Martedì è stato un incontro particolare in un’atmosfera di pacata festività, perché vissuta soprattutto in famiglia, al tepore di affetti consolidati o ritrovati nella intimità e semplicità della propria casa. In una clausura forzata causa Coronavirus. Domenica la festa dell’Amore (San Valentino) e martedì festa di Carnevale e dell’allegria (martedì grasso). Fuori: tanto freddo, nonostante la giornata di sole dopo due giorni di vento gelido e di neve. Anche per il deserto paesaggio senza anima viva. Un vuoto triste di persone. Dentro: il calore dei termosifoni o, meglio, dei caminetti accesi e la presenza del nucleo familiare. Nel caminetto: le scintille che fanno concorrenza alle lucciole ormai in estinzione (come già preconizzato negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso da Pier Paolo Pasolini) o alle stelle sempre meno visibili per via della luce artificiale delle nostre città a cancellare quella naturale. Basta però un po’ di creatività e il buio può “illuminarsi d’immenso”…
In un’atmosfera di quasi magia ho
pensato di proporre la lettura di qualche mio componimento poetico per mantener
fede ad una promessa. E così ho letto una lirica d’amore per tutti gli
innamorati “Il giorno dei prodigi” (14 febbraio - San Valentino), una
filastrocca intitolata “Martedì Grasso” e una ballata “La ballata del mare” in
omaggio del mare, mio antico e imperituro amore. La scelta è stata motivata dal
desiderio di evidenziare tre generi diversi, tra i tanti, del testo poetico: la
lirica in versi sciolti, con una
struttura semi-dialogica e con in più una commistione di versi e canzone; la filastrocca con le consuete rime
baciate (o alternate), con assonanze e allitterazioni a rendere ritmo e
sonorità di fiaba o di ninnananna, ma anche di senso/nonsenso, tipico delle
conte, dei girotondi, di alcuni giochi di movimento, tanto cari ai bambini
(sulla falsariga dei Limerick inglesi, poesie brevi con giochi di parole,
bizzarre e surreali, tipiche dell’umorismo britannico); la ballata dalla struttura completamente diversa, risalente alla canzone
romanza del Medioevo o canzone a ballo, con strofe o stanze e ritornello con
varie reiterazioni di versi o di parole per dare nuove suggestioni ritmiche e
sonore alla poesia. La ballata da canto popolare diventa d’élite e colta in
letteratura, soprattutto nell’Ottocento romantico e melanconico. Da ricordare “La
ballata del carcere di Reading” di Oscar Wilde o anche la ballata ossessiva,
incalzante e bellissima de “Il Re degli Elfi” di Goethe, musicata da Schubert,
come tante altre in un felice connubio di versi e di musica dei due grandi
Autori. Ed ecco la poesia d’amore con dedica: (A quanti amano. A quanti sono amati. A quanti desiderano amare ed
essere amati. A tutti gli innamorati dell’amore e della vita).
“Il giorno dei
prodigi”
(14 febbraio - San
Valentino)
Era il giorno dei
prodigi
scintillio di
gioielli e ceste di fiori
a cantare l’inno
dei nostri anni
colmi di giovinezza
e illusioni
M’illusi allora di
riempire forzieri
d’amore vermiglio a
piene mani
(al fuoco
ch’esplodeva nelle vene)
M’illusi e avevo
tra le labbra
il tuo nome e il
mio rimpianto
- Vieni c’è una strada nel bosco,
il tuo nome conosco,
vuoi conoscerlo tu…
Vieni, c’è una strada nel
cuore
dove nasce l’amore
che non muore mai più… -
Un canto che mia
madre cantava
sostituì nel tempo
le tue mani
A mia madre
occhilucenti
dedicai questo
giorno
di fremiti di
fresie e tulipani
ma di tutti i
giorni era l’amore
- Che c’entro io? - diceva lei
tristezza di ore
senza tempo
- È perché ti voglio bene -
sorriso ch’era
rimorso e canto
- Non aprii
gli occhi al tuo amore? -
Riempii forzieri e
scrigni dorati
di cui ho perso
memoria e nostalgia
(il giorno dei
prodigi
rumore sordo di
tempo lontano)
Poi, la filastrocca
tratta dalla raccolta inedita Filastrocche
tonte e tocche, un po’ stupidelle e un po’ svitate e pazzerelle:
“FILASTROCCA DEL MARTEDI’ GRASSO”
È Carnevale e io me la spasso:
mi piace molto questo fracasso.
