sabato 13 febbraio 2021

Sabato 13 febbraio 2021: Luzi, le mie annotazioni e altro...

Mi è giunta, da alcuni amici e amiche che guardano il Retino in differita per inconciliabilità di orari, la richiesta di postare nel blog le mie annotazioni su Mario Luzi e sulla sua poesia “Vola alta, parola” perché pare che non tutte le mie parole siano state chiare e non tutto si sia potuto seguire agevolmente. Ritengo giusto accontentare questa loro generosa richiesta. Potrebbe tornare utile anche a chi non ha potuto ascoltare con attenzione per vari motivi. Mario Luzi merita tutto il nostro tempo, il nostro spazio, il nostro cuore.

Spero di inerpicarmi senza franare sui tornanti scoscesi di questa immensa altura della poesia luziana che si fa eternamente anima.
Intanto, desidero fare una precisazione. Dopo Nel Magma, raccolta poetica del 1963 (e quindi appartenenza di Luzi anche alla Neoavanguardia del Gruppo ’63), raccolta che fa riferimento di per sé una a una esistenza caotica e priva di solide radici, ritengo di dover partire dalla più importante raccolta poetica Per il battesimo dei nostri frammenti (del 1985), di cui fa parte “Vola alta, poesia”, per far notare subito la decisa evoluzione del pensiero di Mario Luzi sulle esperienze esistenziali prima magmatiche e ora frammentarie: né caotiche, dunque, né susseguentisi in linea retta senza soluzione di continuità. Queste ultime, procedendo per addizioni e non germinando per moltiplicazioni a “macchia di leopardo”, ci regalerebbero migliore stabilità e maggiore tranquillità. Ma così non avviene per Luzi (e probabilmente per molti di noi anche oggi): la frammentarietà crea dissonanze più che consonanze. Rivela la sua (e la nostra) fragilità e la fragilità della parola poetica, che ha bisogno di trovare la propria Essenza(come opportunamente ci ha suggerito la volta scorsa Mariateresa Bari) in una nuova pienezza di sé. E, allora, ecco il battesimo iniziatico che regala, con la immersione nel fonte battesimale, un segno di purificazione dalle scorie del passato, dall’ermetismo, per esempio, o dal simbolismo, o dallo stesso realismo di fine Ottocento. Per approdare ad una nuova sua “significazione” nella completa armonia tra forma e contenuto.

Ma ecco la poesia “Vola alta, parola”:
“Vola alta, parola”
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi
sogno che la cosa esclami
nel buio della mente
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza…
la cosa e la sua anima?
o la mia e la sua sofferenza?
(Mario Luzi, da Per il battesimo dei nostri frammenti, (1985)

