13 giugno 2021
E oggi è ancora quasi
primavera e forse quasi estate. Sento nell’aria fermento di nuovi cieli, più
azzurri, dopo tante nuvole e piogge e venti a scompigliare pensieri e
direzioni: un po’ di qua, un po’ di là. E al centro? Battiato cantava: “Cerco
un centro di gravità permanente/ che non mi faccia mai cambiare idea/ sulle
cose sulla gente…”. Ecco, pur amando e ammirando tanto Franco Battiato,
personalmente non vorrei avere un “centro permanente”. Vorrei un centro che
vada in tutte le direzioni per riempirmi gli occhi di antichi e nuovi orizzonti,
confrontarli, sovrapporli, definirli e smarginarli, riempirmi di ricordi e
nostalgie, ma anche di sogni da tradurre in progetti che i miei figli e nipoti
vivranno con i miei occhi, con i loro occhi. Ecco, il centro come fulcro, nuovo
punto di partenza dopo alcune esperienze momentaneamente e apparentemente concluse,
dopo tanti incontri e nuovi pensieri scoperti, nuove sensibilità artistiche
apprezzate, ammirate, condivise, arricchendoci reciprocamente per un certo
tempo che sembra trascorso ma non lo è. È ancora qui nei miei pensieri, nel mio
cuore, tra i miei appunti, nelle pagine vere o inventate dei miei quaderni,
delle mie interminabili agende di tutte le forme e dimensioni e di tutti gli
anni trascorsi e di quelli che sono e che verranno. I miei quaderni e penne e
pennini e calamai e inchiostri. Ad inchiostrare parole. Ebbene, sì, oggi il mio
centro è qui. Da questo ricominciare tra primavera/estate, con alcuni libri di
ieri e di oggi che amo e che mi parlano di “felicità”, l’unico centro di
gravità permanente” che ogni essere umano vorrebbe per sé e magari anche per
gli altri. Parto da Jurg Federspiel con il suo L’uomo che portava felicità per giungere a Simone Cristicchi che, con il suo
libro Happy Next - Alla
ricerca della felicità, mi dà una mano per mettere a fuoco (al
centro?) questa parola magica che sento palpitare dentro in questi giorni di
quasi primavera e di quasi estate, ma che ci sfugge sempre. O almeno così
crediamo. Formicolano questi quasi nella mia testa e vorrei provare a porre
rimedio con la scoperta del momentaneo “centro”, da cui partire oggi per
puntare il faro della mia attenzione su... Ecco! Ci sono! “Attenzione” è la
parola da cui ha origine la ricerca di Simone Cristicchi alla conquista
quotidiana della felicità. Ma “attenzione” sollecita l’anonima pagina
introduttiva al libro dello scrittore svizzero Federspiel, che qui riporto in
sintesi: <Ciascuno di noi, anche se non vive un’esistenza o delle vicende
eclatanti, lascia una traccia di sé: un ricordo, una riflessione, un affetto,
un’impresa comune… o anche un’azione negativa o malvagia. Tutto questo può
restare patrimonio di molti o di pochi, oppure avere un peso, un’eco che
contagia chi ne coglie le note: come nella storia di un uomo che riusciva a
regalare felicità e ottimismo a chiunque lo incontrasse (…); la storia dell’unico
tradimento di un uomo molto legato alla propria moglie, che ha però significato
perderla per sempre nell’affondamento del Titanic (…). Questo sentimento
sottile e fragile, questa percezione della delicatezza del vivere e del
reciproco interferire delle singole esistenze (…) ci sembrano essere un invito
alla sensibilità: le difficoltà della vita sociale, l’azione anche repressiva e
omologante che questa esercita non devono far perdere di vista la possibilità
di azioni libere, consapevoli, sinceramente generose e che acquistano tanto più
valore quanto più esercitate in condizioni avverse. Pur rimanendo in un
orizzonte di pessimismo - tutto è difficile e molto si perde - Federspiel recupera
qualità “umane” e a disposizione di tutti come l’ironia, la tenacia, la
capacità di sorridere e far sorridere, la stessa solitudine come occasione di
raccoglimento e conoscenza per indicarci una strada non del tutto scontata ma
sempre aperta: quella della solidarietà e dell’apertura a sé e agli altri>.
