mercoledì 26 maggio 2021

Mercoledì 27 maggio 2021: ultimo Inno alle MADRI di maggio e di sempre...

 Lasciatemi concludere con l’Inno alle MAMME di maggio e di sempre con alcuni testi in prosa e in poesia, che mi riguardano molto da vicino.

Ed ecco un’altra madre rivissuta dalla propria figlia in un racconto poetico, che devo ridurre purtroppo all’essenziale per ovvi motivi di spazio. Titolo: Quasi un SOLILOQUIO - Lettera a mia madre di Daniela Leone (20 ottobre 1997- lunedì. E Daniela aveva appena ventuno anni ed era già da due anni volata verso la Capitale).

Ciao amore della mia vita,

è primo pomeriggio ed io sono seduta sulla scalinata della “mia” bellissima piazza di S. Maria in Trastevere. Ho un’ora di tempo prima di attaccare a lavorare e mi è venuta una voglia incredibile di scriverti - SAPORE AGRODOLCE DI FORTE SENSAZIONE - BISOGNO/DESIDERIO DI UN QUASI/CONTATTO - ABBRACCIO ETEREO. (…)

Mi piacerebbe condividere con te queste emozioni, quasi per donarti la vita come tu hai fatto con me. Riesco a vederti, ancora curva sul “tuo” tavolo/scrivania, di fronte alle “tue” carte, alle “tue” affezionatissime “tratto-pen” nere; e sento il tuo respiro (intermittenti spasmi di stanchezza) e il tuo profumo di casa (di una casa che forse non ancora ti appartiene del tutto - rifiuto di un sogno disincantato). Mi ritrovo bambina nelle tue braccia… mani lisce ad accarezzarmi le guance (CALORE - SICUREZZA - DOLCEZZA); sorriso malinconico; mi perdo ancora nel tuo sguardo e nella tua voce che mi culla teneramente nella notte - non ho più paura dell’uomo nero se tu sei accanto a me - non smettere, ti prego - continua a cantare…

Mamma, mammina - ci sono io accanto a te - vorrei poter ricomporre la tua allegria e lasciarmi inebriare ancora dalla tua risata (impotente guardo con gli occhi dell’anima gli spazi vuoti nel puzzle della mia Lina ragazza - di quella tua felicità ancora intoccata - vorrei poter essere ancora più forte per ritrovarne i pezzi andati perduti…). Ti stringo a me. Forte, sempre più forte. Ascolto la ritmìa del cuore - trattengo il fiato - la sincronizzo alla mia (momento più atteso della giornata dormire con mamma… anche allora mi piaceva sentirti respirare, tutta attenta a non perdere il ritmo…).

-          - FILO DIRETTO -

 

Sono FELICE. Sto scoprendo il MIO mondo… (…)

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… le quattro e venti, il tempo è scaduto! È tempo di andare… un bacio tenerissimo

                                         la tua Daniela.

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SILENZIO ASSORDANTE… FUORI C’E’ UNA SPLENDIDA LUNA.

NB. Ehi, mi senti? Sono vicina a te… sempre “nel persempre”!

(da: diciottosettembresettantasei. SECOP edizioni, Bitonto 2001)

È anche questa una poeticissima pagina in prosa (dalla scrittura molto particolare e originale), che propone un rapporto diverso da quello che ci ha commosso nel romanzo precedente di Matteo Gelardi. Qui si tratta di una madre non più tanto giovane e di una figlia giovanissima. Un rapporto, vissuto tra una madre fragile (in apparenza) e una figlia forte (in apparenza), che ha comunque saputo far tesoro, per amore, delle esperienze vissute, nel bene e nel male, con la propria mamma. Ed è un andare indietro nei ricordi per scoprire la necessaria presenza di lei a proteggerla dalle paure di bambina, prendendo sempre più consapevolezza, col trascorrere del tempo, di ritrovarsi, oggi più che mai, in un rapporto capovolto: ora è la figlia che esorta la mamma a RI-NASCERE e a non aver paura della vita né per sé né per i figli e i nipoti, che sono diventati rami di uno stesso albero, con profonde radici, ma ognuno col proprio cielo, le proprie foglie, i propri frutti… Un rapporto di profonda tenerezza e di caparbia volitività a spiccare il volo per una conquista, del tutto personale, di libertà, e di sempre più ampia conoscenza di sé e degli altri, senza perdere mai le radici, profondamente ancorate al cuore di sua madre… Come è più o meno il destino di ogni mamma, eternamente annidata nell’anima di chi rimane, vita della sua vita, a percorrere il sentiero di rose e di spine della “propria” Vita…

Ed ora ecco una mamma che ha già percorso buona parte della sua esperienza di madre. La poesia è di Primo Leone “GOMITOLO DI LANA”: a ricordarcela “oltre la soglia del tempo”.