E dirò subito che è appunto un INNO alla PAROLA nella pienezza della sua “significazione”: nella sua altezza e profondità, ora che finalmente pura da tutte le scorie del passato può rinascere a nuova vita e “volare”. E subito incontriamo un prezioso quanto inevitabile ossimoro:
“cresci in profondità”: Il verbo crescere infatti presuppone l’andare verso l’alto, qui invece troviamo la profondità della sua crescita: più diventi profonda e più ti elevi nella tua “purezza” leggera e ciò ti fa mettere le ali.
“Tocca nadir e zenith”:che sono i poli dell’orizzonte diametralmente opposti, e quindi occupano tutto lo spazio possibile del diametro terrestre, impediscono ogni scissione, ogni divisione tra significato e significante, come era avvenuto per tutto il primo Novecento, dai Futuristi in poi, e restituiscono suono e musicalità ma anche sostanza e contenuto a quella conchiglia vuota di suono, che era diventata la parola senza la sua totale “significazione”. E qui troviamo una serie di allitterazioni delle consonanti e vocali l-f-r-p-z-a-o (Vola alta, parola; cresci in profondità ecc.) proprio per dare ritmo melodioso ai versi.
“Giacché talvolta lo puoi”: il poeta è ancora titubante, teme che la rigenerazione non sia del tutto completa e che la parola piena sia ancora un sogno che voglia trovare, almeno qualche volta, in alcuni casi, una qualche realizzazione come adesione alla realtà nel buio della mente che non osa ancora identificare la “cosa” (un termine dai mille significati senza averne neppure uno). Io non so ancora come definirti, non oso farlo, però tu non separarti da me.
E qui comincia la supplica del poeta alla “cosa” ancora ammantata di mistero e di sogno.
“sogno che la cosa esclami/ nel buio della mente”: è il momento della illuminazione: la nascita della poesia: dal buio alla luce, come una nuova vita. Il miracolo della nostra immortalità racchiusa in un bambino. In una poesia. Il divino nella Creazione del Creato, nella procreazione di una vita, nella creatività che si traduce in Poesia.
“però non separarti/da me, non arrivare,/ ti prego, a quel celestiale appuntamento/ da sola”
E la supplica si fa preghiera dapprima con un avversativo (però) che si risolve in un imperativo negativi (non giungere), ti prego, man mano che la parola in tutta la sua profondità si fa leggera tanto da elevarsi fino al cielo, dove incontra tutta la sua sacralità in un appuntamento (in un preciso momento già preconizzato e stabilito dagli dèi, quando “il divino si incarna nella parola” - dirà Paul Valery) perché è questo il percorso ascensionale della vera poesia. Non più, però, una parola svuotata di senso e priva di quella “cosalità” che è finalmente aderenza all’oggetto, corrispondenza materica a quanto si vuole significare. Senza più astrazioni di vuoti significanti. La nominazione del primo uomo (Adamo?) la cui parola fu totale adesione all’oggetto indicato.
“da sola, senza il caldo di me/ o almeno il mio ricordo, sii”: non andare da sola, senza la mia presenza viva e appassionata (io, umanamente uomo, al cospetto del divino che oso appena sfiorare), oppure, se non sarò più vivo, almeno ti sia compagna la mia memoria (che spero di lasciare ai posteri con i miei versi). E sono versi che i ripetuti enjambement rendono continui (nonostante la loro frammentata versificazione), in un accavallarsi di ansia emotiva a indicare la profonda preoccupazione del poeta di essere abbandonato dalla parola poetica prima del “celestiale appuntamento” (con gli dèi).
“Sii/ luce, non disabitata trasparenza…”: esortativo stupendo con “sii” a fine verso (che si allunga fino a raggiungere l’infinito della sua stessa esortazione), ma subito unito a “luce”. Meravigliosi questi enjembement che segnano la crescente ansia del poeta di partecipare alla creazione della poesia attraverso lo splendore di ogni sua parola. Non “disabitata trasparenza” in contrapposizione alla luce che paradossalmente rende luminosa la pienezza materica della parola (che ha senso e significato insieme). E le contrapposizioni continuano, perché noi siamo abitati dalle nostre contraddizioni (Simone Weil) che, magistralmente, ci danno la conoscenza sempre smarginata e mai perfetta delle cose. Altrimenti non avremmo più dubbi. E le certezze sono la morte della curiosità e dell’anima. infatti, ecco i punti interrogativi che tanto spesso fanno parte della poetica di Mario Luzi. E di tutti quelli che si nutrono di dubbi salvifici più che di stagnanti certezze.
“La cosa e la mia anima?”: il dubbio permane nella umiltà di sentirsi indegno di tanto splendore, di tanto cielo.
“O la mia e sua sofferenza?”: ne abbiamo già parlato. Il dolore è una sensazione fisica più che dell’anima. La sofferenza si fa misura del dolore ed emozione talmente vibrante, dilatata e profonda, da prendere completamente l’anima. Ma qui Luzi potrebbe indicare anche la sofferenza degli uomini e delle cose… in un pessimismo cosmico che è tutto da approfondire. Personalmente propendo per la prima intuizione: la sofferenza dell’anima del poeta di sentirsi umilmente abbagliato dal miracolo del divino in ogni manifestazione della creatività umana che riveste la sua anima di POESIA. O l’una e l’altra interpretazione, perché nella lunga vita di Mario Luzi spesso subentra lo sconforto per le miserie umane, di cui egli stesso avverte il peso e il rimorso. Quale uomo mite e profondamente cristiano. Ma permane fino alla fine dei suoi giorni terreni l’AMORE eterno per la POESIA. E un profondo, immenso INNO alla parola che, per lui, si rigenera in un continuo “candore e canto”. Inno salvifico, come ha scritto Maroateresa Bari. Ed io mi fermo qui, ma attendo i vostri commenti, le vostre riflessioni, per suggerire, integrare, arricchire, contestare quanto detto sin qui. ne terrò conto, come sempre. Grazie intanto per i due commenti che mi sono giunti ieri sul blog: Attendiamo le tue poesie e quelle dell'ostico (per certi versi) Luzi. Grazie! (sconosciuto)
Non vedo l'ora Angela! A domani. (Mariateresa Bari)
Ed è di poco fa la richiesta da parte di un altro lettore sconosciuto di parlare ancora di Luzi il 28 febbraio, giorno del sedicesimo anniversario della morte del grande Poeta. Quantomeno di leggere alcune sue poesie. È di domenica e quindi ho delle perplessità, più per voi che per me. Pensiamoci. Attendo i vostri suggerimenti. Vi auguro, infine, un tenero o appassionato “Buon San Valentino” e una sorridente festa di Carnevale in austerità… ciao

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