Mi sembra oltremodo pertinente alla natura umana e al periodo difficilissimo e
di clausura e distanziamento che abbiamo vissuto fino a qualche giorno fa e di
cui portiamo ancora pesanti catene e conseguenze. E a cui desidero apportare un mio piccolissimo
contributo come primo “centro” di questo momento su cui fare chiarezza. Possibilmente.:
“La felicità è anche una ricerca e una conquista quotidiana”, che dà il titolo
a questa nuova pagina del nostro blog. Perché tutto sia “in fieri” e nulla si
blocchi al “permanente”. E, se Federspiel parte da LUCPF, ossia dall’uomo
magrissimo e poverissimo che non ci stava con la testa ma aveva il dono di
portare agli altri, gioia, ottimismo e felicità, Simone Cristicchi parte, come
già detto, dalla parola suggeritagli dal maestro Ikkyu: “attenzione attenzione
attenzione” e spiega perché. Ed è un perché che a me piace molto. Calza alla
perfezione con la mia idea di attenzione e della sua centralità nella nostra
vita, se vogliamo tentare di sfiorare la felicità. Almeno di incontrarla da
qualche parte e di riconoscerla per scoprirla meglio: darle un volto, una forma,
uno spazio/tempo, una dimensione. Già, perché, secondo me, non si deve
scoprirla per riconoscerla, ma riconoscerla per scoprirla. Quante volte ci è
passata accanto e non l’abbiamo vista? Quante volte ha afferrato le nostre mani
e noi l’abbiamo lasciata cadere perché non sapevamo di stare stringendo la
felicità? Nessuno ce lo aveva insegnato o, se anche c’era stato qualcuno, l’avevamo
dimenticato? Quante volte ha bloccato i nostri occhi col suo improvviso
splendore e ci è sfuggita perché abbiamo chiuso le ciglia e lei ce le ha
sfiorate appena con un bacio, delusa della nostra resistenza che l’ha esclusa
dalla realtà di quell’attimo magico e irripetibile? E quante volte l’abbiamo
sentita palpitare nel cuore, ma eravamo tanto impauriti da quella insolita
emozione per ritenerla felicità, ma solo un tuffo nel mare di ogni spaventosa
incognita, e siamo fuggiti impauriti di così tanta grazia da temere di non
meritarla o che non fosse possibile capitasse proprio a noi? Insomma, non l’abbiamo
riconosciuta e l’abbiamo umiliata con la nostra indifferenza, lontananza,
distrazione, disattenzione. Ecco, la disattenzione! Ha rovinato tutto. Bisogna concentrarsi
sull’attenzione. E il concentrarsi mi fa pensare a più cerchi concentrici che
partono da un punto e si dilatano all’infinito. il punto/centro che abbraccia l’infinito.
E in quell’infinito ci siamo noi e tutto l’altro da noi. La nostra essenza e l’essenza/totalità
dei multiversi che continuano ad autorigenerarsi all’infinito nell’infinito. Fino
a comprendere anche la felicità, a mio parere. Se la nominiamo da qualche parte
ci deve pur essere… e se ce la siamo inventata, vuol dire che la nostra mente
ha avuto una misteriosa “illuminazione” per farcela cercare. Sono una
visionaria? E perché no? Le più grandi conquiste sono avvenute perché menti
visionarie hanno precorso tempi e spazi e hanno intuito/suggerito alcune verità
mai vere mai false, fino alla dimostrazione di una loro qualche attendibilità .
