Ieri sono tornata a casa. Da Como. Macinando oltre 1000 chilometri di autostrada. Per fortuna, non a piedi. Con la Dacia di Peppino, mio genero nonché editore della SECOP Edizioni, che ha pubblicato i due volumi del mio ultimo romanzo Le piogge e i ciliegi, presentato proprio a “ParoLario”, il prestigioso Festival Letteraio di Como e “altri luoghi”, e con mia figlia Raffaella, nella insolita veste, almeno ufficialmente, di mio angelo tutelare, piuttosto che di Pr. della Casa editrice, scrittrice per ragazzi (e non solo), coordinatrice di presentazioni, serate e incontri culturali.
Meravigliosa esperienza in un luogo incantevole, il parco della stupenda Villa Bernasconi, in stile Liberty, di Cernobbio, dove siamo stati accolti da Denise, una ragazzina bella, attenta, sorridente, che una magnifica, puntuale organizzazione del Festival ha messo a nostra disposizione, con un bravo aiutante tuttofare, per rendere confortevole e unica la Presentazione del primo volume del romanzo, non essendo ancora in distribuzione il secondo.
Alle 18,30, l’appuntamento con Giovanni Gastel, mio stratosferico interlocutore, e con gli ascoltatori, che sono stati davvero tanti e tutti molto coinvolti e attenti.
Giovanni, principe di Cenobbio a tutti gli effetti, è stato insuperabile: elegante, scanzonato, affettuoso, affascinante, profondo, tenero, divertente.
Ha avuto parole di grandissima rilevanza letteraria, culturale, umana nei miei riguardi e nei riguardi del mio libro, approfondendone, in maniera mirabile, la struttura linguistica e contenutistica, l’afflato poetico che sorregge tutta l’opera, e avendo parole dolcissime nei riguardi del protagonista della storia: mio nonno Mincuccio, da lui cantato come il “patriarca” di una famiglia che ha conservato, grazie al suo esempio, i valori più importanti, come la dignità, la solidarietà, l’eticità della nostra esperienza terrena; valori che, invece, in molti casi, dalla seconda metà del Novecento in poi, sono andati perduti. E che dovremmo cercare di recuperare per non morire nella totale desertificazione della nostra anima. Più o meno questa la sua conclusione.
Non sono mancate battute divertite e divertenti, lanciate lì con nonchalance (Giovanni Gastel ha il dono della bellezza, dell’eleganza e dell’armonia persino quando dice le “parolacce”), rendendo l’atmosfera davvero magica per lievità incantata, delicatezza sorniona e tenerezza antica.
Bellissima la complicità del cuore con suo figlio Marco (a lui tanto somigliante fisicamente e nei modi signorili), seduto in prima fila e fatto tenerissimo oggetto delle sue battute complici e del suo immenso amore.
Molto pregnanti anche gli interventi da parte del pubblico, primo fra tutti quello della mia carissima amica Maria Cristina Brandini, che mi ha posto due domande di grande intelligenza e sensibilità. E così quelle delle altre signore appena conosciute, ma già mie amiche per sintonia emotiva e bella consonanza, immediatamente avvertite tra noi. Molti gli ascoltatori che sono venuti a complimentarsi perché si sono ritrovati nelle stesse esperienze postbelliche e nei ricordi molto simili ai miei. Le affinità compiono prodigi di immediate intese.
Come ringraziare tutti: ParoLario, gli organizzatori, lo staff, i presenti?
Come ringraziare il grande Giovanni Gastel per tanta generosità nei miei confronti? Ancora non so. Cosa si può donare ad un uomo che ha tutto, se non un’amicizia vera, profonda, incondizionata? Affetto, stima, ammirazione. E voti perché sia felice!
Dopo la magnifica serata, ecco l’invito nella sua Villa a due passi da Villa Bernasconi. Si fa per dire a due passi. Tutta Cernobbio si identifica in una immensa Villa Erba divisa in due enormi ville, tra lunghi intricati percorsi di alberi secolari oltre i maestosi cancelli e l’alto lunghissimo muro che le separa dal resto del mondo, con profumatissime e altissime siepi di gelsomini a ricamare l’intera facciata della principesca dimora, di una grandezza inimmaginabile e di una severità elegante e raffinata, dove è di casa la storia dei Visconti e degli Erba, nei volti degli antenati, dipinti da pittori famosi…
Saloni meravigliosi anche per la musica e le danze. Altro non so descrivere. Sono rimasta letteralmente abbagliata e stordita da tanto inimmaginabile incanto. L’immenso prato, circondato da siepi di rose a perdita d’occhio.
Giovanni ci raccontava di sé e dei suoi avi tra bicchieri di ottimo vino ed io non riuscivo più a connettere, ad ascoltare, a seguire. La sindrome di Stendhal in agguato per la rara Bellezza che mi era davanti agli occhi, nonostante gli spazi infiniti. E raro e bellissimo anche il racconto di Giovanni, e il silenzioso e attento procurarci ogni possibile comfort da parte di Marco, aiutato nel fare gli onori di casa dal maggiordomo.
Ma forse sto descrivendo il tutto in maniera imprecisa e confusa, ma davvero sono senza pensieri e senza parole. Solo un fascio di emozioni come le rose, i gelsomini, le siepi, i prati, le parole che volano in questo immenso parco delle meraviglie.
E mormorii di voci lontane eppure mai perdute nel tempo…
Grazie, Giovanni Gastel, anche e soprattutto per lo stupore che hai acceso nei miei occhi. Nella mia anima…
E questa poesia composta di notte per ParoLario ora la dedico anche a te, perché il Lario sei tu. Qui le tue storiche e nobili radici. Qui le tue parole innamorate e che innamorano. Qui l’incanto di ogni tua possibile POESIA: in immagini, in prosa, in versi.
La POESIA incantata della tua anima inquieta eppure così sorridente, lieve, gioiosa.
Scivola il verde delle foglie
sulla pelle ombrosa del Lario
e liquide chiome dorate arabescano
il fondo incantato d'ogni magia.
Il mondo è fuori, lontano, dimenticato.
Onde come richiami di voci navigano
tra "monti sorgenti dall'acque" in un addio antico
che mai si acquieta.
Volano pagine, rose o gabbiani
di carta e di segni,
alla danza del vento che canta il giorno
bambino, con storie tutte da raccontare e tante.
S'inerpica un suono d'arpe su sogni intrecciati e diversi
d'affollati incontri e di parole.
Versi danzano sulla morbida spuma
che sa del tramonto maestoso
la malinconia e il rimpianto.
Scivola umile e superba lungo un pendio narciso,
a specchiarsi in questo mare raccolto e in sé conchiuso,
la bellezza delle pietre levigate
dalla nostalgia, della casa, il profumo dei gelsomini,
la stretta di mano, il concavo nido delle braccia,
il sorriso del ritorno, e ignora
ogni altro viaggio, la riva, l'ignoto.
È qui che voglio restare a riscrivere
la storia di due sposi promessi
"su quel ramo del lago di Como"
dove germogliano di stupore i miei occhi d'erba...
Angela De Leo
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