Lasciatemi concludere con l’Inno alle MAMME di maggio e di sempre con
alcuni testi in prosa e in poesia, che mi riguardano molto da vicino.
Ed ecco un’altra madre rivissuta dalla
propria figlia in un racconto poetico, che devo ridurre purtroppo
all’essenziale per ovvi motivi di spazio. Titolo: Quasi un SOLILOQUIO -
Lettera a mia madre di Daniela Leone (20 ottobre
1997- lunedì. E Daniela aveva appena ventuno anni ed era già da due
anni volata verso la Capitale).
Ciao amore della mia vita,
è primo pomeriggio ed io sono seduta sulla
scalinata della “mia” bellissima piazza di S. Maria in Trastevere. Ho un’ora di
tempo prima di attaccare a lavorare e mi è venuta una voglia incredibile di
scriverti - SAPORE AGRODOLCE DI FORTE SENSAZIONE - BISOGNO/DESIDERIO DI UN
QUASI/CONTATTO - ABBRACCIO ETEREO. (…)
Mi piacerebbe condividere con te queste
emozioni, quasi per donarti la vita come tu hai fatto con me. Riesco a vederti,
ancora curva sul “tuo” tavolo/scrivania, di fronte alle “tue” carte, alle “tue”
affezionatissime “tratto-pen” nere; e sento il tuo respiro (intermittenti
spasmi di stanchezza) e il tuo profumo di casa (di una casa che forse non
ancora ti appartiene del tutto - rifiuto di un sogno disincantato). Mi ritrovo
bambina nelle tue braccia… mani lisce ad accarezzarmi le guance (CALORE -
SICUREZZA - DOLCEZZA); sorriso malinconico; mi perdo ancora nel tuo sguardo e
nella tua voce che mi culla teneramente nella notte - non ho più paura
dell’uomo nero se tu sei accanto a me - non smettere, ti prego - continua a
cantare…
Mamma, mammina - ci sono io accanto a te -
vorrei poter ricomporre la tua allegria e lasciarmi inebriare ancora dalla tua
risata (impotente guardo con gli occhi dell’anima gli spazi vuoti nel puzzle
della mia Lina ragazza - di quella tua felicità ancora intoccata - vorrei poter
essere ancora più forte per ritrovarne i pezzi andati perduti…). Ti stringo a
me. Forte, sempre più forte. Ascolto la ritmìa del cuore - trattengo il fiato -
la sincronizzo alla mia (momento più atteso della giornata dormire con mamma…
anche allora mi piaceva sentirti respirare, tutta attenta a non perdere il
ritmo…).
-
- FILO DIRETTO -
Sono FELICE. Sto scoprendo il MIO mondo…
(…)
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… le quattro e venti, il tempo è scaduto!
È tempo di andare… un bacio tenerissimo
la
tua Daniela.
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SILENZIO ASSORDANTE… FUORI C’E’ UNA
SPLENDIDA LUNA.
NB. Ehi, mi senti? Sono vicina a te…
sempre “nel persempre”!
(da: diciottosettembresettantasei.
SECOP edizioni, Bitonto 2001)
È anche questa una poeticissima pagina in
prosa (dalla scrittura molto particolare e originale), che propone un rapporto
diverso da quello che ci ha commosso nel romanzo precedente di Matteo Gelardi.
Qui si tratta di una madre non più tanto giovane e di una figlia giovanissima.
Un rapporto, vissuto tra una madre fragile (in apparenza) e una figlia forte
(in apparenza), che ha comunque saputo far tesoro, per amore, delle esperienze
vissute, nel bene e nel male, con la propria mamma. Ed è un andare indietro nei
ricordi per scoprire la necessaria presenza di lei a proteggerla dalle paure di
bambina, prendendo sempre più consapevolezza, col trascorrere del tempo, di
ritrovarsi, oggi più che mai, in un rapporto capovolto: ora è la figlia che
esorta la mamma a RI-NASCERE e a non aver paura della vita né per sé né per i
figli e i nipoti, che sono diventati rami di uno stesso albero, con profonde
radici, ma ognuno col proprio cielo, le proprie foglie, i propri frutti… Un
rapporto di profonda tenerezza e di caparbia volitività a spiccare il volo per
una conquista, del tutto personale, di libertà, e di sempre più ampia
conoscenza di sé e degli altri, senza perdere mai le radici, profondamente ancorate
al cuore di sua madre… Come è più o meno il destino di ogni mamma, eternamente
annidata nell’anima di chi rimane, vita della sua vita, a percorrere il
sentiero di rose e di spine della “propria” Vita…
Ed ora ecco una mamma che ha già percorso
buona parte della sua esperienza di madre. La poesia è di Primo Leone “GOMITOLO
DI LANA”: a ricordarcela “oltre la soglia del tempo”.