Mia madre/ È un gomitolo di lana/ che ancora protegge/ le mie ansie,/ srotola memorie,/ quasi un bozzolo/ di seta/ che gira e rigira,/ fuso di pietra/ che rincorre labirinti/ di lantana./ Ancora/ quel filo/ disegna figure nel buio,/ ancora quel gomitolo/ si dipana tre le mani/ oltre la soglia del tempo/ come foglia che mai cade/ e si rialza e va giù/ e ritorna/ prima di cadere/ sulle ombre della sera/

 quando il vento/ è un sussurro lieve/ un brivido appena/ che il filo di lana/ avvolge e nasconde./ Quante radici/ intorno al cuore ruvido/ di questa lana/ intorno ai miei inverni/ ormai deserti,/ sempre più stanchi/ e non più bianchi/ della stessa neve/ dove lasciavi impronte/ ad inseguire le tue ansie,/mentre il filo d’Arianna/ costruiva i miei ritorni/ e le mie fughe…/ Tu mi parlavi/

del tempo delle fate/ degli orchi delle streghe/ e di boschi incantati/ dove la fantasia/ è un regno da  bruciare./ Ancora…/ nel bosco/ di tutti i miei fantasmi/ quel filo di lana/ si dipana oltre l’orizzonte/ dove cadono inesorabili/ i silenzi della memoria.

Una “madre/gomitolo di lana” ha già una connotazione d’altro tempo: è accoglienza morbida e calda a proteggere ancora le ansie del figlio con pochi capelli ormai e ormai poche illusioni. Ed è, nei giorni del disincantato inverno del figlio, una presenza costante “che srotola memorie”… L’esatto contrario della mamma precedente: Viva, bella, capelli lucenti, profumata di primavera… Ma è un gomitolo che la rende eterna attraverso tutte le stagioni attraversate ed ora ricordate nell’inabissarsi del poeta nelle profonde radici che la mamma, evitando di trasmettergli le sue ansie di anni e dolori da non potersi dire, ha messo intorno al suo cuore di figlio. Radici, che si sono nutrite di fiabe e favole, di boschi incantati in cui ancora brucia di luce e riscalda la sua fantasia. Oltrepassando tutti i possibili o inevitabili “silenzi di memoria”. Ma davvero ci sono i “silenzi di memoria” se quel “filo di lana” continua a dipanarsi oltre l’orizzonte che ci vuole sconfitti, ma rimane sempre un po’ più in là delle nostre mani tese, intente a raccogliere e a conservare i ricordi “fino all’ultimo respiro…”?

E infine permettetemi di dedicare una poesia anche alla mia MAMMA. È una poesia scritta dieci anni fa e già pubblicata nella silloge L’ora dell’ombra e della riva, e rivisitata alla luce cupa di questi nostri giorni.

Per mamma venti anni dopo

(Il 1° aprile di venti anni fa mia madre

è andata via verso le stelle per sempre

ed io sono ancora qui a cercarla

                nel firmamento)

 

Un soffio di tempo la distanza

della tenerezza dei tuoi occhi dai miei,

un’eternità il tempo della distanza

da quel mattino d’inizio primavera quando

tu pregasti inerme e silenziosa d’andare via.

- Ancora? - mormoravi distrutta dall’attesa,

già pronta per il viaggio di sola andata.

“Ancora?” pigolavi al nostro cuore straziato.

E noi con funi e catene a trattenerti ancora,

con baci di liquido amore a lasciarti andare.

Nei campi solo ieri ho visto gemme

di mandorli e peschi e ciliegi

rifiorire tra i sempreverdi ulivi.

Già cantano al sole questa nuova stagione

che ingioiella il verde tenero delle zolle

di rugiadosi diamanti stillanti gocce di luce

SENZA DI TE

E uno splendore di rami festosi esige

un impossibile ritorno al nostro abbraccio.

T’ingemmavi anche tu d’eterna primavera

con fili di perle e di corallo e collanine d’oro

che ti ornavano il collo e la pelle chiara.

E un profumo fresco di fresie e giunchiglie

ti avvolgeva come nuvola di rose di giardino.

Tu sapore d’estate, di mare e di rosse angurie.

Sapore di lontananza, di silenzi e d’attese.

Sei andata via, ed io come da bambina

ti do le spalle per non vederti sparire

all’orizzonte di giorni dimentichi di ieri,

che rifiutano il ricordo delle tue parole,

di ogni tuo andare che colmava di spine

le strade dei nostri insaziati incontri,

rari sempre più rari, strangolati da giorni

imperdibili di lavoro e di stanchezza

in un silenzio di squarciati deserti prima

di ogni noi attraversati e dopo ogni noi

da attraversare lungo il tuo sorriso di pianto.

(nemesi ignorata e temuta sono oggi, madre,

madre anch’io di lontananze se non di silenzi,

di mute preghiere e di inevitabili attese

lunghe

più dei lunghi abbracci da vivere

                                          sulla soglia dell’alba).

E con queste meravigliose MAMME nel cuore ci salutiamo.

                                       Angela De Leo

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