Ma bisogna crederci. Senza non si va da nessuna parte. Si rimane immobili nel
nostro esclusivo punto di vista. Esclusivo vuol dire che si esclude ogni altro
da sé. E noi dobbiamo essere “inclusivi” se vogliamo espanderci e andare oltre
e oltre non in linea retta a segnare un unico orizzonte ma circolarmente, come
avviene con i tanti amici di “Circolare POESIA”, amanti come tanti di noi, appunto
di POESIA, centro del nostro infinito. Mi piacerebbe menzionarvi uno per uno,
ma rischierei di fare un lunghissimo elenco senza la possibilità di includere
tutti. E così, ritenetevi nominati! Ritornando a Simone Cristicchi e al suo
libro, molto importante non è soltanto l’attenzione, ma anche la concentrazione,
da me intesa in maniera un po’ diversa da lui. Ma concordo con lui nel ritenere
potenti alleati dell’attenzione l’“ascolto”, di cui ho già tanto parlato, e la “curiosità”,
di cui dobbiamo parlare, perché ci fa andare oltre quanto abbiamo esperito,
conosciuto, imparato, memorizzato. È la curiosità che ci rende vivi. Ci rende
bambini. Ci offre la bacchetta magica dello stupore. Ci fa apprezzare ciò che
non abbiamo mai pensato, mai ascoltato, mai raccontato. Ci dà i “superpoteri”
per diventare i supereroi del quotidiano nel reinventarlo continuamente. Occorre
ritornare bambini? Sì, è indispensabile, se vogliamo ogni giorno guardare il
mondo con occhi nuovi e imparare nuove cose, andando a ritroso nel tempo. Magari
partendo dal punto 0. In una scuola dell’infanzia romana, Viviana, la compagna
di mio figlio e maestra in presenza con un bel po’ di bimbetti, ha chiesto a un
soldo di cacio cosa rappresentasse per lui il numero zero, e la risposta sorprendente
di quel soldino è stata: “‘niente’ perché io non c’ero”. E, passando in una
classe prima della scuola primaria, Ombretta, mia figlia, s’inventa una filastrocca
per insegnare i numeri ai suoi bambini e parte naturalmente proprio dallo zero,
che da solo non vale niente, ma accompagnando gli altri numeri diventa sempre
più potente. E i bambini cantano, ridono, imparano e si divertono: stanno
scoprendo insieme il mondo! E dire che per me lo zero è pur sempre il “centro”
dell’Universo! Ma quanto darei per la risposta di un solo bambino! E le
stelline metterei sui quaderni per sentire ogni bambino soddisfatto delle sue
conquiste, simili a meravigliose avventure. E, intanto, è 13 giugno. Già tre
mesi dal salto verso le stelle di un altro carissimo amico, vissuto con POESIA.
Giovanni Gastel. Mi sembra giusto rivolgergli un pensiero di affetto e
gratitudine per quanto ci raccontano le sue fotografie, i suoi versi, i luoghi
da lui attraversati sempre con occhi bambini e attenzione agli altri, al mondo.
E voglio ricordarlo con le parole non mie, ma di chi lo ha conosciuto bene perché
ha condiviso con lui esperienze di lavoro, gioie familiari, lunghe vacanze e
risate insieme. Il testo mi è pervenuto grazie a Caterina De Fusco che lo ha
letto per prima e me ne ha fatto dono con la sua consueta generosità. Leggete un
po’: “Giovanni Gastel tiene bottega a
Milano, in via Tortona numero 16. Anche se l’edificio moderno può trarre in
inganno, si tratta di una delle ultime botteghe artistiche di tipo
rinascimentale. Qui, sotto l’occhio vigile del maestro, le richieste dei
principi della moda vengono soddisfatte da una schiera di professionisti come in
ogni bottega d’arte che si rispetti. L’impressione è di un fervore continuo, a
cui è molto difficile sottrarsi. Gastel appartiene a quel genere di autori che
amano circondarsi di persone mentre lavorano, che traggono alimento dalla
condivisione dei progetti. Quando ho accettato di scrivere il testo, non
immaginavo che avrei fatto più riunioni per questa piccola mostra che per
quella di Arcimboldo a Palazzo Reale. D’altra parte Giovanni è un artista sensibile e
generoso e lavorare al suo fianco - almeno su di me - produce un effetto
rigenerante. Come tutti gli artisti ricettivi, dotati di talento naturale, nel
lavoro è veloce e poco prevedibile. (…) In queste Cose
viste mi sembra di riconoscere una parte della personalità di Giovanni più
profonda e riflessiva, di certo meno ironica di quella
che conosciamo. (…) Come
tutte le arti, la fotografia si fonda su un principio di selezione e di
cristallizzazione: l’immagine deve diventare forma, e attraverso di essa
acquisire un significato. Per risarcire l’indifferenza del tempo e delle cose,
l’artista - non solo il fotografo - deve rendere universale l’istante
particolare ed effimero, caricandolo di durata e di astrazione. Si potrebbe
dire che in queste foto Gastel cerca di cogliere, fin dove gli è possibile, il
lato perenne delle cose quotidiane. Gastel sembra comprendere che le forme
ideali e le armonie segrete non appartengono più al nostro mondo, e infatti non
le propone come modelli. Le lascia trasparire appena, come a indicare che la
possibilità di attingere a un senso più vasto rimane anche oggi, se pure
nell’incertezza che ci circonda, che la sacralità delle cose permane, se
soltanto si è disposti a vederla”. (giovanni
gastel, cose viste, a cura di francesco porzio, studiogiangaleazzovisconti, 15
settembre - 22 dicembre 2011, Silvana Editoriale). Questa la mia nota a quanto
letto e riportato: ‘Si tratta di alcuni stralci della Prefazione del prof.