Mia madre/ È un gomitolo di lana/ che
ancora protegge/ le mie ansie,/ srotola memorie,/ quasi un bozzolo/ di seta/
che gira e rigira,/ fuso di pietra/ che rincorre labirinti/ di lantana./
Ancora/ quel filo/ disegna figure nel buio,/ ancora quel gomitolo/ si dipana
tre le mani/ oltre la soglia del tempo/ come foglia che mai cade/ e si rialza e
va giù/ e ritorna/ prima di cadere/ sulle ombre della sera/
quando il vento/ è un sussurro
lieve/ un brivido appena/ che il filo di lana/ avvolge e nasconde./ Quante
radici/ intorno al cuore ruvido/ di questa lana/ intorno ai miei inverni/ ormai
deserti,/ sempre più stanchi/ e non più bianchi/ della stessa neve/ dove
lasciavi impronte/ ad inseguire le tue ansie,/mentre il filo d’Arianna/
costruiva i miei ritorni/ e le mie fughe…/ Tu mi parlavi/
del tempo delle fate/ degli orchi delle
streghe/ e di boschi incantati/ dove la fantasia/ è un regno da bruciare./
Ancora…/ nel bosco/ di tutti i miei fantasmi/ quel filo di lana/ si dipana
oltre l’orizzonte/ dove cadono inesorabili/ i silenzi della memoria.
Una “madre/gomitolo di lana” ha già una
connotazione d’altro tempo: è accoglienza morbida e calda a proteggere ancora
le ansie del figlio con pochi capelli ormai e ormai poche illusioni. Ed è, nei
giorni del disincantato inverno del figlio, una presenza costante “che srotola
memorie”… L’esatto contrario della mamma precedente: Viva, bella, capelli lucenti,
profumata di primavera… Ma è un gomitolo che la rende eterna attraverso
tutte le stagioni attraversate ed ora ricordate nell’inabissarsi del poeta
nelle profonde radici che la mamma, evitando di trasmettergli le sue ansie di
anni e dolori da non potersi dire, ha messo intorno al suo cuore di figlio.
Radici, che si sono nutrite di fiabe e favole, di boschi incantati in cui
ancora brucia di luce e riscalda la sua fantasia. Oltrepassando tutti i
possibili o inevitabili “silenzi di memoria”. Ma davvero ci sono i “silenzi di
memoria” se quel “filo di lana” continua a dipanarsi oltre l’orizzonte che ci
vuole sconfitti, ma rimane sempre un po’ più in là delle nostre mani tese,
intente a raccogliere e a conservare i ricordi “fino all’ultimo respiro…”?
E infine permettetemi di dedicare una
poesia anche alla mia MAMMA. È una poesia scritta dieci anni fa e già
pubblicata nella silloge L’ora dell’ombra e della riva, e
rivisitata alla luce cupa di questi nostri giorni.
Per mamma venti anni dopo
(Il 1° aprile di venti anni fa mia madre
è andata via verso le stelle per sempre
ed io sono ancora qui a cercarla
nel
firmamento)
Un soffio di tempo la distanza
della tenerezza dei tuoi occhi dai miei,
un’eternità il tempo della distanza
da quel mattino d’inizio primavera quando
tu pregasti inerme e silenziosa d’andare via.
- Ancora? - mormoravi distrutta dall’attesa,
già pronta per il viaggio di sola andata.
“Ancora?” pigolavi al nostro cuore straziato.
E noi con funi e catene a trattenerti ancora,
con baci di liquido amore a lasciarti andare.
Nei campi solo ieri ho visto gemme
di mandorli e peschi e ciliegi
rifiorire tra i sempreverdi ulivi.
Già cantano al sole questa nuova stagione
che ingioiella il verde tenero delle zolle
di rugiadosi diamanti stillanti gocce di luce
SENZA DI TE
E uno splendore di rami festosi esige
un impossibile ritorno al nostro abbraccio.
T’ingemmavi anche tu d’eterna primavera
con fili di perle e di corallo e collanine d’oro
che ti ornavano il collo e la pelle chiara.
E un profumo fresco di fresie e giunchiglie
ti avvolgeva come nuvola di rose di giardino.
Tu sapore d’estate, di mare e di rosse angurie.
Sapore di lontananza, di silenzi e d’attese.
Sei andata via, ed io come da bambina
ti do le spalle per non vederti sparire
all’orizzonte di giorni dimentichi di ieri,
che rifiutano il ricordo delle tue parole,
di ogni tuo andare che colmava di spine
le strade dei nostri insaziati incontri,
rari sempre più rari, strangolati da giorni
imperdibili di lavoro e di stanchezza
in un silenzio di squarciati deserti prima
di ogni noi attraversati e dopo ogni noi
da attraversare lungo il tuo sorriso di pianto.
(nemesi ignorata e temuta sono oggi, madre,
madre anch’io di lontananze se non di silenzi,
di mute preghiere e di inevitabili attese
lunghe
più dei lunghi abbracci da vivere
sulla
soglia dell’alba).
E con queste meravigliose MAMME nel cuore
ci salutiamo.
Angela De Leo
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