Fotografia), pensato per far pensare. In questi anni, infatti, ho proposto varie tematiche: ambiente, territorio, violenza, giustizia, appartenenza, bellezza.
Intanto, è importante sottolineare che sono nato, come lei sa, in una Casa editrice, la SECOP edizioni, e non sono, per questa ragione, né un’espressione politica né un vezzo mondano.
Sono il sogno di un editore.
Peppino Piacente mi ha immaginato come una porta, un varco, una finestra, un ponte da attraversare per raggiungere gli altri con i suoi libri.   
Lui e il suo staff di famiglia mi hanno voluto con l’obiettivo di far tornare, a sempre più vasto raggio, la voglia di leggere.
Di far ripensare ai libri come opportunità di crescita culturale, etica e spirituale, come possibilità di incontro e di confronto, come passaporto per la libertà.
I libri SECOP, del resto, nascono con il desiderio di parlare, di far parlare, di pensare e far riflettere, e per le stesse ragioni sono nato io.
Così, durante i tre giorni delle mie attività, si può riscoprire la bellezza di leggere e confrontarsi con la Poesia, con la Letteratura per l’Infanzia, la Narrativa, la Saggistica, il Fumetto, i libri d’Arte, attraverso momenti diversi: dai laboratori per bambini e adulti ai dibattiti, dai momenti di lettura condivisa e partecipata alle varie forme d’intrattenimento.
Ecco, la mia “mission” è essere la manifestazione di un dato di fatto incontrovertibile: i buoni libri possono nascere solo da buoni lettori.
Ogni mio ospite, infatti, è intervenuto prima di tutto come lettore e ha dialogato con altri lettori, in una forma di scambio, di reciprocità.
Nessuna passerella di volti noti, nessuna presentazione standard, nessun momento in contemporanea con un altro né l’utilizzo di piazze diverse, nessun autore “divo”, nessun clamore, fuori da ogni sensazionalismo.
Con semplicità, attraverso i libri e gli autori, italiani o stranieri, di Casa SECOP. E alcuni ospiti qualificati, intervenuti nei vari dibattiti proposti, collaborando con le risorse intellettuali e culturali presenti nel Paese: dalle scuole alle associazioni, dalle testate giornalistiche, alle radio locali.
Sono un momento di scambio di opinioni, pensieri e idee.
                             Sono un festival libero. Sono un festival libro.

Mi sembra di cogliere un certo compiacimento, è davvero sicuro di avere poi così tante differenze con gli altri festival?

Un certo compiacimento? Non si scordi che mi chiamo Fiero del Libro!
E sì, mi sento diverso.
Non ho mai voluto assomigliare a qualcuno o a qualcosa.
A casa mia non amiamo il copia incolla e non lo abbiamo mai fatto.
Siamo come siamo. Come possiamo e come sappiamo essere.
Per questo non sono uguale a nessun’altra manifestazione del genere.

Quindi, pensa di piacere alla gente? Che tipo di pubblico ha?

Sì, penso di piacere alle persone, non alla gente.
Mi scusi, dovrebbe sapere che la gente non esiste, esistono le persone, appunto!
Molte persone, perciò, mi seguono, stando alle attestazioni di stima che mi rivolgono da otto anni.
Non sono nato per le folle, amorfe e disattente; sono più tagliato su misura per un pubblico di fedelissimi, amici di lunga data, lettori che vengono volentieri a dialogare con me.
Mi frequentano, anche, scrittori, poeti, giornalisti, artisti, autori, ovviamente, e ora non dica che sono snob o che ho un pubblico di nicchia!
Lei, mi conosce bene, sa che mi piace andare incontro agli altri, per condividere l’amore per la lettura e la scrittura, senza pregiudizi, ostacoli, o attese di sorta.
Sa anche che mi rammarico ogni volta che scorgo qualche assenza o defezione, non certamente perché mi senta offeso di non essere stato sufficientemente osannato, ma perché mi dispiaccio di aver perso l’occasione di incontrare i sogni di qualcun altro.  
Dall’anno scorso ho scelto di abitare la piazza antistante al Teatro comunale, perché mi piace quella sua vocazione culturale racchiusa nella conchiglia, che formano gli edifici intorno, fatta per dare la possibilità di ascoltare e partecipare in maniera individuale e corale insieme.
Chi viene a trovarmi non assiste, partecipa. È parte integrante. Si dà appuntamento da me per esserci. Oserei dire, per testimoniare.

Ritiene di avere l’attenzione che vorrebbe da parte delle istituzioni e dei media?

Direi di sì, anche se a volte, con discontinuità e distrazione, ma è comprensibile perché non faccio numeri da capogiro.
E non propongo cose di cui già si è sentito parlare.
In questi otto anni, però, si è parlato tanto di me e, più che di attenzione, io parlerei d’affetto.
Mi vogliono bene.
Sono un po’ come la zia lontana, che vale la pena di andare a trovare, perché nel cassetto ha sempre un cioccolatino buono da regalarti.

Cosa potrei augurarle? Tanto successo?
Lei è la poetologa, dunque mi auguri di conservare intatta la meraviglia e di regalare sempre qualche fogliolina verde di Poesia!     

Sì, tanta Poesia, certo, ma anche sempre tanta determinazione, tanto coraggio, tanto entusiasmo per sé e da trasmettere a tutti coloro che amano leggere, informarsi, condividere, confrontarsi, cercare la profondità delle parole che nasce dalla essenza spirituale e materica delle cose… il coraggio di sognare…
In bocca al lupo!
                               

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