Francesco Porzio al catalogo della mostra di Giovanni Gastel, dall’autore
intitolata “cose viste” e curata appunto dal su citato eccellente studioso e
critico d’arte. Già la copertina minimalista del catalogo, tutta in minuscolo e
ridotta all’essenziale, connota la semplicità e l’umiltà del grande artista,
che nel 2011 era già all’apice del suo successo di fotografo. Ma quello che
ancora di più mi affascina è il modo pacato, sincero, empatico del prof. Porzio
di descrivere lo studio gasteliano, come luogo fisico e dell’anima, in continuo
magico fermento in conformità alla personalità “sensibile e generosa” di
Giovanni Gastel, veloce e imprevedibile nella realizzazione dei suoi lavori, in
perfetta sintonia e armonia con i tanti professionisti e allievi di cui amava
circondarsi per diffondere la sua luce intorno nell’ambiente che abitava e a tutti
quelli che lo circondavano. Giovanni cercava, raggiungeva e conquistava ogni
giorno attimi puri di felicità per la gioia che gli procuravano la passione e
il talento, legati al suo lavoro e alla sua poesia, e per il bisogno/desiderio
di condividerla con tutti: con i presenti nel suo studio, ma anche fuori, con
quanti (tantissimi) seguivano la sua mitica Pagina FB. Con quanti amava
abbracciare con il suo sguardo generatore e donatore di sogni.
E vorrei concludere
queste pagine con una nota di Caterina De Fusco che ha spesso condiviso la
gioia di Giovanni Gastel nel suo studio di Milano e non solo, collaborando con
lui in tante suo Mostre da un capo all’altro del nostro pianeta: Gastel approdò
al “pensiero creativo” nel momento in cui iniziò ad eseguire scatti non più con
la testa ma con l’anima. in quel preciso istante fu dimentico di diaframmi,
esposimetri, tempi controllati, la fotografia per Giovanni divenne estensione
automatica di sé stesso; ciò gli permise di far pace con i suoi “demoni”. Scattare
divenne “pura gioia”, similmente ad un danzatore di Sufi che entra in
connessione tra Cielo-Terra.
E a noi non rimane che
la gioia di averlo incontrato, conosciuto, ammirato, amato in quel poetico
contagio di anime che diventa conquista quotidiana di attimi di felicità nella
consapevolezza che sia davvero un dono per sé e per gli altri… Angela
Cara Angela, come sempre sei immensa! Oggi hai catturato nel tuo magico retino la parola "attenzione" a me tanto cara. È, l'attenzione, un passaggio indispensabile allo sguardo che posiamo sul mondo attorno a noi. Le Cose, tutte le Cose, assumono un contorno, una forma, un corpo se toccate dalla nostra attenzione. Senza non esisterebbero. E anche la poesia, che è lo sguardo di chi scrive, inaridirebbe. Sono sempre colpita dalla sintonia che ci lega e sempre grata per il tuo di Sguardo! Un abbraccio, e a presto ❤️
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