Vado in giro vestito da Zorro:
faccio una piroetta e poi corro.
Vado a combattere con la mia spada
contro i briganti d’ogni contrada.
Mi viene incontro la Fata Turchina
tutta trafelata e stanca poverina
per Pinocchio ch’è andato al mare:
babbo Geppetto lui vuole trovare.
Bella è la fata con i capelli
turchini
ed ora si mescola con noi bambini.
Corriamo di qua spingiamo di là
vogliamo fare tutti un gran varietà
perché Carnevale finisce qui
come ogni anno di martedì.
E, infine,
la ballata del mare che io adoro, tanto che da giovane avrei voluto una casa su
una palafitta, ma col passare degli anni e col sopraggiungere della vecchiaia e
dei conseguenti acciacchi ho dovuto abbandonare definitivamente questo sogno
che mai più si realizzerà:
“La ballata
del mare”
Era il mio mare
grande più del mare
mare di favola di
canto e nostalgia
mare di velieri di
navi e di corsari
pirata tu del mio
azzurro cuore
bianca vela io a
toccare il cielo
(pirata tu vela bianca
io)
Solcammo insieme
tutto l’azzurro mare
incuranti di scogli
di flutti e di balene
tra onde maree e
tempeste di vento
inventando ogni
notte stelle e lampare
(stelle e lampare fecero la notte chiara)
Stelle e lampare
fanno del mio mare un prato
dove il cielo
turchino è un imbroglio d’erba
su cui insieme
corriamo a perdifiato
con dentro gli
occhi lucciole e lanterne
(lucciole nei nostri occhi fatti
lanterne)
Lanterne di
conchiglie per ascoltare
il canto triste che
fa triste il mare
nei fondali batte
il tuo cuore scuro
tormento di
eternità la mia anima di sale
(un faro cerca la mia anima di mare)
E ho concluso con
gli ultimi versi della “Ballata dell’eterno amore” per ridare speranza all’anima
che cerca la luce sicura di un faro per non naufragare:
Lui le donò due
grandi ali di seta
per scorgerla al
buio delle notti, Lei fu vela di mare e nostalgia di treni
vinsero il tempo si
amarono per mille anni
(ridono ancora tra rose e
tulipani)
E il mio
grande indimenticabile Amico Giorgio Bàrberi Squarotti ebbe parole di ammirato
apprezzamento per questa raccolta bilingue (italiano-sebo), soprattutto “per i
suoi originalissimi versi con sonorità molto suggestive e catturanti”… Le sue parole faranno da introduzione alle
nuove ballate che prima o poi vedranno la luce della carta stampata (spero).
Per quanto
riguarda le mie commistioni: sono parecchie le mie poesie che contengono tra i
versi antiche canzoni famose. Le parentesi, poi, sono quasi una costante. Vito Di
Chio, altro mio prezioso amico, nel suo “sapientissimo” saggio sulla mia opera omnia
Una finestra aperta sui sogni (SECOP
edizioni 2020), così scrive: Le
(parentesi) - un vero segnale semantico all’interno del poetare di Angela De
Leo - non semplicemente parola o frase che “s’interpone nel discorso,
interrompendone il senso e talora anche il costrutto, per aggiungere un
chiarimento o una precisazione, per fare un’osservazione, un rinvio (…), per
una momentanea digressione” ecc. Para-tithemai è un porre dentro e serve in
realtà a chiarire il testo o le affermazioni che si vanno facendo, accentuandone
o limitandone la portata… Ma le attente e dettagliate e puntuali
annotazioni sulle mie parentesi occupano ben cinque pagine del saggio, per cui
sono costretta a chiudere qui, mio malgrado perché sono straordinariamente
illuminanti su ogni loro “significazione”.
E desideravo
concludere, come promesso, con alcune poesie catturate da FB con il mio retino,
ma noto che già ho occupato molto spazio. Lo farò nelle mie prossime note sul
blog. Per stasera chiudo qui. A domani con il nostro Retino. Ciao.
Grazie, Angela! Rita Vecchi
RispondiEliminaApplausi. Ancora una volta ho gli occhi spalancati per la meraviglia! Un abbraccio Angela cara!
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