giovedì 3 giugno 2021

3 giugno: ultimo giorno del nostro essere in due...

Ricordi? Tredici anni fa il 2 giugno era di domenica e noi lo trascorremmo all’Ippocampo, dove fino a qualche anno prima avevamo, in un complesso di villette di nuova costruzione, al primo piano, una deliziosa casetta, che si affacciava sul grande spiazzo dell’Acqua-park del costruttore da cui l’avevamo comprata, per le nostre vacanze in un luogo a noi caro perché vi avevamo trascorso, di anno in anno, alcuni meravigliosi giorni della nostra incontaminata prima giovinezza, tra balli sulle terrazze e risate in riva al mare e i falò accesi a cullare i nostri sogni e le ripicche di disperate gelosie per le donne che corteggiavi per farmi dispetto e per i ragazzi da cui mi lasciavo corteggiare per farti dispetto. Poi, tu ti stancasti, come ti capitava spesso, anche di quella casetta che aveva una robusta palma a toccare il cielo e una siepe di delicate roselline di un rosa tenero a delimitare l’accogliente minuscolo giardino con una scala a semichiocciola che c’invitava ad andare su. Io amavo quell’appartamentino semplice con veranda, soggiorno-angolo cottura, due camere da letto e bagno. Tu diventavi subito insofferente a luoghi e persone e dopo un po’ non vedevi l’ora di disfartene, anche rimettendoci sul prezzo di acquisto. A volte mi meravigliavo che non ancora ti fossi stancato di me. E temevo sempre che accadesse. Ma eravamo troppo simili nelle nostre abissali diversità per lasciarci perdere senza continui recuperi. Avevamo bisogno l’uno dell’altra per non perdere le coordinate spazio-temporali che una identica creatività, con facce estremamente diverse e incoerenze inverosimilmente uguali, regalava quotidianamente prodigi ad una coppia male/bene assortita come noi due: tu alla ricerca del tuo cuore sempre lontano da te, io con due cuori sempre esposti a darti riparo e passi e mani per aiutarti a incontrare il tuo. Tu, sfuriate improvvise e improvvisi pentimenti; io lunghi silenzi di delusione e di amarezza. Poi ci vinceva la passione. Ci vinceva la poesia.

Quell’anno di tredici anni fa fummo ospiti di alcuni amici che, qualche anno prima, venendo a trovarci, si erano innamorati di quel villaggio turistico a solo un centinaio di chilometri da casa e avevano comprato anche loro la loro bella villetta a pianterreno perché il capofamiglia amava coltivare le aiuole del giardino. Trascorremmo insieme una giornata di chiacchierate e progetti, ottimo pasto, ottimo vino, serena compagnia. Poi ritornammo a casa con qualche rimpianto per la nostra casetta silenziosa e solitaria e un pizzico di nostalgia, che non ci raccontammo, ma la sentivamo nell’aria di quel tramonto dorato e sempre più lontano. E il giorno dopo, il 3 giugno appunto, fu l’ultimo giorno insieme e non lo sapevamo. Tu percorresti più e più volte le scale che dal tuo studio di quadri che dipingevi e di carte su cui scrivevi le tue poesie ti portavano alla nostra mansarda dove io, sotto i lucernari, sognavo e traducevo i miei sogni in parole con carta e penna, non sapendo e non volendo usare il computer, che avrebbe, ne ero certa, divorato i miei pensieri in libertà, sempre condizionata. Pensieri che avevano un’unica possibilità di essere disciplinati da “qualcuno” che mi “abitava dentro” e che passeggiava a suo piacimento, innervandosi continuamente dalla testa al braccio alla penna al foglio. Fiorivano così versi, racconti, romanzi, saggi critici su libri famosi di autori famosi italiani e stranieri che amavo. O che mi facevano amare. Perché ogni parola scritta, per me o per gli altri, è stata ed è subito da me amata. Avresti dovuto fare la spesa, ma ad un certo punto ti sentisti stanco e decidesti di rimandare il tutto al giorno dopo. A mezzanotte ti mettesti a letto chiamandomi accanto a te. Avevi urgenza di me. Poi… avesti dei colpi di tosse sempre più violenti che richiamarono l’attenzione di Raffaella che, allarmata, chiamò il 118. Vennero prontamente medici e infermieri, ma tu forse non respiravi già più… Ti eri venuto a rifugiare sul mio petto, dopo aver preso una pillola salva-vita che non riuscisti a far sciogliere sotto la lingua perché ti cadde dalle labbra. Facesti una smorfia di rassegnata attesa che tutto si compisse, come una decina d’anni prima avevi previsto. Ti alzasti per abbracciarmi forte e mi dicesti “ti ho amato sempre, ti ho amato tanto” poi cadesti riverso sul letto. E già i soccorsi erano per le scale… Raffaella mi ingiunse di andare giù con lei---------------------------------------------------------------------- 

Non erano neppure le 2 quando vennero a dirci che avevano fatto di tutto ma… 

Piovve a dirotto quella notte e il giorno dopo… Piovve a dirotto.

Oggi sono qui a scrivere al computer (dopo di te ho imparato a farlo) e a ricordare.

Non fu mai facile viverti accanto

Non fu mai facile essere in due

e in tre in quattro in cinque pausa

E poi in sei

Non ti fu facile arginare la tua sete di libertà

Che passi aveva scalpitanti di destrieri alla deriva

dei miei capelli di grano maturo e di vino

ad inseguire orizzonti lontani dai miei grovigli di vento

che mi ingarbugliava il cuore in uno scrosciare

d’acqua memoria dei nostri inganni

canto di mare urlo di risacca

sussurro di conchiglia

Ogni alba un sogno da conquistare

Un dono da archiviare fino alla nuova alba

accesa di passioni mai pronte a morire

mai pronte a rinnegare il già vissuto

nei giorni della danza tra vele di barche

addormentate su scogli di sirene

E un solo cuore a viverci dentro

come bandiera

di ostinato amore.

Rimane il tormento di essere invecchiata

senza il mio sguardo a perdersi nel tuo

in quella nostra danza di non ritorno

in giorni ragazzini

Non vengo dove gli altri ti trovano

non sanno che non c’è ritorno per chi

ora dopo ora su per le scale

che dallo scantinato portano in mansarda

lento corre a piedi nudi a toccare le stelle

E tu ad offrirmele ancora a prezzo scontato

come le case vissute

e abbandonate alla memoria

che tutto conserva ferisce ripara

(in un moltiplicarsi di sogni mani carezze

  che passi e orme originano da un solo AMORE…) 

3 commenti:

  1. Angela, a parte l'emozione del tuo racconto "senza vestiti" nudo davanti alle nostre mani,ci offri gratuitamente il tuo vissuto d'amore. Lo fai senza compiacertene, con la delicatezza di un cuore portato come sacra reliquia sull'altare. Storie simili le nostre, con un solo salvagente: la parola.

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  2. Memorabile ricordo di un grande amore che io ho visto nascere e crescere..emozioni forti e indescrivibili...un grosso abbraccio

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  3. Angela, che dono questo racconto appassionato! E la tua splendida anima porge il fianco svelando i suoi più intimi silenzi. Ti abbraccio cara! ❤️😘

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